lunedì 23 marzo 2015

Recensione: Prendi la mia vita, di Lottie Moggach

E forse ero nel punto esatto in cui era morta Tess. Magari era ancora , sotto di me. L'avrei raggiunta, e le nostre molecole si sarebbero fuse col terriccio. Un'immagine che trovavo quasi affascinante...

Titolo Prendi la mia vita
Autrice: Lottie Moggach
Editore: Nord
Numero di pagine: 300
Prezzo: € 16,40
Sinossi: Leila ha sempre avuto difficoltà a fare amicizia e, fin da bambina, ha condotto un'esistenza solitaria, senza quasi nessun contatto umano. Ancora oggi, il suo unico legame col mondo è Internet. Ecco perché è la candidata ideale per far parte del cosiddetto Progetto Tess, organizzato dal carismatico moderatore di un forum. Dapprima scettica, Leila si convince a partecipare e, senza mai incontrarla di persona, memorizza ogni dettaglio della vita di una ragazza, Tess Williams: dalla sua canzone preferita al compleanno della madre, dalle allergie alimentari al nome del suo primo amore. Poi, una volta pronta, inizia a usare l'indirizzo di posta elettronica e i social network di Tess, facendo finta di essere lei. Anzi, diventando lei. Così, senza che nessuno dei suoi amici e parenti lo sappia, Tess può andare via, per sempre... Nel giro di qualche tempo, però, Leila viene contattata da un uomo che sostiene di conoscere un segreto gelosamente custodito da Tess, un segreto che instilla il seme del dubbio nella mente di Leila. E quello che doveva essere un nuovo inizio, si trasforma all'improvviso in un'ossessione e in una corsa contro il tempo per trovare la risposta alle domande che la tormentano. Chi è veramente Tess? Dov'è adesso? Perché ha deciso di scomparire?
                                                  La recensione
E' stato un weekend di pioggia e fuoco. Il bel tempo mi ha lasciato solo con i miei libri, con la classica fretta con cui si diverte a rovinare i giorni festivi, quando io non avevo fretta alcuna, invece, di preparare un nuovo esame. Ma un appello saltato fuori all'improvviso, mi sono detto, era un'ottima occasione per allegerire la sessione estiva e così mi sono messo sotto: non mi andava, ma il cielo cospirava contro di me e la data di quell'esame prenotato d'istinto, così, su due piedi, si avvicina: Sociologia della comunicazione. Non una cosa mia. Era tra gli esami a scelta, due volumi in cambio di sei crediti, e dopo le lingue morte finalmente qualcosa nella mia lingua: mica poco. I primi giorni di preparazione, strano, lo so, li amo; non avendo seguito il corso, questa volta non sapevo bene di cosa si trattasse. Mi armo di evidenziatore, matita appuntita e tanta curiosità; ma gli evidenziatori si scaricano, la punta si spezza e non ho il temperino a portata di mano, la curiosità si va a depositare lì dove, tanti anni e tanti libri (scritti in piccolo) fa, ho abbandonato le diottrie. In quel famoso weekend in solitaria che non vedevo l'ora finisse, restituendomi alle lezioni e alle file chilometriche in mensa, ho finito il primo manuale e il romanzo che avevo in lettura. Perché dico questo? Be', per dimostrare che studio e hobby, per uno di quei giochi del destino o dell'inconscio che mi stregano, sono andati di pari passo. Mai capitato che i romanzi che mi concedo quando fa buio siano l'applicazione di una materia: un po' come passare dalla teoria alla pratica, per indenderci. L'esordio di Lottie Moggach e la Sociologia parlavano – oltre dell'alienazione, delle identità online, dei pregi e dei difetti dei new media – del Cyberspazio come di un luogo vero. Il World Wide Web non era più astratto di un parco in centro. Potevi ritrovaci qualcosa che avevi perso. Potevi perdertici, con un click. In Prendi la mia vita accadono entrambe le cose: incontri a una frontiera virturale, oggetti (e persone) smarriti. Io, smarrito negli occhi di quel viso di donna in primo piano, ipnotico e sbarrato da una “X” con le sbavature e il colore del sangue. Sapevo pochissimo della trama, all'inizio nebulosa e distorta, e la mia missione giornaliera era venire a capo di quei capitoli lunghissimi che prendevo quasi come un affronto personale; leggere con attenzione quei periodi fitti e intricati; capire chi erano Tess e Leila e cosa avevano in comune - seducente, nevrotica e disperata la prima; remissiva, taciturna, servizievole la seconda. Mi è venuta in mente, leggendo, una vignetta famosissima. Due topolini da laboratorio, chiusi in gabbia, parlavano sotto gli occhi dello scienziato di turno; un topo diceva all'altro qualcosa come: “Guarda, se premo questo pulsante, ogni volta lo scienziato mi dà un pezzo di formaggio!”. Un rovesciamento di situazione, perciò: chi studiava chi? Tornando alla nostra storia, Leila è lo scienziato, Tess la cavia... oppure viceversa? 
