venerdì 18 novembre 2016

Mr. Ciak: Florence Foster Jenkins, Bridget Jones's Baby, Sausage Party, Ouija - L'origine del male

Una ricca ereditiera col pallino del bel canto si esibisce in sale pienissime. Il pubblico la adora, e lei si dà a inchini e virtuosismi sotto le luci della ribalta. O almeno così pensa. In realtà ha il solo primato di essere la cantante più stonata al mondo. Lei non lo saprà mai, forse. A proteggerla, una schiera di lacchè e portaborse che pendono dalle sue labbra, corrompono i detrattori, si affezionano la platea con lauti assegni. La donna non deve pensare che al trucco coprente, al sorriso bianco, alla parrucca ben fissata. Giusto ingannarla, e giusto ingannarsi? Florence Foster Jenkins è una commedia sofisticata che ha tanto in comune con l'ultimo Allen passato in sala: la cornice, finemente intarsiata; i lustrini e i caffè; quegli anni '30 che erano precarietà e fumo. Tutto è illusione e, se non ci risvegliano dai sogni di gloria i bombardamenti o una malattia debilitante, è un nulla mettere a tacere i malparlieri. Sembra sciocca a prima vista: vanagloriosa, sgolata, infantile. Non si accorge che i suoi acuti disturbano il sonno del mio gatto. Non sa che ridiamo fino a farci venire il mal di pancia, e di lei. Va per i sessanta, da cinquanta convive con la sifilide, da venticinque ha sposato un attore inglese senza arte né parte che alle sue spalle ha un'altra compagna. Derisa di nascosto, ma protetta sotto una campana di vetro, Florence fa sì che subentri presto un nuovo sentimento, la compassione; infine la tristezza. Per una bugia fragilissima. Per una missione – spalleggiarla tacitamente -, che si trasforma in amore. A mettersi in gioco, senza paura e rischio di cadere nel ridicolo, una Streep verso cui sembra inutile spendere aggettivi di troppo: sotto il mascherone gaudente, una donna circuita, dolorante, abbandonata. A sorpresa, però, Florence Foster Jenkins non è lo show in solitaria preannunciato. Questa Streep meno d'impaccio permette l'affastellarsi tutt'intorno di una serie di figure che si curano di starle al passo: un maturo Hugh Grant, marito opportunista ma premuroso; l'esilarante pianista di Simon Helberg, le cui espressioni di sgomento dicono più di mille parole. E, sempre a sorpresa, il leggerissimo Florence Foster Jenkins leggero non è lo così tanto. Gli strilli sono esagerati, le facce e i gesti ricordano la slapstick comedy, ma se dirige il premiato Stephen Frears – garanzia di classe e giusta misura, qui vicinissimo ai toni di Lady Handerson presenta – la farsa avrà un retrogusto amaro. Metterà profonda tristezza. Il regno di giullari e stornelli della trasognata Florence, tutta felice con il suo trono di ovatta e la corona di carta stagnola, non è per sempre. (7)

