venerdì 9 ottobre 2015

Recensione in anteprima: Berlin - I fuochi di Tegel, di Fabio Geda e Marco Magnone

Cancella il passato. Dimentica il futuro. Esiste solo il qui e l'ora. E ora... è tempo di giocare.

Titolo: Berlin – I fuochi di Tegel
Autori: Fabio Geda e Marco Magnone
Editore: Mondadori
Numero di pagine: 200
Prezzo: € 14,00
Data di pubblicazione: 27 Ottobre 2015
Sinossi: È l'aprile 1978: sono passati tre anni da quando un misterioso virus ha decimato uno dopo l'altro tutti gli adulti di Berlino. In una città spettrale e decadente, gli unici superstiti sono i ragazzi e le ragazze divisi in gruppi rivali, che ogni giorno lottano per sopravvivere con un'unica certezza: dopo i sedici anni, quando meno se lo aspettano, il virus ucciderà anche loro. Tutto cambia quando qualcuno rapisce il piccolo Theo e lo porta via dall'isola dove viveva con Christa e le ragazze dell'Havel. Per salvare il bambino, Christa ha bisogno dell'aiuto di Jakob e dei suoi compagni di Gropiusstadt: insieme dovranno attraversare una Berlino fantasma fino all'aeroporto di Tegel, covo del più violento gruppo della città. Là, i fuochi che salgono nella notte confondono le luci con le ombre, il bene con il male, la vita con la morte. E quando sorgerà l'alba del nuovo giorno, Jakob e Christa non saranno più gli stessi.
                                                   La recensione
Ci sono regali che non aspetti, che non vorresti, ma che fa piacere ricevere. Soprattutto quando torni a casa stanco, messo a soqquadro da una tremenda fila di cinque ore per sostenere un tremendo esame da dodici crediti, e quel pacchetto inatteso che ti aspetta lì, sul tavolo del salotto, sa raddrizzarti la giornata. Un regalo è un regalo, e che piaccia o meno – anche se i miei genitori mi hanno insegnato a sorridere e a ringraziare sempre, per educazione – ti fa sentire come se qualcuno avesse pensato un po' a te. Premessa nel mio stile per dire che quando la bozza di Berlin mi è arrivata in anteprima, sebbene il romanzo completamente nel mio stile non fosse, ne sono stato contentissimo: in sincerità, non attendevo la sua uscita e, se non fosse stato per il suo arrivo a sorpresa in un giorno nero, probabilmente non avrei avuto il desiderio di leggerlo. Insieme alla copia staffetta, un kit di sopravvivenza per affrontare in grande stile quella nuova avventura: uno zaino, una borraccia, coperta termica e una mappa della Capitale tedesca. Passato velocemente dalla titubanza iniziale a una sfrenata curiosità per il romanzo italiano – primo di una trilogia sette volumi– che aveva meritato quel lancio coi fiocchi, l'ho letto in un giorno. Tornando alle mie prime parole, ora: servivano forse a dirvi che, nonostante qualche dubbio, la lettura di Berlin si è rivelata sorprendente? Vorrei giurare di sì – più facile, infatti, parlare di rivelazione con un romanzo presentato, in parte, come tale – ma, anche se mi armerò di delicatezza e buone intenzioni, non sarà questo il destino di una storia che per me non meritava attese grandi, né tanto rumore. Siamo nel cuore degli anni settanta e Berlino è spezzata da un muro: prima i silenziosi meccanismi della Guerra Fredda, poi un virus che ha decimato la popolazione mondiale e ucciso gli adulti. Al raggiungimento della maggiore età, grossomodo, ci si addormenta per non svegliarsi più: non si sopravvive al diventare grandi. Il cielo sopra Berlino – quello di cui parlava il capolavoro di Wenders – è solcato da uccelli rapaci e da un narratore onniscente che spia tutto dall'alto del suo sapere. Quello, per me, uno dei motivi per cui il sentimento, dosato in quantità parsimoniosa, latita e per cui, visti da lassù, i personaggi hanno lineamenti imprecisi. In un romanzo motorio, poco introduttivo, guidato prevalentemente dai fatti e non dai suoi Bambini Perduti, vanno sempre di corsa: numerosi, ma senza un volto da tenere a mente. Vivono il momento, vivono nel momento, e il loro passato drammatico è in stralci di capitoli che suggeriscono un poco che non è abbastanza. 