Le fa conoscere Adrian, carismatica figura dietro al forum Red Pill, che pone alla duttile Leila una domanda – lei che interviene attivamente nelle discussioni di carattere etico, che sa che non c'è confine tra giusto e sbagliato, che ha sofferto appresso a una madre malata: se una persona ha deciso di farla finita, è giusto aiutarla? Lo chiedo a voi: è giusto? Per me suicidio assistito ed eutanasia non sono argomenti tabù: sono cattolico, ma sono della scuola di pensiero che la vita è nostra, la morte è nostra: è nostra la scelta. C'è una giovane donna che vuole suicidarsi, una sconosciuta, e Leila la aiuterà: non le terrà la testa sott'acqua, quando avrà l'istinto di prendere fiato; non le spiegherà in quale senso recidersi le vene. Il suicidio dell'una sarà il morboso segreto dell'altra: perché Tess non vuole più vivere, ma non vuole dare un dispiacere ad amici e parenti. Perciò, quando sarà il momento, Leila prenderà il suo posto nel mondo virtuale. Risponderà alle sue email, aggiornerà il suo profilo Facebook: farà proprie le sue abitudini, metterà a soqquadro la sua vita, userà le stesse abbreviazioni e gli stessi periodi sgrammaticati. Per la Rete, lei sarà Tess. Ma quando, attraverso una corrispondenza, Leila si innamora di Connor e prende a cuore le tragedie di una famiglia a cui non avrebbe dovuto avvicinarsi, quella vita virtuale popolosa e soddisfacente vorrà sostituire quella vera, che è spoglia e impersonale. La sua stanzetta tappezzata di fotografie e informazioni, come fosse la tana di un serial killer, diventerà tutto il suo mondo. 
La Moggach ha dalla sua una trama originale e accattivante, uno stile maturato con la carriera giornalistica, una vicenda triste e inquietante che ti tiene sul chi va là. Prendi la mia vita è una di quelle storie ambigue tra donne disconnesse, su legami intimi e situazioni al limite, che ricordano Il cigno nero e Sils Maria: spaccati psicologici perfetti, protagoniste ossessionate da una professione che va a rimpiazzare una vita amorfa, registri indefinibili per relazioni indefinite. Rapporti che non capisci bene ma che ti affascinano, avvenimenti difficili da ingabbiare in un genere. La mia confusione nei riguardi del romanzo della Moggach è orientata proprio verso etichette che sfuggono: ha l'aria tenebrosa di un thriller, promesse di bugie a non finire, ma è e non è quello che sembra. Imprevedibile, sotto questo punto di vista, quando purtroppo nella parte finale – quella per me decisiva – non fa un ulteriore passo avanti: l'epilogo si legge come un semplice ritorno alla normalità; senza scintille. Manca di non so cosa e quel non so cosa lo rende un romanzo mancante, nonostante la ricchezza dei temi e una narrazione prolissa che non dà tregua. Mi è piaciuto, ma se me ne aveste dato in pasto uno stralcio solo, tralasciando le ultime pagine, ve ne avrei parlato con entusiasmo maggiore. Non c'è un momento in cui ho detto che qualcosa non andava, ma a un certo punto si è come adagiato sugli allori, rischiando di passare – se affidato a un lettore che non ha pazienza e si aspetta un tradizionale giallo all'inglese - per un piattume ravvivato da innegabili picchi di suspance e intelligenza. Effettivamente, sotto il nostro titolo manca la tipica dicitura “thriller”. C'è scritto genericamente “romanzo” - definizione furba, vaga, come il volume in sé e un titolo originale, Kiss me first, che suona meglio del nostro ma non ha molto senso. Lottie Moggach è abile e padrona, ti tiene in scacco; ma c'è il rischio di non cogliere quello che c'era in gioco, durante la partita della vita. Senza un necessario coupe de théatre, non coglie nel segno, quando invece avrebbe tutti i mezzi possibili per farsi ricordare. Il suo Prendi la mia vita si rivela mascherato, come Leila, da quello che non è, ma risulta più realistico e angosciante del previsto, grazie a due protagoniste che si completano, completandoci, e a domande che non abbandoni tra le pagine. Viviamo immersi nel Web: ci chiediamo a sufficienza chi siano i nostri vicini di posto? Chi sono io, chi siete voi: chi c'è dall'altra parte? Un'indagine vertiginosa contro le porte chiuse. Un Disconnect coi pretesti di un thriller. Un giro di vite inestricabile a tal punto che, a fine lettura, che sia piaciuto o no, sarà difficile ritornare alle nostre.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Lykke Li – I Follow Rivers (Acoustic Version)

