Una
ricca ereditiera col pallino del bel canto si esibisce in sale
pienissime. Il pubblico la
adora, e lei si dà a inchini e virtuosismi sotto le luci della
ribalta. O almeno così pensa. In realtà ha il solo primato di
essere la cantante più stonata al mondo. Lei non lo saprà mai,
forse. A proteggerla, una schiera di lacchè e portaborse che pendono
dalle sue labbra, corrompono i detrattori, si affezionano la platea
con lauti assegni. La donna non deve pensare che al trucco coprente,
al sorriso bianco, alla parrucca ben fissata. Giusto ingannarla, e
giusto ingannarsi? Florence Foster Jenkins è una commedia
sofisticata che ha tanto in comune con l'ultimo Allen passato in
sala: la cornice, finemente intarsiata; i lustrini e i caffè; quegli
anni '30 che erano precarietà e fumo. Tutto è illusione e, se non
ci risvegliano dai sogni di gloria i bombardamenti o una malattia
debilitante, è un nulla mettere a tacere i malparlieri. Sembra
sciocca a prima vista: vanagloriosa, sgolata, infantile. Non si
accorge che i suoi acuti disturbano il sonno del mio gatto. Non sa
che ridiamo fino a farci venire il mal di pancia, e di lei. Va per i
sessanta, da cinquanta convive con la sifilide, da venticinque ha
sposato un attore inglese senza arte né parte che alle sue spalle ha
un'altra compagna. Derisa di nascosto, ma protetta sotto una campana
di vetro, Florence fa sì che subentri presto un nuovo sentimento, la
compassione; infine la tristezza. Per una bugia fragilissima. Per
una missione – spalleggiarla tacitamente -, che si trasforma in
amore. A mettersi in gioco, senza paura e rischio di cadere nel
ridicolo, una Streep verso cui sembra inutile spendere aggettivi di
troppo: sotto il mascherone gaudente, una donna circuita, dolorante,
abbandonata. A sorpresa, però, Florence Foster Jenkins non è
lo show in solitaria preannunciato. Questa Streep meno d'impaccio
permette l'affastellarsi tutt'intorno di una serie di figure che si
curano di starle al passo: un maturo Hugh Grant, marito opportunista
ma premuroso; l'esilarante pianista di Simon Helberg, le cui
espressioni di sgomento dicono più di mille parole. E, sempre a sorpresa, il
leggerissimo Florence Foster Jenkins leggero non è lo così
tanto. Gli strilli sono esagerati, le facce e i gesti ricordano la
slapstick comedy, ma se dirige il premiato Stephen Frears –
garanzia di classe e giusta misura, qui vicinissimo ai toni di Lady
Handerson presenta – la farsa avrà un retrogusto amaro.
Metterà profonda tristezza. Il regno di giullari e stornelli della
trasognata Florence, tutta felice con il suo trono di ovatta e la
corona di carta stagnola, non è per sempre. (7)
La
single delle single è tornata. “Di nuovo?”, uno dice, ricordando
un trascurabile secondo capitolo e non celando un moto d'insofferenza
verso quei sequel che, su carta, sembrano fuori tempo massimo.
Qualcosa è cambiato: Helen Fielding ha dato alle stampe un romanzo
in cui Darcy tirava malauguratamente la cuoia e l'espressiva Renée
Zellweger si è allontanata dalle scene, cedendo al fascino del
chirurgo. Tanta acqua è passata sotto i ponti, e l'idea di una
pellicola conclusiva ha fatto infiniti vai e vieni in casa Miramax.
Saprete che l'eroina dei primi anni Duemila è più magra, più tirata, più confusa del solito.