La città è in mano a loro: prepotenti e dispettosi, se la sono divisa in maniera disuguale, come capita con i luoghi strategici del cortile, durante la ricreazione. Ci sono i ragazzi dello Zoo – sì, come quelli di Christiane F. - che sopravvivono e si divertono con poco; quelli del Reichstag – eleganti e irascibili – guidati da due giovani innamorati in attesa di un erede; quelli di Gropiusstad – tra cui spicca Jakob, il protagonista maschile; le ragazze dell'Havel – e del gruppo fa parte allora Christa, controparte femminile; ultimi ma primi per crudeltà, coloro che occupano l'aeroporto di Tegel. Proprio qui, rapito a tradimento nel corso della notte, viene condotto il piccolo Theo: un bambino speciale, da riportare a casa a tutti i costi. Riusciranno ragazzi e ragazze di fazioni diverse, in una lotta senza quartiere, a unire le loro forze e a superare le prove della notte violenta con cui – fedele al motto panem et circensem – la feroce Chloe è solita intrattenere la sua chiassosa, rissosa folla? I bambini in balìa del mondo come in Il signore delle mosche. I giochi, anche se brevi e maggiormente edulcorati, di Hunger Games e Mad Max. La presenza di un muro divisorio che ricorda il labirinto di Maze Runner, la barriera di Divergent. In V per vendetta ci si domandava: e se il nazismo non fosse mai finito? In Berlin, invece, Fabio Geda – premiatissimo, lui, e anche finalista al Premio Strega – e Marco Magnone sembravano proporci un altro interrogativo: e se il muro di Berlino non fosse crollato, o almeno non così? 
Un dodicenne non potrebbe cogliere molti degli interessanti riferimenti, né quanto ci sia di vero nella storia di quella cicatrice che fino al 1989 ha segnato il corpo di una splendida città europea; non potrebbe rendersi conto, perciò, del potenziale andato sprecato. Perchè questa Berlino che si stenta a riconoscere, con il muro che diventa il tradizionale espediente dei mondi distopici, più simbolo di una piaga fantascientifica che di una pagina di storia moderna, avrebbe potuto chiamarsi anche con un altro nome. L'intreccio è lineare, tipico del libro d'avventura, e toni giusti rendono il romanzo ben scritto e un incrocio a metà tra la narrativa per l'infanzia d'altri tempi – penso a La guerra dei bottoni, ai Ragazzi della via Pal – e alle saghe distopiche contemporanee, ma con molto meno in ballo. Con il rischio, essendo arrivato in ritardo alla festa, di risultare già letto. Berlin non si è rivelato una lettura particolarmente soddisfacente o innovativa. Esce – a fine mese – non nella collana Chrysalide, pensata per gli adolescenti, ma inserito in una parentesi per lettori giovanissimi. Consigliato nel risvolto di copertina dai tredici anni in su – e quante volte ci ho ironizzato, da amante della narrativa per bambini quale sono, che con i miei ventun'anni faccio felicemente parte della fascia “in su”? -, non saprei dirvi se, allontanandovi di molto dal target iniziale, lo trovereste acerbo come me o, al contrario, vi sentireste di potermi dare torto. Sono un orgoglioso sostenitore degli autori italiani; sempre stato. Le poche cinque stelle assegnate quest'anno, infatti, me le hanno strappate connazionali che usavano parole e storie come armi. Quindi non immaginiamo racconti a misura di lettore, non badiamo ai dettami delle mode internazionali. Inventiamo come ci viene, ché siamo bravi in quello.
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Pink Floyd – Time