La single delle single è tornata. “Di nuovo?”, uno dice, ricordando un trascurabile secondo capitolo e non celando un moto d'insofferenza verso quei sequel che, su carta, sembrano fuori tempo massimo. Qualcosa è cambiato: Helen Fielding ha dato alle stampe un romanzo in cui Darcy tirava malauguratamente la cuoia e l'espressiva Renée Zellweger si è allontanata dalle scene, cedendo al fascino del chirurgo. Tanta acqua è passata sotto i ponti, e l'idea di una pellicola conclusiva ha fatto infiniti vai e vieni in casa Miramax. Saprete che l'eroina dei primi anni Duemila è più magra, più tirata, più confusa del solito. Ormai quarantenne, messa in allerta dall'orologio biologico e a tappeto dagli aperitivi, ha passato due notti di fuoco di fila: una con l'americano Patrick Dempsey, milionario dal cuore d'oro che ha sostituito Hugh Grant, qui assente giustificato; un'altra con Colin Firth, che per Bridget resta un tasto dolente. La coppia felice, infatti, è scoppiata. Al cinema si resuscita l'amatissimo Darcy, facendo carta straccia di quel terzo romanzo così avversato in rete, e la protagonista è in dolce attesa. Ma di chi? Ci si riprova e, tra grasse risate, poligoni sentimentali e dilemmi, questa Bridget rivista e corretta sorprende con uno dei pochi sequel in grado di rivaleggiare per ironia e leggerezza con il capostipite. Bridget Jones's Baby non ricicla situazioni e non snatura i suoi personaggi: accanto allo scoppiettante trio - che non risente dell'assenza di Grant, né di quel ritocchino a cui tocca giusto fare gli occhi -, regalano spunti comici la ginecologa della Thompson e la sboccata conduttrice Miranda. I test del DNA si fanno in diretta tivù, l'epilogo sarà agrodolce per uno degli aspiranti genitori, la visione di una mamma con due papà confonderà i benpensanti. La femminista Bridget sta al passo. Scambia la struggente All by my self per un pezzo tutto da ballare nella sua mansardina solitaria, vede i suoi amici omosessuali parlare d'adozione e, in ufficio, assiste a tagli netti con la scusa del rinnovo generazionale. Lei, quindici anni e un dimenticabile capitolo centrale dopo, è ancora sul pezzo, anche se la vanità ha rischiato di intaccarne la simpatia. E, maestra nell'arte di arrangiarsi e di figuracce, trasforma un prodotto dato per spacciato, così, in un intrattenimento perfetto. I nodi vengono al pettine; ci si scopre non troppo stravolti; si ride rumorosamente, non sbugiardando l'umorismo british. (7)

Frank e Brenda si amano follemente. Prigionieri, aspettano la libertà. Siamo in un supermercato popoloso, colorato, libertino, e gli innamorati ostacolati in questione sono una salsiccia e un panino: fior di metafora. Lui in una confezione, lei in un'altra, sperano di unirsi nel momento in cui un acquirente qualunque li metterà nel carrello. Oltre le porte automatiche immaginano il paradiso. Presto, tuttavia, scopriranno di essere stati ingannati: il loro destino è essere mangiati in un solo boccone da americani a un passo dall'obesità che se ne fregano di carboidrati e veganesimo. Riusciranno a ribellarsi? Se l'incensato Inside Out mostrava cosa accade alle emozioni di una bambina che cresce, l'incensurato Sausage Party si fa carico di un intento altrettanto nobile: quant'è triste, ditemi un po', l'avvenire di prodotti alimentari e beni di prima necessità, a un passo dalla "strage" del quattro luglio? Tra le corsie di un supermercato come non l'avete mai visto prima, due moderni Romeo e Giulietta, minacciati da un'antagonista d'eccezione – la perfida Lavanda vaginale, ferita nell'orgoglio –, affrontano sconvenienti triangoli sentimentali, avventure e tabù. Nel mirino: cibi spazzatura, vegetariani e bigotti benpensanti. Nonostante già a scatola chiusa le idee di Sausage Party apparissero totalmente folli, con allusioni e doppi sensi che disconoscevano qualsiasi pudicizia o senso del decoro, il cartone animato vietato ai minori rivela nel suo strabordante e sconclusionato epilogo l'irresistibile morbosità dei suoi autori, nonché gli intossicanti ingredienti dell'impasto. C'è anche qui l'olio di palma, chiederanno le mamme preoccupate? Con lo zampino dei soliti Seth Rogen e Evan Goldberg, dove la volgarità non ha misura e alle grassissime risate non c'è freno, tra ammucchiate equivoche e carneficine, la corretta alimentazione è l'ultima cosa di cui preoccuparsi. Da questo orgiastico banchetto animato, in cui non so se il genio o l'idiozia prevalga, si astengano dunque pargoli e animi delicati. (6,5)

