Si
guardano con un sorriso curioso, di sfida, da un lato all'altro di un
caffè viennese. Una bambina che mangia un gelato e una giovane donna
dal viso di bambola. Da copione, sappiamo che l'adorabile Jodie Comer
– già protagonista della miniserie Thirteen, e di una mia cotta
mostruosa – è una spietata assassina. La tensione è nell'aria. Si
alza. Fa per uscire e avvicinandosi alla bimba... Le rovescia
semplicemente la coppetta addosso, per dispetto. Una
detective di mezza età si sveglia invece urlando a
squarciagola: un incubo, forse un brutto presentimento di ciò che
verrà? A far soffrire Sandra Oh, in cerca di un ruolo da
protagonista dai tempi di Grey's Anatomy,
è in realtà quel fastidioso formicolio alle braccia che ci assale
quando ci addormentiamo di traverso. La descrizione di una doppia
beffa, di un doppio incipit, per raccontarvi com'è, una sorpresa
intitolata Killing Eve.
Ironico, seducente, leggero e insospettabilmente violento. Per una
volta, nessun poliziotto vizioso e dannato (anche se sappiamo che la
Oh, la notte prima, ha fatto fuore al karaoke cantando Il
mondo è mio); nessuna
sociopatica giramondo così ligia al dovere da non godersi la
bellezza delle sue missioni (in Italia deve uccidere il nostro
Remo Girone) o il divertimento per i mille travestimenti. Tratto
da una serie di romanzi di Luke Jennings,
Killing Eve è un
Imposters serio ma non serioso; un The Fall
vestito di normalità, di rosa. Cosa accadrà quando la protagonista,
facendo due più due, seguirà in giro per l'Europa le tracce di
sangue e gelato della sadica Comer? Se
l'alternarsi dei toni stranisce e spiazza, se adatta Phoebe Waller
Bridge – protagonista e autrice dell'irresistibile Fleabag,
di cui aspetto ormai da anni il ritorno su Amazon –, difficile dire cosa
aspettarsi. Si spera cose altrettanto assurde, in senso buono. Si spera cose
belle. (Sì.)
Lui
professore di Filosofia con il vizietto delle prostitute d'alto
bordo. Lei analista che ha presto abbandonato la professione, in nome
di un matrimonio lungo trent'anni e di una famiglia popolosissima. Un
colombiano omosessuale, una stilista africana e un vietnamita
psicologo – aggiungeteci anche la più anonima e irrequieta delle
diciassettenni, sola figlia naturale – sono i tesori di mamma e
papà. Riunirsi per il compleanno del patriarca, che spegne sessanta
candeline. Assoldare camerieri
ispanici e, per principio, scegliersi l'amante orientale. Gli hippie e progressisti Boatwright osteggiano Trump, parlano
liberamente di sesso e allucinogeni, sono il frutto concreto – e
aspro, asprissimo – di una America che crede ancora
nel sogno dell'integrazione razziale. Non è una
versione nera, politicamente scorretta, dei drammi domestici di This is us. O forse sì? Gli episodi sono lunghi un'ora, i corpi e i cuori
esposti e le prime crepe, al momento del brindisi, iniziano a
mostrarsi in quel paradiso multirazziale. Il figlio prediletto ha un
nuovo fidanzato hipster e visioni deliranti. Perseguitato dal numero
undici, dagli incubi, è indeciso fra la schizofrenia (ereditaria,
anche se i geni non son quelli) e il profetismo (siamo pur sempre
nell'ultima crezione dell'autore di True Blood, perciò mai
dire mai). Il formato, i protagonisti snob e prolissi, annoieranno o
diventeranno guide familiari alla scoperta delle contraddizioni di un
nido – e di un paese, soprattutto – in pericolo? Per ora, al
sicuro sotto il tetto dei premi Oscar Holly Hunter e Tim Robbins, la
curiosità verso i segreti retroscena dei Boatwright – antipatici
ma simpatici a modo loro, come nella commedia generazionale di John
Wells – fanno sperare in un altro invito a cena. (Nì.)
Una
scuola di provincia. Un professore illuminato, alle prese con il
compito che tutti rifiutano. Un gruppo di ragazzi che non hanno
niente in comune, se non il canto. A volte un sogno nel cassetto,
altre un segreto da nascondere con un po' di vergogna. I
preparativi per uno spettacolo teatrale che fa chiacchierare il corpo
docenti – lo scantaloso Spring Awakening, che parla agli
adolescenti del risveglio della primavera e del sesso – farà
incrociare esistenze e voci diverse fra loro. No, non è un trucco:
non è Glee, ma la sua
versione indie, d'autore, a confine con L'attimo fuggente.