20 commenti:

  1. Sono stata anche io piacevolmente sorpresa di riceverlo col kit, eppure nonostante la curiosità, non mi ha convinto al punto di leggerlo >.<
    Sinceramente non capisco in primis la scelta di ambientare il romanzo a Berlino °-° insomma, autori italiani... romanzo ambientato in Germania? Avrei capito se avessero scelto paesi più "alla mano" per la letteratura come il Regno Unito o l'America... ma Berlino? Tanto valeva ambientarlo a Roma. Insomma, di città belle ne abbiamo anche in Italia...
    E poi la trama non mi ispira, mi sembra un mix di cose viste e straviste :/ virus, adulti morti... non vedo dove dovrebbe stare la novità >.<
    Non so ancora se lo leggerò o meno, in ogni caso ora come ora, dopo aver letto anche la tua recensione, ne ho ancora meno voglia XD staremo diventando blogger troppo cattivi? :P

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    1. Berlino, invece, secondo me ha tanto potenziale, soprattutto se inquadrata negli anni '70. Purtroppo questo muro non ha nessuna affinità con quello vero: è messo lì per seguire il cliché del distopico, secondo me. Magari c'è altro da scorprire, anzi, senz'altro, però il finale alquanto chiuso non mi lascia il desiderio di indagare. :/

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  2. A me sinceramente sembra proprio qualcosa di visto e rivisto, sempre gli stessi distopici :/

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    1. Questo ha un pubblico, diciamo, più infantile, ma poco cambia.

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  3. Oh no, che peccato!
    Mi ispirava perché sono un'amante del distopico, però magari prima di prenderlo ci penserò un po'!

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    1. Anch'io lo ero, almeno un tempo, ma ormai - salvo rari casi: hai letto, ad esempio, Chaos di Patrick Ness? - hanno ben poco da offrire. Letto uno, letti (quasi) tutti.

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  4. Mi sa di idea stra-usata. Non penso che lo prenderò, anche se l'idea del kit di sopravvivenza è molto carina.

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    1. Il kit mi era arrivato anche con La quinta onda, che al contrario merita moltissimo. ;)

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  5. La trama assomiglia tantissimo a quella di The Young World di C. Weitz, il virus c'è, gli adolescenti ci sono e pure le fazioni in lotta tra loro, l unica differenza è che invece che Berlino l ambientazione è a NY. Confessò che il fatto che ultimamente escano libri così simili mi lascia un pizzico di amarezza

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    1. Sì, anche se non ho letto il libro di Weitz, ho presente.
      La trama è identica, gira e rigira.

