Immagino
che il mio essere sorpreso risulterà fuori
luogo. Quando ho parlato del mio colpo di fumine con How to
get away with murder, tutti mi hanno detto con aria di sufficienza: “E che ti aspettavi?
E' Shonda. Un nome, una garanzia.” Ecco, io con questa mitica
Shonda Rhimes non c'ho mai avuto niente a che fare. L'ho sentita
nominare, certo. E conosco, ma esclusivamente di vista, i suoi figli
maggiori: Grey's Anatomy
e Scandal. Serie
fortunatissime e longeve che, con una scusa ed un'altra, non ho mai
seguito. Ignaro di un nome status symbol, inconsapevole e restio (diciamolo: sprovveduto), ho conosciuto How to get away quando
su Sky sono andati in onda i primi episodi. Molte serie erano in
pausa, ma questa era disponibile nella nostra lingua, a portata di
mouse, per sere in cui non avevo neanche voglia di vivere, causa studio. Si parte in medias res e la trama, a metà tra So cosa hai fatto
e quegli spassosi thriller degli anni duemila con Ashley Judd, ti lascia entrare nella vita di alcuni studenti, alle prese con un corpo da bruciare e con
un mentore dal carattere imprevedibile. Retta dalla brava Viola Davis
– donnone sensuale come Mike Tyson nelle scene
d'amore, inguardabile senza trucco e parrucco, ma con un ruolo brillante -, la serie vive di personaggi che sanno che
utile e onesto non coincidono e di persone immorali ma con il
fiuto per i successi. A casa della prof Keating, cospirazioni e congetture,
in una scuola di vita che non ha banchi o cattedre, né linee a
separare insegnante ed allievo, ma passaggi segrete e stanzini in cui
sussurrarsi viscide bugie o darsi a del furioso sesso con subordinati e superiori. Insieme alla protagonista di The Help, lo studente
squattrinato, i due raccomandati, l'allieva modello con un futuro da
fiaba tutto in forse. A spiccare nella massa, la bella Katie Findlay
– la ragazza scomparsa di The Killing,
la migliore amica di The
Carrie Diaries – e
la rivelazione Jack Falahee con il suo ambiguo Connor Walsh: gay,
intraprendente, sfacciato, il sesso usato come un'arma a doppio
taglio. Nonostante il vero coprotagonista sia lo spilungone Alfred
Enoch, non c'è gara: Falahee – una stronza al maschile, destinato
a diventare molle e fedele nel finale di stagione, ma convincente ugualmente – provoca e fa simpatia. I primi dieci episodi sono uno spasso; gli ultimi, i più lenti dopo
tanto rumore, ti strappano la definitiva approvazione grazie a un
epilogo col botto e a personaggi sempre ben delineati. Non che il legal thriller sia tutto
questo spasso: ho un brutto rapporto col genere. Schivo Grisham al pari dell'ebola e l'idea di darmi alla giurisprudenza
– nel periodo delle scelte e dei cambiamenti – non mi ha neppure
sfiorato il cervello. Avvocati e processi mi annoiano,
sarà che a tavola i miei guardano Forum
a pranzo e Law & Order a
cena. Ampia premessa per dirvi che se vi aspettate una barbosa serie
in toga, avrete di che stupirvi. How to get away
lo prendi sul serio – l'ho finito di vedere in lingua, in pochissi giorni: era diventato la mia missione – anche se è
divertentissimo, cazzaro, sexy e improbabile. Ma la sua scioltezza,
in unione a un montaggio favoloso, è l'equivalente della nicotina
nelle sigarette: dà dipendenza.