La famiglia Zander è composta da sole donne: una madre e due figlie che sbarcano il lunario leggendo le carte e dando agli acquirenti l'illusione di parlare coi cari estinti. Un po' ciarlatane e un po' filantrope, si muovono nella sgargiante Los Angeles degli anni '60 in cui, sulla scia delle mode, arrivano le prime tavolette ouija. Un altro trucco per i loro show, finché la piccola di casa non dimostra che c'è vita oltre la morte. Ricettacolo di voci e spiriti, canale del male, Doris preoccuperà tutti con i suoi segni di squilibrio interiore. Rendendo infernale la convivenza e autentica l'attività di famiglia. Due anni fa, arrivava in sala Ouija. A memoria, tra i film più brutti e inutili della sua annata. Storia di possessioni spiritiche e magioni infestate di cui non serbo ricordi dettagliati, figuriamoci rancore, ha avuto presto il suo immancabile seguito. A fargli dare una seconda chance, la regia di Mike Flanagan: giovane regista che, accanto a James Wan, è tra i freschi nomi di punta in materia di brividi e spauracchi in poltrona. Se l'autore di Sinister e The Conjuring, però, ha da tempo trovato una propria cifra stilistica – il secondo capitolo ispirato alle indagini dei coniugi Warren, ad esempio, è un gioiellino di buon gusto -, lo stesso non può dirsi del collega. Promettentissimo su carta, ma in cerca del film della svolta. L'origine del male non è la possibilità che Flanagan aspettava, tradizionale e lontano dalla memorabilità com'è; con a mente gli sbadigli e gli scivoloni del capostipite, che si prestava alla facile ironia e alle stroncature secche, è impossibile non riconoscergli, però, pregi lapalissiani. Non li si cerca di certo nella trama: intreccio convenzionale, che prevede agenti immobilari inaffidabili, case dal passato oscuro, bambine demoniache sensibili al male e finali coi puntini di sospensione annessi. Ma quella padronanza, quella tecnica a cui mancano ancora le viscere e il cuore, fa la sostanziale differenza. L'origine del male è tanto classico, troppo, ma lì stanno i pro: una confezione elegantissima, ambientazioni retrò, colori pastello con innesti noir. Trascurabile, va da sé, ma affascinante. Anche se l'occhio attento e vanesio indugerà sulla bellezza, trascurando sbavature minime e mostri conosciuti. (6)

22 commenti:

  1. Ciao Mik, ho visto Bridget Jones e ho riso. Mi spiace solo per la faccia della Zellweger che ha perso ogni espressività. Gli altri film penso di passarli.. forse il film della Streep potrebbe strapparmi a qualche serata noiosa.. a presto!

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    1. Dopo un po', Saya, alla faccia c'ho fatto l'abitudine. Mi è sembrata meno rigida di Nicole Kidman o di una Meg Ryan, comunque. Contenta lei, che dobbiamo dire... :)

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  2. la mia wing-woman ha voluto vedere "Bridget Jones's Baby" mi è sembrato che abbiano applicato il trattamento “Episodio VII” anche a questo film, una specie di remake non dichiarato. Non è proprio il mio tipo di film, ma mi è sembrato il trionfo dell’anti-femminismo.

    Meglio “Sausage party” che almeno è ignorante sapendo di esserlo ;-) “Ouija” invece non ho letto il tuo commento ma solo il voto, perché conto di vederlo nel week end. Cheers!

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    1. Mah, io la storia del "femminismo" (che parolone) ti confesso che non la capisco. Alle donne pare piaccia Un disastro di ragazza, che era volgare e scontatissimo. Meglio la Jones, a questo punto. Si va sul sicuro. E piace anche a me.

