venerdì 14 aprile 2023

Recensione: Daisy Jones and The Six, di Taylor Jenkins Reid

| Daisy Jones & The Six, di Taylor Jenkins Reid. Sperling & Kupfer, € 16,90, pp. 352 |

È la band sulla bocca di tutti. Passata dalle biografie di carta e inchiostro al menu delle novità di Amazon Prime Video, appassiona e fidelizza generazioni lontane. Impossibile che le ragazze non traggano ispirazione da Daisy: bellissima, volitiva e appassionata, sfoggia una voce roca alla Janis Joplin e cerchi dorati alle orecchie subito iconici; peccato che i suoi pessimi vizi, tra alcol e amfetamine, la rendano imprevedibile. Impossibile che i ragazzi non confidino di intraprendere la stessa scalata sociale di Billy Dunne: venuto dalla monotona Pennsylvania con l'amata compagna Camila al seguito, si infiamma quando canta la vergogna delle dipendenza e le gioie della recente paternità. All'apparenza inconciliabili, Daisy e Billy (insieme agli altri cinque membri della band di lui) sono stati accoppiati per una trovata di marketing come tante. Ma una collaborazione occasionale li ha resi presto squadra, all'indomani dello straordinario successo radiofonico del loro primo feauting. In quell'occasione hanno condiviso lo stesso microfono e, pare, occhiate infraintendibili. Correvano gli anni Settanta. Ci voleva poco a diventare icone; meno ancora meteore. Che fine hanno fatto ora Daisy Jones e i Six, scomparsi poco dopo il successo? Hanno minato al loro equilibrio i complessi di inferiorità degli altri musicisti, confinati nell'ombra da un leader tanto carismatico quanto prepotente? È stata colpa di Karen, la tastierista, che in nome degli ideali femministi rinunciò all'amore? O la passione platonica tra Daisy e Billy, fiutata dalla moglie di quest'ultimo, avrebbe infine portato le due primedonne allo scontro?

Essere la musa di qualcuno non mi interessava. Io non sono una musa. Io sono quel qualcuno. Fine della storia.

Investiga Taylor Jenkins Reid, già fortunatissima autrice dei Sette mariti di Evelyn Hugo. Dopo averci svelato i segreti della Golden Age hollywoodiana attraverso le relazioni di un'intramontabile diva del muto, questa volta passa dal cinema ai concerti rock; dagli anni Venti all'era di Woodstock. Ah, sì: Daisy e gli altri, al pari di Evelyn, sono personaggi di finzione. Falsa biografia, raccontata sotto forma di interviste ai membri della band, il romanzo rinuncia a una narrazione classica: ne guadagna in credibilità, ma ne perde in ritmo. È una canzone senza il groove. Un ritornello che inizialmente cattura, poi annoia. La colpa è principalmente del taglio narrativo, a lungo andare stancante, e della caratterizzazione stereotipata di luoghi e personaggi. L'autrice mette in un frullatore tutti gli aneddoti e le sciagure delle star amatissime, i costumi e le scenografie occhieggiate su Pinterest; immagina per le sua band perfino un repertorio (leggere le canzoni, forse, è la parte più sorprendente). Ma il tutto, laccatissimo, ha una patina di finzione che non convince. Manca il sesso; di droga ce n'è quanto basta; il rock 'n roll, ingentilito, farà storcere il naso agli appassionati. Venuta meno le credibilità, lo si finisce di leggere soltanto per la curiosità salottiera con cui si seguono alcuni servizi di Verissimo alla TV. E il perché dello scioglimento dell'iconica band, francamente, non è poi questo gran mistero. Domandatelo ai Beatles.

Il mio voto: ★★
Il mio consiglio musicale: Daisy Jones & The Six - Aurora

2 commenti:

  1. Serie mollata dopo due episodi. Non stento a credere che il libro alla base sia altrettanto insulso.

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  2. Non c'avevo fatto caso che la serie fosse tratta da un romanzo...
    Certo che già lo show presenta una versione decisamente stereotipata e patinata del rock'n'roll, non oso immaginare come possa funzionare il libro senza nemmeno l'accompagnamento della musica e di un cast super cool. :)

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