sabato 30 maggio 2020

L'elaborazione in seconde stagioni da elaborare: Kidding, After Life, Homecoming, Dead to Me

È una delle serie più belle dell’anno. Ma, a malincuore, nessuno o quasi se n’è accorto. Com’è possibile, se interpretata magistralmente e con almeno tre episodi da incorniciare? Lo ammetto, sì: sono tornato anch’io con qualche dubbio dalla famiglia Piccirillo. Un meraviglioso Jim Carrey, allo stremo della pazienza, si era macchiato di un atto terribile. Con una porzione di fegato in meno e un programma da reinventare, nella seconda stagione vive: la crisi matrimoniale con Judy Greer; lo sciopero dei suoi epigoni sparsi per il mondo; il lancio di un nuovo, discusso giocattolo, per ampliare la comunicazione con i fan; il crollo psicologico del padre Frank Langella, in procinto di cedere le redini ad altri. Si può viaggiare indietro nel tempo? Se lo domanda, intanto, il figlio adolescente: messa da parte la fase della ribellione, qui si rifugia nell’impossibile. E la serie torna indietro, sì: alle origini della vocazione di Carrey e dell’avvio di un amore che gli costò molto coraggio; in flashback romanticissimi dove il tempo si ferma come in Big Fish. E il cuore batte più forte. Superiore alla stagione introduttiva, consigliata anche agli scettici, Kidding smorza il surrealismo di Gondry e perfeziona la dimensione corale. Per risalire dal burrone bisogna arrampicarsi sulla mano di un gigante buono: oltre la cascata, così, potremo trovare una riflessione commovente e originale sul lutto, la malattia e l’abbandono. In questi pupazzi di cartapesta, signore e signori, quanta anima. (8)

Già rinnovata per la terza stagione, accolta con immutato calore dai fan, After Life è stata la delusione che non mi aspettavo. Attesa con impazienza per il sano desiderio di sfogarsi in poltrona – di ridere e di piangere impunemente, insomma, come soltanto il buon Ricky Gervais sa fare –, avrebbe dovuto raccontare una nuova fase del lutto del protagonista. Dopo la negazione, la rabbia e la depressione, magari finalmente l’elaborazione. Le svolte della stagione precedete lo lasciavano supporre. Tormentato dallo sconforto, Tony trovava la salvezza grazie al suo pastore tedesco, agli strampalati colleghi di lavoro e a un’infermiera con cui, purtroppo, faticava a sbottonarsi. Ricominciare a vivere significa dimenticare Lisa, scomparsa troppo presto? La seconda stagione di After Life si guarda senza fatica, ma ha un difetto: non va né avanti né indietro. Per Tony non ha mai inizio una nuova fase. Sempre sarcastico e malinconico, trova conforto nelle chiacchiere con un’altra vedova e nei vecchi filmini di Lisa: la sua routine, ripetitiva, mi è venuta a noia. Ogni episodio si conclude con i suoi occhi lacrimosi e con qualche frase fatta sul lutto, con un buonismo arrendevole che proprio non si addice all’autore. Ricky, ma cosa combini? Perché questo buonismo, ancora e ancora? Non c’è traccia del suo genio neanche nei personaggi secondari: a loro sono affidati gli inserti comici, e lì fioccano battute di inutile volgarità su prostata, culi e masturbazione. Zuccherosa e sboccata, stomachevole per l’uno e l’altro eccesso, la serie fa storcere il naso: soprattutto per le premesse tradite. Il “dopo”, infatti, non viene mai affrontato. (5,5)

Era stata una delle sorprese della sua annata. Misteriosa e sofisticata, Homecoming era perfetta così. Lo pensavo ancora prima dell’arrivo della seconda stagione: senza Julia Roberts nel cast, senza Esmail alla regia, e dunque già inutile di per sé. I pronostici erano comunque più felici del risultato effettivo. Spiace dirlo, ma che fallimento è questo ritorno? Prendete l’eleganza e l’ambiguità delle puntate precedenti, buttatele via. Televisivo e convenzionale, con inserti involontariamente comici – Joan Cusack nei panni di un militare senza scrupoli, infatti, è tutta da ridere –, aggiunge pochi tasselli alla storia della Geist Group e dimentica le vicende della terapeuta Heidi, nonostante il ritorno dei personaggi di Stephan James e Hong Chau. Mentre il primo continua a porsi domande sul suo passato, l’altra raggiunge i vertici in un’improbabile scalata al potere: l’azienda che su carta produce deodoranti, in realtà, ha campi sterminati di bacche rosse – antidodo allo stress, nelle dosi sbagliate possono condannare le persone all’oblio. Vittima dell’amnesia, questa volta, è Janel Monàe: la cantante, qui al primo ruolo da protagonista, si sveglia su una barca alla deriva. Insieme allo spettatore, è chiamata a mettere insieme i pezzi. Inutile dirlo, questi ultimi s’incastreranno in maniera prevedibile – tra storie d’amore arcobaleno e personaggi dagli incarichi improbabili – e condurranno a un finale degno di un film d’azione anni Novanta: di quelli in cui i cattivi minacciano di avvelenare una città qualsiasi nebulizzando gas tossici sulla folla. Sconsigliatissima, mal scritta e recitata in maniera zoppicante, ha il pregio isolato della breve durata: sette episodi di trenta minuti, per vederla e scordarla. Senza che la Geist – con i suoi veleni, con i suoi tranelli – si prenda la briga di metterci lo zampino. (4,5)

