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L'ultima diva dice addio, di Vito Di Battista. Sem, € 15, pp.
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Un
appartamento in stile Liberty nel cuore di Firenze. Uno di quelli
lussuosi, rari, in un palazzo con balconi a vista e l'Arno a un
passo. Si sale al terzo piano senza ascensore e, giunti sull'uscio, è
buona abitudine togliersi le scarpe. Per non disturbare il sonno
della vedova al piano di sotto che nelle notti, negli anni, ha tanto
patito il passo pesante degli ospiti altolocati, il battere sincopato
dei tacchi, lo scalpiccio dei passi a due. All'interno, una penombra
di abat-jour e merletti, di foto senza colori. I lampadari dondolano dai soffitti,
inutilizzati, e accendendoli sembrerebbe di peccare di tracotanza. Di
interrompere la sacralità di quelle confidenze sussurrate, di quelle
notti bianche che celano ad arte le rughe d'espressione e, con la
città addormentata, spingono i nottambuli a scoprirsi intimi. Il
frusciare di un registratore. Le scenografie fisse di un dramma da
camera in cui i successi, i drammi e gli amori avvengono fuori scena:
rievocati da parole che rianimano il passato e, inevitabilmente, lo
plasmano.
Non
esiste abitudine per la bellezza.
A
metà fra la ribalta e il retroscena siede un giovane uomo che, nel
1974, ha ventisette anni e una crisi esistenziale in corso. Laureato
da quattro anni, originario del Sud, ha modi alteri, d'altri tempi,
che gli permettono di sacrificare a cuor leggero il presente per il
passato, l'amore per la memoria. Innamorarsi gli appare perciò
troppo banale, come l'allontanarsi a suon di divagazioni da argomenti
che non siano l'arte e le sue eterne muse. L'insonnia: la sua benedizione.
Mentre il capoluogo toscano dorme il suo sogno di bellezza, così, un
protagonista senza nome prende sottobraccio una donna il cui nome è
invece sinonimo di leggenda. Lei siede fumando al centro del
palcoscenico, con un taglio di capelli assai audace per una settantenne e una
tazza di tè che rabbocca spesso con generosi sorsi di vodka.
Per tutto il tempo si rivolge al suo interlocutore con un garbato
mio caro, e parla. Non
temendo la teatralità di certi silenzi o, come la Norma Desmond
dell'intramontabile Sunset Boulevard, implacabili primi piani.
Si chiama Molly Buck e, non si sa bene perché, ha accettato di
alleggerirsi l'anima e il cuore prima che la reclusione in Costa
Azzurra e i fuochi di Capodanno le rubino l'ultimo respiro. Fan,
ladro, il protagonista origlia, legge ciò che non forse non
dovrebbe, parte. In cerca di quel passato – un figlio illegittimo,
una sorella prostituta per scelta, un nobiluomo dal ruolo sfuggente –
su cui lei glissa ad arte.
Il
punto, mio caro, è che ci vuole coraggio a lasciare un segno di sé
in una qualunque altra forma che non sia la memoria delle persone.
Perché quella, lo sappiamo bene, dura troppo poco, ma il cinema no,
è lì e ci starà per sempre.
L'ultima
diva dice addio, biografia fittizia di un'attrice che non c'è, è
la storia di un'epifania. Di un tarlo dolcissimo che prima spinge a
colmare i vuoti nell'infanzia della candidata al premio Oscar, poi a domandarsi che senso abbia
infrangere l'illusione di un'esistenza spesa a regalarne, di
illusioni. Quando il cinema si chiamava come lei, i rotocalchi e i
giornali scandalistici scarseggiavano. Le stelle risaltavano meglio
nel dubbio, nell'oscurità del mistero. Strano ma vero, a volte
trovavano il corraggio di arrendersi alla resa dei conti; di
rifiutare le telefonate di agenti che disturbano la quiete del loro
pensionamento anticipato con proposte di spot o fiction
da poco. L'intervistatore sbircia dietro il copione, oltre la
maschera. Smista mazzi di foto in bianco e nero, in cui ogni anno è
indicato da un nastro dai colori diversi. Siede sulle panchine e nelle
case d'asta, segue fantasmi di vecchi amanti per strada. Nella Buck
c'è luce anche a luci spente? Se le parole sono una promessa di
resurrezione, ci si nega per discrezione il lusso del contatto umano;
di un abbraccio fra generazioni e mondi agli antipodi. Sulla scia
delle riflessioni di Loving Vincent e Final Portrait,
l'esordiente Vito Di Battista – pensate com'è piccolo il
mondo: per un semestre ho avuto il fratello minore come compagno di
corso, all'università – debutta con una storia nella storia a proposito del tempo
che fugge e di una memoria, quella dell'inchiostro, che non tradisce.
Perché
in realtà, mio caro, ci basterebbe anche solo l'illusione, e anche
solo per un momento, di riavere indietro un po' di quel tempo in
cui eravamo ancora nessuno, un tempo che ci ha lasciato in bocca il
sapore più gustoso e la più bella fra le scoperte possibili: tutto
quello che potevamo diventare.
Raffinato, algido, coltissimo, lo scrittore abruzzese ha frasi preziose come
camei e, in apertura di capitolo, un refrain costante; la stessa
indole elitaria del narratore, soprattutto, purtroppo poco affine alla mia. Mi sono domandato più volte quanto fosse maturo e quanto artefatto, in un
ritratto dietro un vetro smerigliato – vedasi la foto in copertina
– che affascina coi vedo-non vedo, ma rischia di renderci
parzialmente estranei. L'ultima diva dice addio è
l'eredità di un'ossessione che non ho fatto mia, un'epifania a metà.
Ma un esordio a passo di valzer che sa imporsi comunque, pur parlando
di commiati. Si spegne così l'abat-jour nel salotto di Molly Buck.
Ci si infila le scarpe lasciate sullo zerbino e si va via. Per
un'illusione ottica il fiume scorre al contrario, come al contrario
scorre fra queste pagine la vita dell'attrice venuta al mondo quando
Méliès atterrava su una luna panciuta – c'è un termine inglese
per dirlo, racconta Di Battista: l'elegante e intraducibile waltzing
back. Restano allora i fantasmi dei
successi passati, un taccuino che pesa in tasca e un pulviscolo
leggero, all'alba di un altro giorno senza Molly, come fosse polvere di
stelle.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Umberto Bindi – Il nostro concerto
Sembra davvero molto bello, credo che potrei prenderlo se scende di prezzo :)
RispondiEliminaSperiamo. Un po' caro per il numero di pagine, effettivamente, ma è una bellissima edizione (non conoscevo la Sem, fra l'altro, che ha un gran catalogo). ;)
EliminaPare interessante, ma non fino in fondo.
RispondiEliminaPotevi dire al tuo compagno di corso di consigliare al fratello di impegnarsi di più. :)
Alla prossima, riferirò meglio. ;)
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