lunedì 26 febbraio 2018

Mr. Ciak - And the Oscar goes to: La forma dell'acqua | The Post

Era il La La Land di quest'annata, per numero di nomination, fazzoletti stropicciati a Venezia e un romanticismo d'altre epoche, d'altro cinema. Se per l'impazienza di vedere il musical di Chazelle avevo macinato però chilometri il primo giorno di programmazione, per l'ultimo Del Toro – stimatissimo ma non sempre venerato, non sempre seguito a scatola chiusa nelle sue irruzioni nel blockbuster – ho aspettato quel tanto che bastava ad ascoltare qualche parere contro, a nutrire dubbi su quanto magico fosse. Leggevo, infatti, di una sceneggiatura tutt'altro che a tenuta stagna. Di citazioni spesso a confine con il plagio (vedasi le rimostranze di Jeunet) e di occhi asciutti all'arrivo dei titoli di coda. Toccava vederlo e basta, ho capito. Tolto il dente, tolto il dolore. Soprattutto, tolto il sospetto che potesse deludere, quando le porte del solito multisala mi hanno restituito a piogge da giudizio universale, tanto simili a quelle che qui infradiciano la Baltimora degli anni Sessanta, e rubato le parole di bocca. La bellezza della Forma dell'acqua – fosco, sanguinoso, dolcissimo – sul momento mi ha stordito. Non può parlare nemmeno Elisa, timida donna delle pulizie che condivide un appartamentino pittoresco con il sensibile Richard Jenkins, coinquilino omosessuale dai consigli paterni sempre pronti, e segreti governativi con l'irresistibile collega Octavia Spencer, nel classico ruolo della matriarca ciarliera e orgogliosa alla Octavia Spencer. Shannon e Stuhlbarg, caratteristi eccelsi quasi usciti dai mondi di spie sovietiche e tic nervosi dei fratelli Coen, hanno strappato dalla laguna, in catene, un mostro marino. La creatura, contesa da americani e russi in piena Guerra Fredda, sente. Mangia un povero gatto d'appartamento, ma glielo si perdona. Si rifugia malinconicamente nel cinema sotto casa, se si perde. In pausa pranzo ama le uova sode, il linguaggio universale della musica classica e le gentilezze della donna che vorrebbe restituirlo al mare – la straordinaria Sally Hawkins, eppure etichettabile come bruttina a un'occhiata superficiale, sa sedurre con un misto di candore e civetteria, attenta agli accostamenti della mìse e alle richieste private del suo corpo di donna, audace con le scene di nudo integrale e gli stratagemmi che le permettono di unirsi carnalmente all'ospite in un'incredibile stanza-acquario. La protagonista non ha branchie, ma cicatrici longitudinali all'altezza della laringe. Non parla, ma è talmente espessiva, talmente comunicativa quando sbraita o si impunta, da rendere vana la comparsa dei sottotitoli in sovraimpressione. Magnifica creatura anfibia che sa conquistare le acque e la terra, uccidere, ridere e fare l'amore, questo novello La Bella e la Bestia a spasso nel Favoloso mondo di Amélie è un gioiello dell'emozione che rinnova in poltrona il colpo di fulmine per la settima arte. Del Toro ruba qui e lì, come fanno i ladri e gli artisti gentili, e sulla scena del crimine, nella cassaforte vuota, lascia in pegno tutta la poesia e l'orrore di cui l'ho scoperto capace ai tempi del Labirinto del fauno. Voler dire troppo, tutte e niente, e non avere il dono delle parole giuste. Per fortuna si sopperisce con le mani, con il luccicore negli occhi. In un film in cui, se non lo si sa dire, lo si canta trasferendosi nel bianco e nero di un musical sognante. In una fiaba splatter in cui l'inserviente muta si innamora corrisposta di un Dio ricoperto di squame, e noi di loro. Altro non posso e non lo so dire, no. Quindi tuffatevi. A recuperare quella scarpetta rossa che se ne va piano, pianissimo alla deriva. A vedere come fa, un cuore di conchiglia in cui accostato l'orecchio puoi sentire battere e rombare il mare. (8,5)

