mercoledì 28 marzo 2018

Recensione: L'ultima diva dice addio, di Vito Di Battista

| L'ultima diva dice addio, di Vito Di Battista. Sem, € 15, pp. 209 |

Un appartamento in stile Liberty nel cuore di Firenze. Uno di quelli lussuosi, rari, in un palazzo con balconi a vista e l'Arno a un passo. Si sale al terzo piano senza ascensore e, giunti sull'uscio, è buona abitudine togliersi le scarpe. Per non disturbare il sonno della vedova al piano di sotto che nelle notti, negli anni, ha tanto patito il passo pesante degli ospiti altolocati, il battere sincopato dei tacchi, lo scalpiccio dei passi a due. All'interno, una penombra di abat-jour e merletti, di foto senza colori. I lampadari dondolano dai soffitti, inutilizzati, e accendendoli sembrerebbe di peccare di tracotanza. Di interrompere la sacralità di quelle confidenze sussurrate, di quelle notti bianche che celano ad arte le rughe d'espressione e, con la città addormentata, spingono i nottambuli a scoprirsi intimi. Il frusciare di un registratore. Le scenografie fisse di un dramma da camera in cui i successi, i drammi e gli amori avvengono fuori scena: rievocati da parole che rianimano il passato e, inevitabilmente, lo plasmano. 

Non esiste abitudine per la bellezza.

A metà fra la ribalta e il retroscena siede un giovane uomo che, nel 1974, ha ventisette anni e una crisi esistenziale in corso. Laureato da quattro anni, originario del Sud, ha modi alteri, d'altri tempi, che gli permettono di sacrificare a cuor leggero il presente per il passato, l'amore per la memoria. Innamorarsi gli appare perciò troppo banale, come l'allontanarsi a suon di divagazioni da argomenti che non siano l'arte e le sue eterne muse. L'insonnia: la sua benedizione. Mentre il capoluogo toscano dorme il suo sogno di bellezza, così, un protagonista senza nome prende sottobraccio una donna il cui nome è invece sinonimo di leggenda. Lei siede fumando al centro del palcoscenico, con un taglio di capelli assai audace per una settantenne e una tazza di tè che rabbocca spesso con generosi sorsi di vodka. Per tutto il tempo si rivolge al suo interlocutore con un garbato mio caro, e parla. Non temendo la teatralità di certi silenzi o, come la Norma Desmond dell'intramontabile Sunset Boulevard, implacabili primi piani. Si chiama Molly Buck e, non si sa bene perché, ha accettato di alleggerirsi l'anima e il cuore prima che la reclusione in Costa Azzurra e i fuochi di Capodanno le rubino l'ultimo respiro. Fan, ladro, il protagonista origlia, legge ciò che non forse non dovrebbe, parte. In cerca di quel passato – un figlio illegittimo, una sorella prostituta per scelta, un nobiluomo dal ruolo sfuggente – su cui lei glissa ad arte.

Il punto, mio caro, è che ci vuole coraggio a lasciare un segno di sé in una qualunque altra forma che non sia la memoria delle persone. Perché quella, lo sappiamo bene, dura troppo poco, ma il cinema no, è lì e ci starà per sempre.

L'ultima diva dice addio, biografia fittizia di un'attrice che non c'è, è la storia di un'epifania. Di un tarlo dolcissimo che prima spinge a colmare i vuoti nell'infanzia della candidata al premio Oscar, poi a domandarsi che senso abbia infrangere l'illusione di un'esistenza spesa a regalarne, di illusioni. Quando il cinema si chiamava come lei, i rotocalchi e i giornali scandalistici scarseggiavano. Le stelle risaltavano meglio nel dubbio, nell'oscurità del mistero. Strano ma vero, a volte trovavano il corraggio di arrendersi alla resa dei conti; di rifiutare le telefonate di agenti che disturbano la quiete del loro pensionamento anticipato con proposte di spot o fiction da poco. L'intervistatore sbircia dietro il copione, oltre la maschera. Smista mazzi di foto in bianco e nero, in cui ogni anno è indicato da un nastro dai colori diversi. Siede sulle panchine e nelle case d'asta, segue fantasmi di vecchi amanti per strada. Nella Buck c'è luce anche a luci spente? Se le parole sono una promessa di resurrezione, ci si nega per discrezione il lusso del contatto umano; di un abbraccio fra generazioni e mondi agli antipodi. Sulla scia delle riflessioni di Loving Vincent e Final Portrait, l'esordiente Vito Di Battista – pensate com'è piccolo il mondo: per un semestre ho avuto il fratello minore come compagno di corso, all'università – debutta con una storia nella storia a proposito del tempo che fugge e di una memoria, quella dell'inchiostro, che non tradisce.

Perché in realtà, mio caro, ci basterebbe anche solo l'illusione, e anche solo per un momento, di riavere indietro un po' di quel tempo in cui eravamo ancora nessuno, un tempo che ci ha lasciato in bocca il sapore più gustoso e la più bella fra le scoperte possibili: tutto quello che potevamo diventare.

Raffinato, algido, coltissimo, lo scrittore abruzzese ha frasi preziose come camei e, in apertura di capitolo, un refrain costante; la stessa indole elitaria del narratore, soprattutto, purtroppo poco affine alla mia. Mi sono domandato più volte quanto fosse maturo e quanto artefatto, in un ritratto dietro un vetro smerigliato – vedasi la foto in copertina – che affascina coi vedo-non vedo, ma rischia di renderci parzialmente estranei. L'ultima diva dice addio è l'eredità di un'ossessione che non ho fatto mia, un'epifania a metà. Ma un esordio a passo di valzer che sa imporsi comunque, pur parlando di commiati. Si spegne così l'abat-jour nel salotto di Molly Buck. Ci si infila le scarpe lasciate sullo zerbino e si va via. Per un'illusione ottica il fiume scorre al contrario, come al contrario scorre fra queste pagine la vita dell'attrice venuta al mondo quando Méliès atterrava su una luna panciuta – c'è un termine inglese per dirlo, racconta Di Battista: l'elegante e intraducibile waltzing back. Restano allora i fantasmi dei successi passati, un taccuino che pesa in tasca e un pulviscolo leggero, all'alba di un altro giorno senza Molly, come fosse polvere di stelle.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Umberto Bindi – Il nostro concerto

4 commenti:

  1. Sembra davvero molto bello, credo che potrei prenderlo se scende di prezzo :)

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    1. Speriamo. Un po' caro per il numero di pagine, effettivamente, ma è una bellissima edizione (non conoscevo la Sem, fra l'altro, che ha un gran catalogo). ;)

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  2. Pare interessante, ma non fino in fondo.
    Potevi dire al tuo compagno di corso di consigliare al fratello di impegnarsi di più. :)

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