Che bella coppia, lo scorso anno di questi tempi, quella composta da Christina Applegate e Linda Cardellini. Nonostante la scarsa originalità della serie che le vedeva protagoniste, ero rimasto stregato dai loro tempi comici e dalle sfaccettature dei loro personaggi. L’ennesima variante delle irripetibili Desperate Housewives, a ben vedere, ma con qualcosa di diverso tra le righe: nella loro leggerezza c’era una gravosità impensata; una disperazione che si scorgeva nei gesti, nelle svolte, negli scoppi d’ira o di pianto. Unite inizialmente da un scomodo segreto di morte – la seconda aveva ucciso il marito della prima –, questa volta invertono le carte in tavola: è stata la Applegate, vedova dedita al vino rosso, a uccidere James Marsden, alias l’ex della Cardellini. Chiamate a coprirsi le spalle a vicenda, entrambe colpevoli, partono da queste premesse tragicomiche per mostrarci nuovi aspetti della loro amicizia; di una solidarietà femminile esageratissima che, senza troppe pretese, intenerisce e fa sorridere. Tra cadaveri nei congelatori a pozzetto, vanghe e nuove storie d’amore, nella seconda stagione – giunta inattesa: lo ammetto, non confidavo nel rinnovo – Dead to me calca la mano sull’elemento grottesco e corre a braccia aperte contro i cliché delle commedie nere. Compresi gemelli tornati dal passato, identici in tutto e per tutto all’uomo assassinato: ovviamente, ci si innamorerà di loro. Si finisce per preferire la freschezza insospettabile della prima stagione, ma la compagnia delle assassine della porta accanto non dispiace neanche quest’anno. Bravissime, le protagoniste potrebbero essere una delle coppie meglio assortite del piccolo schermo se avessero dalla loro parte una sceneggiatura più memorabile. Senza rimpianti, con le atmosfere assolate e gli occultamenti di cadavere dello sfortunato Santa Clarita Diet, ci accontentiamo finché dura. (6,5) 

10 commenti:

  1. Kidding l'anno scorso mi sorprese, nell'attesa che arrivi anche in Italia la seconda, felice di sapere che non ha perso in qualità e quantità ;)

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    1. Assolutamente no, anzi, ha guadagnato tantissimo.
      Ho finito la stagione con le lacrime agli occhi, non mi capitava da un po'.

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  2. Devo dire che non ne conoscevo nessuno fra questi, ma mi hai incuriosita riguardo la prima serie TV ☺️☺️

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    1. Il fantastico mondo di Jim Carrey, e del suo nuovo personaggio indimenticabile, va esplorato. ;)

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  3. After Life 2 non va da nessuna parte, ma il punto credo sia proprio questo. Avrei trovato più scontata un'evoluzione forzata.
    Il buonismo l'avevo trovato semmai in Kidding. Parlo però solo della prima stagione, la seconda non ho nemmeno avuto il coraggio di guardarla. :D

    Di Homecoming 2 ho visto giusto la prima puntata. Non mi ha entusiasmato molto, ma d'altra parte non l'aveva fatto nemmeno la stagione 1. La regia forzatamente da primo della classe di Sam Esmail comunque non mi manca. :)

    Dead to Me 2 giace ancora lì, dopo una prima stagione carina ma non troppo memorabile.

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    1. Sei diventato talmente bastian contrario che potresti apprezzare l'aria da B-Movie anni Novanta di Homecoming. In caso, inizierò a preoccuparmi...

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  4. Ah bene. Mi fai desistere dal cominciare la seconda stagione di Homecoming, dopo che la prima mi è piaciuta a livelli inverosimili...

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    1. Piaciuta tanto, troppo, anche a me.
      Questa una mazzata in fronte. Imbarazzante.

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  5. Finalmente oggi ho iniziato Homecoming, e non mi sta dispiacendo troppo. Il formato da 30 minuti di certo fa la differenza. Vedremo dove andrà a parare.

    Kidding quest'anno mi ha davvero stregato. L'episodio del divorzio, il finale e la casa di riposo hanno avuto tutte le mia lacrime e i miei applausi!

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    1. Kidding meraviglia.

      Per una serie leggera leggera, occhio a Non ho mai. Che bella scrittura!

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