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  6. I libri li si scrive sempre in due: scrittore e lettore insieme. E questo fa sì che un libro appaia diverso non solo a due lettori differenti, ma addirittura allo stessa persona ad anni di distanza: le parole sono quelle, ma gli occhi che le leggono sono cambiati. Che meccanismo meraviglioso, le storie! E quando esce un libro tuo, la cosa che più ti stupisce sono quei lettori che ci vedono cose che tu non hai messo (capita spessissimo) o che al contrario si sono persi dei passaggi che a te sembravano brillare come l'insegna di un motel di Las Vegas. Figurati poi quando esce il primo libro di una saga, con tutto il suo carico di detti e non-detti. Quindi, Mr Ink, grazie della lettura e del pensiero che ci hai fatto: ovviamente mi spiace che non ti sia piaciuto come io speravo ti piacesse, ma come dicevamo: queste sono le regole del gioco! Detto questo, vorrei provare a capire meglio quello che hai pensato e provato leggendolo. E parto da una piccola precisazione: dici che è il primo libro di una trilogia. A dire il vero è il primo di sette libri. E dirò di più: sette libri che usciranno uno ogni sei mesi. Anzi: sette libri che usciranno uno ogni sei mesi e che nei sei mesi di attesa tra uno e l'altro continueranno a vivere sul web, soprattutto attraverso FB (la pagina è già attiva) e un sito internet dedicato che partirà in contemporanea con l'uscita del libro. La forma letteraria del libro che hai letto è direttamente connessa alla serialità spinta, agli approfondimenti e agli spin-off che saranno veicolati dal sito, a alle (circa) 1700 pagine complessive di storia che comporranno l'intera saga. Per questo quando parli di romanzo poco introduttivo e di ragazzini di dodici-tredici anni (in effetti la saga è pensata per loro) che non capiranno i riferimenti, e di materiale sprecato, mi viene da rassicurarti sul fatto che le informazioni arriveranno, la Berlino degli anni Settanta verrà raccontata, sia negli altri sei libri della saga sia sul web, che il muro non è lì solo per seguire il cliché del distopico (anche e soprattutto perché la nostra non è una distopia, ma un'ucronia) e che l'esperienza che proporremo ai nostri giovanissimi lettori sarà immersiva e che l'immersione avverrà per gradi. Quello che ci piacerebbe fare (e vedremo se ne saremo capaci) è quella cosa che tu hai perfettamente intuito, ossia creare un ponte tra la narrativa europea per ragazzi "classica" - I ragazzi della via Pal - e le saghe contemporanee, e quando dici che qui c'è molto meno in ballo, ecco, io ti chiedo: cosa intendi? Nei ragazzi della via Pal c'era un pezzettino di terra per giocare e di certo non serviva altro. Quando dici ad Alice, rispondendo al suo commento, che la nostra trama è identica a quella di Weitz, io ti chiedo: cosa intendi? Che qualunque storia di amori contrastati è inutile perché tanto c'è già Giulietta e Romeo? Grazie per gli spunti di riflessione, Mr Ink. E di tutto quello che avrai ancora voglia di dire.

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    1. Caro Fabio, è un piacere leggere il tuo commento. Correggo immediatamente l'informazione errata relativa al numero totale dei libri - non tre, dunque, ma sette - e devo dirti che un po' è colpa della fretta, un po' colpa di quella Mondadori gentilissima nell'inviarci i kit in regalo, ma non così svelta nel fornire informazioni. Capirai che ho letto “Berlin” a scatola chiusa, conoscendo te - ma solo di fama, purtroppo - e il pubblico di riferimento. Per leggere e apprezzare un romanzo, però, non penso sia necessario conoscerne per forza la gestazione e il disegno finale. A volte, si va di pancia e cuore: è tutto come un buona la prima. Io sono sì leggermente fuori target, ma della stessa collana sto leggendo l'ultimo di de Fombelle, per dirti, e m'incanta. Tornando alla tua domanda - cosa intenda dire affermando che altrove ci sia di più in ballo: non mi riferisco ai temi dei classici europei, ma ai distopici contemporanei. Lì si parla di salvare il mondo, di rovesciare una dittatura, di comportarsi da adulti. Si muore, e senza gloria. Si parla, tra le righe, di temi maturi, importantissimi. Qui - con il bambino in pericolo, ma mai davvero - il problema è parso, almeno a me, di minore entità. Da lettore ventenne, ne ho letti tanti, di distopici: forse troppi. Ho vissuto il boom “Hunger Games”, infatti, in prima fila. E non solo da blogger, ma proprio da cliente medio delle medie librerie, capirai che vado sempre in cerca della novità e del risparmio. Dunque no, non tutte le storie d'amore solo inutili perché c'è l'archetipo invalicabile di Shakespeare, ma tutto sta nell'imboccare una nuova via. Se tu e Marco la imboccherete, sarà per i romanzi che seguiranno. Il punto è che leggo - e chi mi legge, di conseguenza, fa altrettanto - troppo. Un utente, l'altro giorno, ha lanciato una legittima domanda; una provocazione: gli autori leggeranno altrettanto; o meglio, saranno altrettanto ferrati sulla concorrenza straniera che, tra gli adolescenti, tira notoriamente di più? Grazie a te, e complimenti per la sportività non da tutti.
      Michele.

