Arrivati
alla terza stagione, è un’impresa scrivere di The Marvelous Mrs. Maisel senza il rischio di riciclare gli aggettivi degli anni
scorsi. Davanti a un prodotto che si ripete senza ripetersi –
sempre di gran qualità e all’altezza delle stagioni precedenti, la
serie sul mondo della stand-up comedy riesce continuamente a stupire
con nuove battute al fulmicotone –, cosa dire? Resterebbe da
scrivere soltanto una lettera a Babbo Natale: in un pacchetto ben
infiocchettato, infatti, mi piacerebbe tanto trovare il talento di
Amy Sherman-Palladino. Come pensa quei dialoghi da ascoltare e
riascoltare all’infinito? Come riescono i protagonisti a
pronunciarli senza mangiarsi nessuna delle bellissime parole pensate
per loro? Come può stare al passo un comparto tecnico che, per non
essere da meno, cura allora nel dettaglio le luci, le scenografie e i
costumi di una New York lussuosa come in un musical? Più
scoppiettante che mai, la serie si supera: la terza stagione è la
migliore delle tre. Benché ne abbia fatto una presenza ricorrente
nei listoni di fine anno, in precedenza qualche difetto l’avevo
trovato: soprattutto in una seconda stagione in cui avevo sentito la
nostalgia dei numeri di Midge e percepito come un ingombro le scene
dedicate ai suoi familiari. Quest’anno sono stato ascoltato.
Felicissimo, ho avuto il mio show – tantissimi monologhi, con la
protagonista impegnata in un lungo tour – e non ho patito le
parentesi dei genitori di lei. Protagonisti di uno sconcertante
declassamento, Abe e Rose si trasferiscono dai consuoceri con effetti
esilaranti: con lui impegnato a coordinare un gruppo di giovani
comunisti, toccherà alla consorte – svampita, sì, ma abile in
fatto di cuore – sgomitare per tornare nel West Side. Quella pecora
nera della secondogenita, invece, vicinissima a diventare una comica
di professione, apre con successo gli spettacoli di un cantante jazz:
con il piede in tre scarpe – l’ex marito, l’ultimo fidanzato
mollato, un collega galante –, vola a Las Vegas ma a causa della
sua lingua lunga rischia di perdere molto: compresa la manager Susie,
chiamata a dividersi tra lei e una rivale che vuol darsi a
Strindberg. Ci sono l’aggiunta del sempre in parte Sterling K.
Brown e più battute per Jane Lynch, di cui sostengo la simpatia sin
da Glee. E poi c’è l’insostituibile Rachel Brosnahan, che
piroetta nei piani sequenza, indossa mille abiti diversi, parla a
raffica e – e non si sa come – non si stanca. Non stancandoci.
(8)
La
scoperta di una persona identica a te. Una parvenza di normalità di
mantenere, tra moglie e lavoro. Tutte le gag comiche possibili e
immaginabili all’interno di genere che sin dalla notte dei tempi
prevede scambi e fraintendimenti. Ecco: questo è tutto quello che
Living With Yourself, ingiustamente passato in sordina, non è.
Se a torto, come ho fatto io, si immaginava una commedia in stile
anni Novanta – faccio un titolo in particolare con un’idea
simile: Mi sdoppio in 4 –, la sorpresa potrebbe essere
dietro l’angolo. Lo si capisce presto. Traviato dalle false
aspettative e dalla presenza di un attore spesso coinvolto in
pellicole demenziali, in cerca di un riempitivo a cena, mi sono
trovato invece in compagnia di una dramedy dal taglio indie con uno
spunto degno del Black Mirror delle origini. Cosa saresti
disposta a barattare in cambio di un’esistenza perfetta? Un
pubblicitario pigro e svogliato, su suggerimento di un collega, fa
visita a una strana spa per ritrovare l’ispirazione: non sa che
alla fine del trattamento sarà rimpiazzato da un clone – la sua
versione bella, propositiva, performante. Qualcosa va storto però. E
questi otto episodio saranno guidati dalla verve di un Paul Rudd
doppiamente bravissimo; da due protagonisti con la stessa faccia e
uno spirito agli antipodi, che si contenderanno senza esclusione di
colpi un’unica vita. Se l’uno è un marito disattento che in
ufficio per di più ha perso il tocco magico, l’altro è un
compagno dolce nonché un dipendente pieno di iniziative. Il troppo
storpia, perfezione compresa: allora il clone, proprio come un
novello mostro di Frankenstein, stringe un po’ il cuore con il suo
sentirsi eternamente fuori posto. Amici-nemici, i due Rudd vogliono
uccidersi, scavalcarsi, sostituirsi: fino a un finale rocambolesco e
imprevedibile, che rappresenta tuttavia una bella chiusura in caso di
mancato di rinnovo. Caratterizzato da uno sviluppo sorprendentemente
credibile e da riflessioni talora inquietanti, Living With
Yourself racconta la crisi – quella di un matrimonio a un
bivio, quella di un uomo smarrito perché spaiato – alla maniera
della fantascienza esistenzialista che più piace. Meno leggera del
previsto, per fortuna notata anche dai Golden Globe, questa
convivenza dell’altro mondo è da sperimentare. (7)
Con la fantastica signora Maisel a questo giro sono fermo al primo episodio. Lei è sempre fantastica, appunto, solo che per il momento non mi ha entusiasmato troppo la sua prima tappa per l'esercito. Però devo proseguire...
RispondiEliminaLiving with Yourself ha ricordato anche a me Black Mirror e Mi sdoppio in 4. :)
Ho iniziato a ritmo elevato con i primi episodi, adesso mi sono arenato. Vedremo se riuscirò a finirla.
Su, su! Devi rimetterti in pari! Io sono alle prese con il Morning Show, adoro.
EliminaNon li conoscevo, ma The Marvelous Mrs. Maisel sembra davvero molto carino ☺️
RispondiEliminaMolto più che carino, bellissimo! È su Amazon Prime Video.
EliminaSono ancora indietro con Mrs Maisel, ma la adoro!
RispondiEliminaDi living with yourself ho parlato anche da me. L'ho apprezzata molto seppure non è del tutto riuscita. Terribilmente bravo Paul Rudd, idea da premiare, ma secondo me poteva dare di più sul fronte sceneggiatura... Avrei apprezzato un maggior sviluppo della metafora sull'uomo depresso che non sa più chi è magari.
La serie con Paul ha il difetto di restare leggerissima, però per me funziona ugualmente alla fine. Ha bei toni, belle riflessioni e il cast è ottimo. Qualcosa, non so cosa, effettivamente manca. Però poco male6
EliminaMaisel sempre fantastica, anche se non tutti i personaggi sono centrati, c'è così tanta bellezza da passarci sopra. I tanti balletti piano-sequenza, la parlantina esagerata... ah, datemi nuovi episodi subito!
RispondiEliminaLiving with yourself non riesco a trovare la forza per riprenderlo. Mi ci sono annoiata troppo nei primi episodi, e per fortuna ho tanto da vedere ancora da non avere troppi sensi di colpa.
Peccato per Living with Yourself. Non è niente male!
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