Ogni anno c'è il film che mi pesa recuperare. Quello politicamente schierato. Quello, dicevamo, che si crede degno di lode soltanto perché indigesto. Già con il sopravvalutatissimo Spotlight non più appassionante ed esaustivo di una pagina Wikipedia, ma con un tema scabroso che ispirava comunque i travasi di bile, la rabbia – avevo mostrato la mia freddezza davanti al thriller d'inchiesta. Di solito pagine di storia poco indagate in passato, ma pur sempre pagine: informative, impersonali, freddissime. Anche quest'anno immancabile qualcosa come The Post, che immancabilmente non stupisce. Dramma giornalistico che nell'era Trump parla di presidenti truffaldini e libertà di stampa, il film del rigoso Spielberg – ritrovato in forma smagliante, lui sì, dopo il fiasco del Grande Gigante Gentile – segue i i giornalisti del Post alle prese con un caso di coscienza e uno scandalo presto scalzato via da Watergate. Quattro presidenti, il governo, hanno a lungo mentito sulla natura e la gravità della guerra in Vietnam. Tacere ed esserne complici? Denunciarli con tutte le ritorsioni personali del caso ma così facendo rilanciarsi, a discapito della concorrenza omertosa? Le decisioni spettano al caporedattore Hanks, per fortuna meno protagonista del previsto, e alla proprietaria del giornale – una Streep non particolarmente meritevole ma da al solito da manuale (basti guardare il modo in cui temporeggia al telefono, si tormenta bocca e mani), alla quale tocca riconoscere i pochi sprazzi di umanità in un cast che, per il resto, poco eccelle con i suoi inservibili volti televisivi. La guerra: mostrata solo nell'incipit. Il resto: dialoghi teatrali a raffica, ora alla cornetta e ora attorno a una scrivania, pieni di nomi, dati e date, che non annoiano soltanto da metà in poi, pur facendo costantemente pesare la mancanza di un Aaron Sorkin alla sceneggiatura. Tecnicamente inappuntabile, scorrevole grazie a una regia concitata, The Post ignora la dimensione individuale dei suoi protagonisti e, nel tentativo di risollevasi con una morale femminista altrettanto attuale, predilige alla fine la prospettiva della direttrice. La sola a mostrarsi in borghese, fragile e confusa davanti alla figlia Alison Brie, insieme a Sarah Paulson, moglie di Hanks lasciata ai margini. Questo e quell'altro politico bugiardo, ampie falcate da una redazione all'altra, dilemmi lunghi due ore, il rullo dei macchinari di un'inchiesta che infine va in stampa come risaputo. Non aggiungendo nulla alla verità, all'infinita filmografia di Spielberg, ai meccanismi raffinati dell'intrattenimento d'autore. Al pari un articolo bomba che, ormai, non fa più notizia. (5)

19 commenti:

  1. The post nn è il mio genere,invece La forma dell acqua lo voglio vedere, ne sento parlare più che bene, plagio o non plagio :-D

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  2. Sono d'accordo con te su The post, mentre mi trovi decisamente in disaccordo su La forma dell'acqua. Suggestivo sì, fiabesco sì, ma due o tre scene al limite del surreale. Per non dire inadatta. Cito su tutti quella del bagno, o quella musicale. Peccato, si poteva fare meglio.

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    1. Per me, fortunatamente, uno come Del Toro può permettersi tutto. Senza risultarlo mai, inadatto.

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  3. Felice di saperti così preso da The Shape of Water, me lo sono rivista anch'io, con il giovine, per ritrovare l'amore che poi presto si deve mettere da parte a Venezia, in vista di una nuova visione. E sì, l'ho ritrovato, tra lacrime di ringraziamento e commozione.