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    2. Dici cose interessanti e che mi fanno riflettere. Ad esempio quando dici che non dovrebbe essere necessario conoscere il progetto dietro a una saga per apprezzarne un singolo libro. Hai perfettamente ragione, ed è uno dei rischi che stiamo correndo. Ma ci sono altre cose che ancora mi sfuggono. Ad esempio da un lato dici (molti di voi dicono) che molte saghe tendono ad assomigliarsi, ma allo stesso tempo mi sembra che tu/voi assumiate come dogma stilistico proprio quello dettato dagli anglosassoni: quel tipo di scrittura paratattica, quel tipo di linearità strutturale, quel tipo di emozioni urlate. Mi spiace (e forse è colpa nostra, ovviamente) che tu non abbia colto proprio il tentativo di scartare da quel modello: sia per la lingua, sia per lo sguardo. Mi spiace che tu, leggendo I fuochi di Tegel, abbia visto il salvataggio di Theo come unico tema portante e che il problema etico-morale del come vivere una vita che sta per finire, introdotto dalle riflessioni di Jakob, Sven, Wolfrun e Chloe, ti sia passato sotto gli occhi senza lasciare traccia. Idem per la potenziale complessità dei personaggi, dovuta alle loro storie personali e ai loro genitori. Che il sentimento che dici essere "dosato in quantità parsimoniosa" tu lo abbia vissuto come un problema, invece che come il tentativo di affrontare le emozioni con uno sguardo più sfumato, oserei dire più raffinato, più europeo. No, Berlin non sarà una saga che si regge sulla "trama" e sul colpo di scena, ma sulla parola, sul non-detto, sullo scarto, e in questo senso il rischio rispetto al target è ribaltato e mi scopro a domandarmi non se sarà apprezzato dai lettori adulti che potrebbero trovarlo infantile, ma al contrario se i lettori abituati ai page-turner riusciranno a leggerlo con la dovuta lentezza, non divorandolo per vedere cosa succede, ma sorseggiandolo, dando il tempo alle parole di sedimentarsi. La saga affronta un tema classico (oltre a Weitz, alla serie The Tribe, a Gone ci sono tantissime altre narrazioni che girano attorno al "mondo senza adulti") proprio perché io e Marco riteniamo che questo tema è sempre stato affrontato dagli americani in modo... americano. Noi arriviamo da altre letture e altri sguardi e quelle letture e quegli sguardi guideranno la nostra penna. Di nuovo: se poi non riusciremo a trasmettere tutto questo con la semplice lettura del libro, allora ovviamente la colpa sarà nostra e non certo del lettore - ché per me, il lettore, ha (quasi) sempre ragione.

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    3. E spero non solo per te, Fabio. Dal lettore dipendono le vendite; dunque, il successo o l'insuccesso di una storia. Direi che ha sempre ragione: senza quasi, se posso. Anche se, io per primo, condanno critiche gratuite e grossolane: quelle lasciamole a Tripadvisor, sì. Ma, in ogni caso, quando l'autore si sente in dovere di spiegare cosa il lettore ha colto e cosa no, di fornire appunti non richiesti, le impressioni purtroppo non cambiano di colpo. Non c'è un segreto o qualcosa da capire: a volte mi piace la scrittura paratattica, a volte no; a volte mi piacciono le emozioni urlate, altre no. Non è colpa vostra, in realtà, ma neanche mia: semplicemente, capirai che ci sono storie che arrivano, altre che non oltrepassano mai una data soglia. Lunghe saghe in cui investi tempo e denaro, altre che abbandoni strada facendo. Inutile giustificarsi, giustificarci. Mi auguro che, prossimamente, riceverai impressioni più positive della mia. Buona fortuna!