Poco importa se, al servizio della spettacolarità, potrà risultare
spesso veloce e inverisimile: ti diverti, pensi al delitto perfetto
e, nel frattempo, rimugini su cosa faresti se, in una notte cupa e
tempestosa, ti ritrovassi con un cadavere in salotto. La serie
della Abc risulta utile per ammazzare il tempo e per scagionarti con
classe estrema, se insieme al tempo hai ammazzato pure altro. (7/8)
La
scorsa estate i miei incubi andavano al ritmo di musica classica. Ho
preparato l'esame di Storia della
musica e, sarà che andava dal
Madrigale a Miley Cyrus, sarà che le note so leggerle a stento e che
quegli spartiti indecifrabili mi facevano venire la strizza, alla
fine di quel tormento c'ho messo sopra una pietra. Una
croce. Avevo detto addio a quel mondo, come quando le
cose che fai a forza, malvolentieri, ti smuovono i succhi gastrici e
la noia, ma non la passione. Avevo studiato e non ci avevo messo
interesse. Ma a me piacciono il dramma in musica, il teatro,
l'orchestra, i backstage. E una delle cose che più mi emoziona al
mondo è il suono che fanno in coro tutti gli strumenti mentre
vengono accordati, prima dell'apertura del sipario. Sono ritornato
sui miei passi, superato il trauma da sessione estiva e, per fortuna,
ho voluto concedere un'occhiata al pilot della nuova serie targata
Amazon: Mozart in the jungle.
Questa è un'altra storia. Tutt'altro che
ingessata e seriosa; mai sonnolenta.
Alcuni episodi sono dei gioielli, altri servono oggettivamente ad allungare il brodo, ma il livello è alto e il trinomio "sesso,
droga e Mozart” vi darà alla testa. La trama: all'alba
di uno spettacolo importantissimo, la Filarmonica di New York è
messa a soqquadro dall'arrivo di un nuovo direttore d'orchestra.
Capello lungo, completi spaiati, idee bizzarre. Un nome che tutti
conosceranno: Rodrigo. Interpretato con vigore da Gael
Garcìa Bernal, porterà una ventata di gioventù e colore in un
ambiente polveroso. Nel frattempo, trascinerà al centro del palcoscenico l'insicura Hailey, tenterà di conquistare
una moglie geniale e pazza e proverà a rimpiazzare il vecchio
“maestro” senza fargli pesare troppo il suo pensionamento, mentre
la direttrice rischia un crollo nervoso e la musica, come nel
bellissimo Tutto
può cambiare,
si fa anche per strada. Accanto al pupillo di Almodòvar, Gondry ed
Inarritu, un granitico Malcom McDowell – e guai a ricordargli che
sta invecchiando -, la sexy Saffron Burrows e Bernadette Peters, quasi settant'anni e non
mostrarli, una voce squillante e un nome che a Broadway è leggenda.
Diretto per gran parte dei suoi dieci episodi dal Chris Weitz di
About a boy
e American Pie –
okay, ha girato anche New
Moon:
doveva rimettere il parquet in soggiorno o tinteggiare il bagno, che
vi devo dire? -,
Mozart in the jungle ha
autorialità e brio, l'immagine di una New York glamour e
personalissima che potrebbe rimpiazzare a tempo debito quella del
noto Sex &
The City, una colonna sonora da manuale. La musica classica non è
mai stata così rock 'n roll. L'esaltante Whiplash
ha
fatto appassionare i profani alle misteriose magie del jazz; questo –
scapigliato, ribelle, un po' figlio dei fiori – farà lo stesso con
la musica sinfonica. (7)
Red Band
Society aveva la strada già spianata. Gli spettatori di Colpa
delle stelle, abituati a tante lacrime e
alle risate che scoppiano in faccia al cancro. La firma di Steven
Spielberg, che coi telefilm non ha in verità molto successo. Una schiera già
fitta di fan ed estimatori, non essendo proprio una novità: Red Band Society è Braccialetti Rossi. C'è
in Spagna, c'è in Italia; gli americani potevano farsi mancare la versione a stelle e strisce? Ma Red Band Society è arrivato
senza il trambusto sperato e, con altrettanto silenzio, è andato
via. Cancellato dopo tredici episodi. Mi giurano che sia mille volte meglio la serie italiana, perciò figuriamoci, ma comunque non non dispiace. In molti lamentano i rapporti di convenienza, i
legami passeggeri e le amicizie non del tutto disinteressate che si
instaurano tra i giovani personaggi. Viene meno la bontà e la
fratellanza di cui tutti andavano in cerca, ma quella vena
politicamente scorretta ogni tanto mi è garbata. Una storia alla
libro Cuore, quando il telefilm è già di per sé gigione, non l'avrei retta. Non ci si annoia,