    Con The Post potrei aver scritto e pensato lo stesso, ma nonostante la retorica che Spielberg non ci risparmia, c'è un messaggio di fondo, una lezione quanto mai attuale ai giornalisti di oggi, che condivido in pieno. E quindi, nonostante tutto, mi ha convinto. Ma sì, continuo a preferire e tifare chi, come McDonagh e del Toro e Guadagnino, si discosta dalla Storia e crea nuovi mondi, o amori.

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    1. Aspettavo La forma dell'acqua sin dal tuo post, a settembre, e fortunatamente l'attesa è stata ben riposta. Lo rivedrei anche adesso.

      Con The Post hai senz'altro ragione, è un film di una certa urgenza al giorno d'oggi, ma non ho saputo andare oltre alla noia.

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  4. Ormai mi sono messo in testa che The Post devo recuperarlo, nonostante la tua recensione si accodi a quelle tiepide che ho già letto. Vedremo appena posso.

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    1. Se queste storie ti appassionano - io salto anche i telegiornali quando posso, figurati, vado di news -, non darmi retta. ;)

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  5. La forma dell'acqua molto bello, però La La Land volteggia comunque su un altro pianeta.
    Forse con un pizzico di La Bella e la Bestia e di Amelie in meno sarebbe stato ancora meglio... :)

    The Post insopportabile. Al confronto persino il non particolarmente esaltante caso Spotlight è un capolavoro. E Meryl è odiosa anche quando temporeggia al telefono ahahaha

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    1. Questa volta, per questo post, concordiamo pienamente. Anche parlando di numeri, se ricordo. :)

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  6. Vabbé, La forma dell'acqua è amore. Punto. Non aggiungo altro a quello che ho già scritto ovunque.
    The Post a me è piaciuto, e parecchio. Adoro quel genere di film vecchio stampo ma comunque con qualcosa da dire e Spielberg è sempre una garanzia!

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    1. Diciamo che Spielberg l'ho preferisco alle prese con il genere che me l'ha fatto amare da bambino. Curioso, infatti, per lo sci-fi in uscita a marzo.

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  7. La forma dell'acqua, ce l'ho. Tra l'altro è stata la mia prima volta al cinema da solo, non poteva capitarmi film migliore per l'occasione. Grande emozione, per tutto! Scorre via una meraviglia, con tutte quelle cose dentro. Hai ragione su Octavia Spencer nel classico ruolo alla Octavia Spencer :D a me piace tantissimo proprio per questo, non so, la trovo rassicurante, un po' come Diane Keaton e i suoi maglioni a collo alto ahahaha

    The Post, invece, mi manca. E per ora va bene così :)

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    1. Ah, la segreta gioia di andare al cinema da soli.
      Soprattutto a vedere, poi, cose così belle.
      Buona la prima!

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  8. Devo ancora vederli entrambi ma: The post non voglio vederlo, non mi interessa, e Meryl Streep e Hanks sono troppo politically correct per i miei gusti ormai. The shape of water devo ancora vederlo invece e voglio vederlo: anch'io però ho sentito pareri discordanti. Staremo a vedere. Avrei voluto vederlo prima degli Oscar, ma ahimé non ce la faccio quest'anno a vederli tutti!

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    1. Ogni anno, Carlo, in effetti è una corsa, anche se quest'anno la distribuzione - lasciamo stare I, Tonya, in uscita a fine mese - si è comportata meglio del solito. Evitabilissimo The Post, se già lo spunto non ti intriga di per sé. Fammi sapere, invece, come va con Del Toro.

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  9. I difetti di The Post sono conclamati, trovo comunque incredibile che un film melenso e ruffiano come La forma dell'acqua abbia ipnotizzato così tanti! :)

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  10. ho visto ieri la forma dell'acqua e boh nulla di nuovo. Carino l'inizio sul finale ho trovato un po' di brodo allungato. in generale mi è piaciuto ma non ho trovato nulla di eccezionale.

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