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  7. Sai perché mi concedo uno, massimo due romanzi di autori italiani all'anno? Non è tanto perché le trame non mi convincono, e neppure un mio pregiudizio innato... è che non mi va giù l'idea di sentirmi dire dall'autore, in caso di recensione non estasiata: "sei tu che non hai capito niente, mi dispiace, ma il mio libro è un capolavoro".
    Atteggiamenti di questo genere... limitiamoci a dire che non li approvo, va', che forse è meglio.
    La recensione, ad ogni modo, è splendida. E tu sei sempre un gentiluomo! ;D


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    1. E un po' hai ragione, Sophie, però capita di rado, per fortuna.
      Tanto di cappello a un autore come Fabio che decide di esporsi - al suo posto io avrei evitato, ma okay - senza offendere o offendersi.
      Al solito, ti ringrazio. :)

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    2. Questo è interessante Sophie: dove avrei detto che il nostro libro è un capolavoro? Sono consapevole di cosa stiamo cercando di fare e ovviamente mi interessa capire perché certe cose, con Michele, non hanno funzionato: nient'altro. Fatemi capire: quindi il vostro compito sarebbe quello di leggere e giudicare senza possibilità di confronto da parte di chi ha scritto quello che avete letto e giudicato? E attenzione, uso la parola: confronto. Che è quella cosa piacevole che è avvenuta tra me e Michele. Io e Marco abbiamo davanti altri sei libri da scrivere e ogni feedback è per noi preziosissimo. Rifletterò su ogni singola parola detta da Michele e se i prossimi libri saranno migliori sarà anche merito suo. E se a lui avesse fatto piacere sarei andato avanti ad approfondire. Pensate te, Sophie, avevo questa idea buffa che sarebbe stato bello per voi chiacchierare con l'autore di un libro che avete letto e recensito, così come è prezioso per me chiacchierare con i miei lettori ogni volta che ne ho l'occasione. Mi sbagliavo. Vi chiedo scusa. Vi lascio alle vostre chiacchiere interne e in punta di piedi tolgo il disturbo.

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    3. Se, da quel che ho capito, la saga è ancora in costruzione, allora hai ragione: ben venga il confronto con i lettori. Non era mia intenzione troncare bruscamente il discorso - e, immagino, neanche di Sophie - ma se posso averti spinto a riflettere su qualche punto, nel mio piccolissimo, ne sono molto contento. Lì per lì, il tuo commento poteva suonare un po' come "Tu non hai capito il mio libro, adesso te lo spiego io" - e questo a causa di una lettura sbrigativa dei tuoi interventi e, soprattutto, per via di vecchi trascorsi con alcuni tuoi colleghi assai meno disposti ad ascoltare e a chiacchierare civilmente - ma adesso il senso di tutto mi è più chiaro. Grazie per il tuo tempo. Per qualsiasi cosa, trovi i miei contatti in alto. Un saluto.

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  8. A me invece fa piacere leggere gli autori italiani, trovo che ce ne siano molti validissimi e di talento, ogni volta che ne finisco uno che mi ha particolarmente emozionato un po' mi sento orgogliosa della scrittura nostrana. Purtroppo è facile cadere nel "già letto" vista la grande quantità di uscite mensili e soprattutto vista la richiesta di generi distopico, ya, adulti ecc.. Dell'ultimo periodo, per questo credo che la differenza la facciano quegli autori che scelgono di discostarsi dalla moda del momento e osare con qualcosa di nuovo e per nuovo intendo originale, non qualche leggera aggiunta alla trama o alla psicologia dei personaggi; trovarmi sotto gli occhi una storia di cui non so nulla e che mi cattura quasi fosse una stupenda malia ipnotica, è sempre un'emozione. È la dura realtà di chi legge troppo, diventare esigenti e non accontentarsi più

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