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  3. Florence voglio assolutamente vederlo, attenderò da brava bambina l'uscita al cinema però :P
    Quanto a Sausage Party, dall'amato Rogen mi aspetto sempre MOLTO di più, soprattutto in termini di risate (poche, sono sincera) mentre Ouija vinceva facilissimo contro il capostipite: non innovativo né indimenticabile ma comunque una bella visione. Tra l'altro a me quella bambina di m********** ha fatto davvero paura XD

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    1. Inquietantissima, sì, però l'uscita in scena finale l'ho trovata un po' ridicoluccia. :-D

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  4. Guarderò Bridget Jones grazie a te. Sappilo!

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    1. Ti ringrazio, ma guarda che ha media alte di suo, eh.
      Fresco e divertente, e lo ribadisco a settimane dalla visione. :)

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  5. Uhm... non so se la Jenkins me la vedrò, mi toccherà in caso di ennesima nomination agli Oscar immagino, ma la storia l'ho già vista a Venezia lo scorso anno con il francese Marguerite. I miei timpani ne hanno abbastanza.
    Divertentissimo Sausage Party, grasse grasse risate, e da non amante di Bridget ho perso anche questo terzo capitolo, film troppo al femminile per il momento.

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    1. Marguerite, però, è più serio.
      Qui si vede il tocco inglese di Frears.
      Una bella storia, davvero. Lei vabbe', che ne parliamo a fare. :)

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  6. Nuovo Bridget Jones non fenomenale, ma caruccio. Diciamo che fa il suo dovere.
    Sausage Party invece mi ha deluso. Qualche risata la strappa, però non va oltre quanto ci si poteva aspettare dal trailer...

    Di Florence Foster Jenkins avevo già visto la versione francese. Questa con Meryl Streep, seppure meno invadente del solito, non so se la recupererò.
    Ouija 2 boh... mi sa che passo pure quello.

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    1. Fenomenale no, ma non il brodo allungato che un po' tutti immaginavamo. Carino, tanto quanto il primo - che, tra l'altro, è uno di quei film che mi fermo a riguardare, incrociandoli in TV. Non so perché.
      Florence e Ouija non penso ti dispiacerebbero. ;)

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  7. Salsiccia a parte, che ho già visto, gli altri non mi attirano quasi per nulla.
    Tu che dici?

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    1. Dico Florence, nonostante la Streep a te e al Cannibale non piaccia. Non solo per dovere di cronaca, ma anche per il messaggio, che fa pensare più che in Allen. :)

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  8. Sausage party a tratti mi ha un po' deluso (specialmente nella prima parte), però del resto mi è piaciuto (anche se non è eccezionale come prometteva il trailer)!

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    1. A me, invece, è piaciuto più all'inizio.
      La svolta finale è la più bizzarra, ma anche la più fine a sé stessa. :)

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  9. la briget la voglio guardare, già il libro mi aveva fatto sorridere, quindi ben spero per il film :-D

    Per Florence sarei curiosa mentre il film col wurstel non mi attira molto ^_^

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    1. Non capisco perché i romanzi della Fielding, boh, parlino di tutt'altro. C'è anche Hugh Grant lì, vero?
      Il wurstel è simpaticissimo, ma non fa per te; Florence certo che sì. ;)

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  10. Ho visto il trailer della Streep e ho capito che non reggerei,mi bastano i gorgheggi,meno stonati in verità,in conservatorio.
    Gli altri non mi attirano.
    Fra l'altro,obbiettivamente,il cinema costa e bisogna comunque fare una cernita.
    Spero di vedere"la verità negata".
    Complimenti per la tua incessante attività

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    1. Ti ringrazio, Solsido.
      La verità negata m'ispira troppa pesantezza, non so, nonostante la ritrovata Weisz.

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  11. Di questa lista mi pento solo di aver perso le gesta di Miss Jenkns. Bridget c'è ancora al cinema, ma c'è tanto bendiddìo che finirà nello 'snobbatoio'! #WaitingForAllied

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    1. Ma come, c'hai scritto anche un post sopra e non lo guardi?
      Ti piace, ché è carinissimo. Oggettivamente. :)

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