giovedì 17 settembre 2020

Recensione: Gli affamati, di Mattia Insolia

| Gli affamati, di Mattia Insolia. Ponte alle grazie, € 14, pp. 170 |

Mio fratello è biondo, robusto, fuma. Mio fratello non mi somiglia. Sembra il maggiore, ma in realtà è di due anni più piccolo di me. Da quando vive lontano, mi manca. Sotto l’ombrellone, in un giorno di mare rubato al mese di settembre, ho trovato un posacenere bianco con i suoi strascichi. Due mozziconi di sigarette, fotografati poi accanto al romanzo che mi è sembrato parlasse un po’ di noi. Di quand’eravamo una coppia di animaletti selvatici, umorali e amorali, ai bordi di una casa dove gli adulti litigavano come bambini. Di quando lui, frustrato e addolorato alla fine del liceo, sognava di ricominciare altrove: alla fine, a differenza mia, ci è riuscito. La nostra era una vita di provincia – la mia lo è tutt’ora –, in una casa zeppa di strepiti e non detti. Per fortuna, però, fuori dalla nostra finestra non vedevamo una realtà simile a quella della fittizia Camporotondo: un buco di culo di diecimila anime, dove i cortili sono usati a mo’ di gabinetti e il desiderio d’altrove si sviluppa fortissimo, selvaggio.

«Però le cose belle le abbiamo trovate lo stesso. Insomma… alla fine, se ci pensi, siamo riusciti a trovarle e a vederle pure se tutto fa schifo, no?». «Sì, siamo riusciti a trovarle. Ma forse non le abbiamo mai capite davvero».
Assoluti padroni di casa, i personaggi di Paolo e Antonio gozzovigliano in mutande davanti alla tivù tra canne, alcol e pizze surgelate. All’apparenza brutti, sporchi e cattivi, covano entrambi segreti e sensi di colpa. Si somigliano perfino nei peccati. Quel loro dolore cencioso li rende protagonisti di un’illusoria affinità elettiva e, mossi dalla pretesa di vivere più intensamente dei compaesani, sfidano ogni giorno il mondo in una gara di velocità. Mentre Paolo è una bomba a orologeria che prova eccitazione fisica nel far danno, Antonio – più sensibile – si lascia comandare a bacchetta e salva una copia di Stoner dalla discarica pur di leggerla di nascosto. E poi c’è una mamma che torna all’ovile, intenzionata a sottrarre i figli dalle macerie; c’è un migliore amico, Italo, che propone lavori dignitosi e nuove sistemazioni; c’è un altro emarginato, l’omosessuale Oscar, di ritorno da Milano per fare chiarezza. Immersi fino al pomo d’Adamo nelle sabbie mobili del Mezzogiorno, come reagiranno Paolo e Antonio quando cambiamenti inevitabili minacceranno di stravolgere i loro equilibri malsicuri?

Dal dolore non ci si può mai liberare del tutto. Ogni sofferenza è un parassita che lascia delle tracce, e quelle tracce, scorie velenose, si ammonticchiano sempre di più e sempre di più fino a ostruire tutto, i capillari e le vene e le arterie. Saturano tutto. Non lasciano spazio a nient’altro.
A farci l’abitudine, c’è serenità nel caos. C’è bellezza nello squallore. Lo racconta egregiamente Mattia Insolia, classe 1995, in un esordio che ricorda le dinamiche del miglior Ammaniti e la fotografia giallastra del cinema dei D’Innocenzo. L’autore siciliano si muove in un panorama poco raccomandabile, ma meno spaventoso che in passato. La provincia, infatti, è stata ampiamente sdoganata dalla narrativa italiana. E bonificata? Dopo ciceroni d’eccezione, Mattia – il più giovane degli autori del filone; il più scapestrato – segue le orme dei predecessori con devozione, rispetta le leggi della giungla e quelle della natura, ma qui e lì tenta sorpassi, svincoli, sentieri sconosciuti. La provincia, e la narrativa che la descrive, è forse un territorio troppo circoscritto?

Eravamo malati di desiderio. Scintille nel buio, abbiamo illuminato la notte e siamo bruciati di incanti e meraviglie.
Nonostante il dubbio tutt’altro che illecito, il tentativo di Mattia emoziona e, a sorpresa, infonde una certa speranza. La sua scrittura è pungente senza essere urticante. Sboccatissima, fa scendere a fantasia lacrime e Madonne. Soprattutto nell’epilogo, eppure cronaca di una tragedia annunciata, sa glissare con coraggio sui dettagli più pietosi e cogliere in contropiede grazie alla commozione di una lettera di sette anni successiva agli eventi raccontati.
Paolo e Antonio, memorabili, sono due stracci intrisi di benzina: il mondo, fuori, è una polveriera pericolosissima; la carcassa di un gatto prima sbranato da un cane cresciuto nella bambagia e infine, per beffa, travolto dalle macchine in transito sulla statale. Ho guardato a loro con la tenerezza di chi vorrebbe ripulirli, addomesticarli. Di chi, in fondo, guardando nell’abisso di sé stesso, nella loro rabbia si è riconosciuto come in uno specchio deformante del luna park. Con Mattia Insolia, con me e mio fratello, condividono il metabolismo veloce e l’inquietudine esistenziale. Perché quando il mondo ti intossica, non può che restarti in ricordo questa fame chimica.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Anastasio – Rosso di rabbia

8 commenti:

  1. Sempre belle le tue recensioni, un po' malinconiche....
    Già dal titolo mi ispira, lo leggerò. Baci.

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  2. Che bella recensione ☺️ il libro di primo acchito non mi ispirava molto, adesso invece mi è venuta voglia di leggerlo :D

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  3. Adesso vogliamo, anzi pretendiamo, tuo fratello che scrive un guest post del blog. ;)

    Quanto all'autore del romanzo, per essere un classe 1995 all'esordio sembra avere già una discreta maturità. Da tenere d'occhio.

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  4. Ciao Michele buona domenica anche a te. Ieri sera mi sono riguardata in TV 'Chiamami col tuo nome'. Ma quanto è bello quel film ?!!!

    "The Brothers", perché no, magari potreste parlare di un film un libro in cui vi trovate in contrapposizione, sarebbe innovativo. Si aprono le scommesse! Attendiamo allora, bye!

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