16 commenti:

  1. Dai non sembra male. Io ero un pochino titubante, ma forse è il caso di buttarsi ^^

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    1. Scrittura impeccabile, ma finale insomma...
      Solo quello è il lato negativo.

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  2. La parte iniziale della recensione mi aveva convinto, poi alla fine parli di un finale non all'altezza e di un romanzo senza alcun genere specifico :/ i capitolo lunghi non mi attraggono molto poi, cmq aspetto qualche altra recensione perché la storia sembra bella

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    1. Eh, io sono un nemico giurato dei capitoli lunghi, anche se in questo caso sono pieni zeppi di parole scelte con cura. Già questo dimostra che non è il solito thriller rapido, accattivante e scattante :)

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    2. Finito di leggerlo. Tutto sommato non è male, credo gli darò un 6 pieno :P

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  3. Poteva sembrare interessante anche se il cambio di identità mi ricorda un po' Utente anonimo dove però era il killer che prendeva le sembianze della sua vittima per poterla uccidere. Diverso ma mi viene in mente quello!
    Diciamo che il non finale non mi fa venire molta voglia di leggerlo...

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    1. Però a te potrebbe piacere, ecco.
      A Nico, invece, penso di no! In quanto alle somiglianze: non ho letto quel libro, ma ti assicuro che qui il tema è affrontato in chiave molto molto personale. Lì sta il fascino, nel fare sembrare tutto così normale. :)

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    2. allora chissà... magari se capita! ;)

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  4. A me ispira un sacco! E dopo aver letto la tua review devo dire che sono ancora ispirata... anche se quel finale adagiato sugli allori di cui parli mi preoccupa °-° che dici, mi può piacere? XD

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    1. Verità? So che non ami le narrazioni un po' prolisse, le descrizioni dei singoli "peli" e i dettagli minuti, quindi per me no. Ricordo con Joe Hill, che eppure ha firmato un libro trecento volte superiore a questo :-D

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    2. Ok, allora passo! Non farmi pensare a Hill va Y.Y prima o poi devo provarci con La vendetta del diavolo però o.o

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    3. Se non ti piace, non venirmelo a dire, che mi strappi pezzi di corazòn. Povero Joe :P

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  5. Ciao Mik. Io e Firefly ti abbiamo nominato per la Liebster Award 2015. Sperando che ti faccia piacere...
    http://booksareinfinity.blogspot.it/2015/03/liebster-award-2015-premi.html

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    1. Ciao Sophie, grazie mille!
      Scriverò qualcosina sulla pagina Facebook per ringraziarvi :)

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  6. Ciao Michele, avevo adocchiato questo romanzo e mi piacerebbe leggerlo! Certo però non amo le letture prolisse...comunque se mi capita, correrò il rischio, anche perchè avendo studiato comunicazione, il tema affrontato mi intriga un sacco... Ciao Maria

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