martedì 14 gennaio 2020

Recensione: Senza mai arrivare in cima, di Paolo Cognetti

Senza mai arrivare in cima, di Paolo Cognetti. Einaudi, € 15, pp. 107 |

Su Instagram ho inaugurato l’anno nuovo con un post che non parlava di romanzi, ma di passeggiate. Una foto del tramonto sul mare della mia città e una lunga didascalia per raccontare di me; del desiderio di approfittare del sole del primo pomeriggio per ricaricarsi un po’; di quella voglia, a giorni alterni, di prendere ed evadere camminando. Non sono un viaggiatore, infatti, ma rispetto la mia solitudine e di tanto in tanto coltivo i miei silenzi. Quando su una bancarella romana, qualche giorno dopo, ho trovato una copia di questo libricino di Paolo Cognetti – il suo resoconto di una sofferta scarpinata sull’Himalaya, per festeggiare il compimento dei quarant’anni –, l’ho preso come un segno. Ero in vena di letture brevi ma intense. Speravo in un viaggio fuori porta, comodamente seduto in poltrona.

Sapevo che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, ma ero contento di dividere la mia solitudine con questi compagni.
Non nuovo alle storie ad alta quota, dopo il successo dell’amatissimo Le otto montagne, lo scrittore milanese alza l’asticella e cambia aria. C’è una grande differenza tra le sue Alpi e l’angolo più impervio del Nepal. Cognetti sognava di visitare quei luoghi da quando, a dieci anni, il padre decise di rallegrare un bambino malato con un regalo speciale: una guida alle montagne più alte del mondo. Accompagnato dagli amici Nicola e Remigio, il premio Strega si unisce a una spedizione che conta una cinquantina di membri tra uomini e animali. Con loro c’è anche un’inseparabile cagnetta, Kanjroba, che forse è uno spiritello di quelle stesse vette o forse l’ultima reincarnazione di un poeta viaggiatore. L’avventura dura un mese e gli scarponi da trekking mangiano la terra per trecento chilometri. L’altitudine è una vertigine continua, che oltre i 1300 metri tormenta con la nostalgia di casa e delle donne, con i demoni dell’alta quota. Tra valli, villaggi, templi e riti funebri, Cognetti fa amicizia con i quattro elementi; immortala su un taccuino scorci e dati geografici. Se interrogato da un curioso, ammette, probabilmente non saprebbe rispondere: perché spingersi fin lassù? 
Che si tratti di penetrare i segreti della montagna o di superare una soglia invisibile – quella che separa il mondo civilizzato dalle gioie dell’inesplorato – , il viaggio risulta essere un pellegrinaggio laico e contemplativo come negli scritti di Peter Metthiessen, autore da riscoprire. Ma leggendo questo resoconto sulla poesia del girovagare, salvo qualche passaggio particolarmente ispirato, il lettore inconsapevole qui e lì ha la sensazione di girare a vuoto.

Il vento, il torrente, la luce, la pietra, erano la stessa sostanza del mio sangue, delle mie fibre, dei miei organi, e li mandavano in risonanza così come il tamburo del monaco aveva scosso le mie membrane. Bum, bum, bum: io sono fatto di questo, di questo, di questo. La montagna mi conduceva all’essenziale.
Senza mai arrivare in cima emoziona nei dialoghi con i compagni di tenda, che si scambiano in maniera cameratesca memorie, aneddoti e desideri. Affascina nella resa delle differenze culturali più profonde, con gli indigeni aperti e sorridenti verso lo straniero e la superficialità di quell’Occidente, al contrario, che appare il vero deserto del mondo. Prediligendo le descrizioni dei luoghi, però, il libro risulta verboso sul piano geografico e appena accennato su quello sociale. Smarrito spesso e volentieri, mi sono comunque lasciato guidare dalla bellissima voce di un autore che apprezzo. Basta, però, per consigliarlo? 
Meno immersivo del previsto, l’ultimo Cognetti più che al viaggio della vita somiglia a una brusca toccata e fuga. Gli elementi del successo passato sono tutti all’appello, ma in piccolo: pensate, insomma, a quegli spazzolini da viaggio che vendono in un angolo dei negozi per la casa. Ecco le amicizie al maschile, l’intimismo, le lezioni di respiro, una natura degna della nostra pura contemplazione. A chi ha già adorato Le otto montagne e sente da un po’ la nostalgia di questi mondi, Senza mai arrivare in cima sembrerà la versione esotica e in pillole del precedente. A parte scorci mozzafiato, ha poco altro da regalare. In attesa, almeno, del ritorno ufficiale nelle librerie.
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Eddie Vedder - Society

4 commenti:

  1. Di Cognetti non ho letto ancora nulla però credo di dover iniziare da altro, questo romanzo non sembra fare al caso mio ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Chiamarlo romanzo, per altro, è un parolone. Tante riflessioni per poche pagine.

      Elimina
  2. Non sembra proprio il mio genere... mi sa che per una volta la WL è salva 😬

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Salvissima! Cognetti merita, ma per altri titoli.

      Elimina