Protagonista, Josh Radnor: il Ted di How I Met Your
Mother, con tre figli a carico,
il cuore gentile e la speranza di cambiare lo status quo. Lui e Mike
Cahill, regista nelle mie grazie sin dai tempi del fantascientifico
Another Earth,
dirigono un coro di ragazzi diversi, ai margini, che molto
probabilmente non hanno però nulla di nuovo da cantare. Con le
minoranze e i drammi stipati fino al parossismo in quaranta minuti
di pilot in cui omosessualità, immigrazione e sindrome di Down sono
vittime del pregiudizio (ma, per forza di cose, anche dei contro del
politicamente corretto). Con un utilizzo della telecamera a mano che
annoia e appesantisce. Trattandosi di un teen drama – per di più a
tinte musical, con arie da Sundance: tutte cose che mi piacciono,
insomma – potrei dare a Rise, eppure partito disastrosamente, una
seconda occhiata. Nonostante gli sbadigli, la delusione per le stonature e un inizio già col piede in fallo. (No.)
Mi fido del tuo "sì" per quella Eve che ancora non conosco ma che ha gli elementi giusti per piacermi, è un sì per me Here and Now, quasi finito, quasi divorato nonostante il tempo giocasse contro. Sono dei Pearson molto più scorretti e reali, ma mi sono affezionata, mi sono trovata coinvolta.
RispondiEliminaÈ un "no" per Rise, lo era a scatola chiusa, lo rimane vista la tua conferma ;)
Here and Now era sì, decisamente, ma non ho ancora trovato la voglia di proseguire. Da lì, per quel che vale, il bollino giallo.
EliminaDi Killing Eve, oggi, ho visto la seconda puntata: niente di originale, ma tra le protagoniste e i toni surreali, che mix!
Killing Eve mi sta piacendo moltissimo e spero davvero che mantenga le promesse. Anche Rise non mi dispiace in verità, complice il fatto che anche una persona con un inglese non ottimale come me, può tranquillamente guardarlo in lingua senza sottotitoli. Diciamo che un buon passatempo.
RispondiEliminaSperiamo, speriamo.
EliminaSu Rise: dici che faccio bene a dargli un'altra possibilità?
Difficile dirlo, dipende dai gusti. Magari dai una possibilità alla seconda puntata.
EliminaA me il genere e i toni piacciono, su carta, ma il pilot mi era parso un calderone un po' (tanto) pasticciato. Vedremo!
EliminaKilling Eve me lo segno gli altri li passo serena! I tuoi post riescono sempre a incuriosirmi!
RispondiEliminaGrazie, Saya!
EliminaNon sono del tutto d'accordo, a questo giro.
RispondiEliminaJodie Comer è troppo adorabile per fare la serial killer e Killing Eve è una serie simpatica, ma non mi sembra distinguersi troppo da altre storie di caccia all'uomo (anzi, alla donna) simili. Da Phoebe Waller Bridge mi aspettavo qualcosa di più particolare...
Here and Now un po' pasticciata, finale di stagione assurdo un po' così, però me la sono guardata con grande piacere. Mi gusta la definizione di versione nera di This Is Us. ;)
Il pilot di Rise l'avevo stroncato anch'io. Ho però avuto il coraggio di proseguire e adesso devo dire che mi sta prendendo bene. Non è che sia una serie bella, però è una di quelle che si fanno vedere provando un mix di simpatia/antipatia nei confronti dei suoi personaggi e delle sue situazioni molto da teen drama.
Secondo me, invece, il bel visino della Comer e una detective "casalinga" come la Oh aiutano moltissimo, nonostante la trama sia tutto sommato già vista. Non me lo aspettavo e, prima di qualche giorno fa, non sapevo neanche ci fosse lo zampino della Waller Bridge.
EliminaHere and Now boh. Pilot piaciuto, ma fiutavo stranezza, e pesantezza. Chissà se lo ripescherò mai dal cestone dei nì.
Invece, tra te e Beth, è deciso che riproverò con Rise. Anche se Glee, più trash, più ironico, faceva tutta un'altra musica.