l'andamento è costante – e se piace dall'inizio, come nel mio
caso, è un bene, altrimenti anche no – e gli attori, freschi e
svegli, benchè coinvolti in una serie non destinata al decollo ma al
tracollo, si sono fatti notare, ottenendo un trampolino di lancio
notevole. La voce narrante di un bambino in coma guida lo spettatore fino alla fine e ci fa conoscere i personaggi
principali, nei momenti
costruttivi e in quelli distruttivi. Ci si affeziona a Leo, la
mascotte del gruppo: neanche un capello in testa, un arto mancante e
il volto del bravo Charlie Rowe. Zoe Levin, vista in Palo Alto, è un paradosso: una ragazza
meschina, senza cuore, che in realtà ha un cuore più grande del
normale e quello è il guaio. Acida e insensibile, avrà la
sua mezza redenzione grazie al personaggio di Darek Kagasoff –
odioso ed odiato protagonista di Vita segreta di una teenager
americana – che non solo qui è tollerabile, ma in uno degli
ultimi episodi – grazie a una svolta toccante –
strappa pure una lacrimuccia. Simpatico e sfortunato il Jordi di
Nolan Sotillo, adolescente in cerca dell'emancipazione; irritante
come pochi personaggi, invece, Emma, ragazza che non mangia e non
suscita empatia. Mentre c'è che va e chi viene, chi muore e chi
torna a casa sulle proprie gambe, in corsia spazio anche
per le storie e gli amori del personale ospedaliero: l'infermiera
amareggiata di un'ottima Octavia Spencer; il fascinoso dottore di
Dave Annable, col capello sale e pepe del Clooney di E.R e
qualche lezione di recitazione presa da quando faceva (male) 666
Park Avenue. Lontani
dall'andamento convincente del pilot – divertente, emozionante,
sincero – gli ultimi episodi, che potevano essere riscritti per
mettere un punto a questa storia non riuscitissima, ma godibile, e invece no. Ho imparato i nomi dei personaggi, ho
sorvolato sui loro difetti, ma non chiedetemi adesso se il gioco
sia valso la candela: francamente, non saprei. (6)
How to get away with murder *o* lo sto adorando, non ho sbatti di finirlo in lingua, ma attendo sempre il mercoledì mattina con impazienza per vedermelo! Il mio preferito è senza dubbi Matt McGorry, preso in simpatia già in Orange is the New Black v_v e a questo proposito, ci hai fatto caso che sono già due attori appartenenti agli stessi cast?! **
RispondiEliminaSì, simpaticissimo lui :)
EliminaSon contenta che alla fine HTGAWM (oddio che sigla infinita XD) abbia ottenuto la tua approvazione :P io sto continuando a seguirlo con la programmazione italiana... anche se son stata tentata di recuperarlo in lingua XD per ora sono riuscita ad aspettare... in futuro chissà LOL mi sa che prima o poi cedo!
RispondiEliminaCedi cedi!
EliminaMozart in the jungle non lo conoscevo come telefilm, gli darò sicuramente un'occhiata così come per How to get away with murder (sebbene quest'ultimo già lo conoscessi :P).
RispondiEliminaPer Red Band Society invece mi è dispiaciuto moltissimo. L'ho adorata come serie ed ho persino comprato il libro dell'autore che ha ispirato il telefilm, però già mi manca tantissimo..
Red Band Society mi è piaciuto fino alla fine, ma quel finale lì - né aperto né chiuso - mi ha un po' infastidito. Arrendetevi e dategli una fine degna, insomma!
EliminaHo in lista Le regole del delitto perfetto, molto curioso di vedere questa serie...
RispondiEliminaTi divertirai ;)
EliminaA lezione di omicidio prima o poi c'andrò, intanto mi unisco all'entusiasmo su quel Mozart così rock e così unico! Che serie!
RispondiEliminaConcordo! Giusto qualche episodio fa perdere ritmo, ma è poca cosa :)
EliminaHow to get away with murder aveva il pilot più figo degli ultimi tempi, poi però è un po' calato...
RispondiEliminaPer qualche tempo l'avevo persino messo da parte, ma negli ultimi giorni sono tornato a prendermi bene e adesso mi manca solo il gran finale!
Comunque di Shonda recupera anche Scandal che è ancora più scandalosamente contagioso.
Mozart in the jungle mitico.
Quanto a Red Band Society è una porcheruola. Guarda Braccialetti rossi, che quella si è una droga! Ovviamente molto nociva, come ogni buona droga che si rispetti. :)
Dedicherò l'estate alla famosa Olivia Pope, mi sa :)
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