Ormai quarantenne, messa in allerta dall'orologio biologico e a
tappeto dagli aperitivi, ha passato due notti di fuoco di fila: una
con l'americano Patrick Dempsey, milionario dal cuore d'oro che ha
sostituito Hugh Grant, qui assente giustificato; un'altra con Colin
Firth, che per Bridget resta un tasto dolente. La coppia felice,
infatti, è scoppiata. Al cinema si resuscita l'amatissimo Darcy,
facendo carta straccia di quel terzo romanzo così avversato in rete,
e la protagonista è in dolce attesa. Ma di chi? Ci si riprova e, tra
grasse risate, poligoni sentimentali e dilemmi, questa Bridget
rivista e corretta sorprende con uno dei pochi sequel in grado di
rivaleggiare per ironia e leggerezza con il capostipite. Bridget
Jones's Baby non ricicla situazioni e non snatura i suoi
personaggi: accanto allo scoppiettante trio - che non risente
dell'assenza di Grant, né di quel ritocchino a cui tocca giusto fare
gli occhi -, regalano spunti comici la ginecologa della Thompson e la
sboccata conduttrice Miranda. I test del DNA si fanno in diretta
tivù, l'epilogo sarà agrodolce per uno degli aspiranti genitori, la
visione di una mamma con due papà confonderà i benpensanti. La
femminista Bridget sta al passo. Scambia la struggente All by my
self per un pezzo tutto da ballare nella sua mansardina
solitaria, vede i suoi amici omosessuali parlare d'adozione e, in
ufficio, assiste a tagli netti con la scusa del rinnovo
generazionale. Lei, quindici anni e un dimenticabile capitolo
centrale dopo, è ancora sul pezzo, anche se la vanità ha rischiato
di intaccarne la simpatia. E, maestra nell'arte di arrangiarsi e di
figuracce, trasforma un prodotto dato per spacciato, così, in un
intrattenimento perfetto. I nodi vengono al pettine; ci si scopre non troppo stravolti; si ride rumorosamente, non sbugiardando l'umorismo british. (7)
Frank
e Brenda si amano follemente. Prigionieri, aspettano la libertà.
Siamo in un supermercato popoloso, colorato, libertino, e gli
innamorati ostacolati in questione sono una salsiccia e un panino:
fior di metafora. Lui in una confezione, lei in un'altra, sperano di
unirsi nel momento in cui un acquirente qualunque li metterà nel
carrello. Oltre le porte automatiche immaginano il paradiso. Presto,
tuttavia, scopriranno di essere stati ingannati: il loro destino è
essere mangiati in un solo boccone da americani a un passo
dall'obesità che se ne fregano di carboidrati e veganesimo.
Riusciranno a ribellarsi? Se l'incensato Inside Out mostrava
cosa accade alle emozioni di una bambina che cresce, l'incensurato
Sausage Party si fa carico di un intento altrettanto nobile:
quant'è triste, ditemi un po', l'avvenire di prodotti alimentari e
beni di prima necessità, a un passo dalla "strage" del quattro luglio?
Tra le corsie di un supermercato come non l'avete mai visto prima,
due moderni Romeo e Giulietta, minacciati da un'antagonista
d'eccezione – la perfida Lavanda vaginale, ferita nell'orgoglio –,
affrontano sconvenienti triangoli sentimentali, avventure e tabù.
Nel mirino: cibi spazzatura, vegetariani e bigotti benpensanti.
Nonostante già a scatola chiusa le idee di Sausage Party
apparissero totalmente folli, con allusioni e doppi sensi che
disconoscevano qualsiasi pudicizia o senso del decoro, il cartone
animato vietato ai minori rivela nel suo strabordante e
sconclusionato epilogo l'irresistibile morbosità dei suoi autori,
nonché gli intossicanti ingredienti dell'impasto. C'è anche qui
l'olio di palma, chiederanno le mamme preoccupate? Con lo zampino dei
soliti Seth Rogen e Evan Goldberg, dove la volgarità non ha misura e
alle grassissime risate non c'è freno, tra ammucchiate equivoche e
carneficine, la corretta alimentazione è l'ultima cosa di cui
preoccuparsi. Da questo orgiastico banchetto animato, in cui non so
se il genio o l'idiozia prevalga, si astengano dunque pargoli e animi
delicati. (6,5)
La
famiglia Zander è composta da sole donne: una madre e due figlie che
sbarcano il lunario leggendo le carte e dando agli acquirenti
l'illusione di parlare coi cari estinti. Un po' ciarlatane e un po'
filantrope, si muovono nella sgargiante Los Angeles degli anni '60 in
cui, sulla scia delle mode, arrivano le prime tavolette ouija. Un
altro trucco per i loro show, finché la piccola di casa non dimostra
che c'è vita oltre la morte. Ricettacolo di voci e spiriti, canale
del male, Doris preoccuperà tutti con i suoi segni di squilibrio
interiore. Rendendo infernale la convivenza e autentica l'attività
di famiglia. Due anni fa, arrivava in sala Ouija. A memoria,
tra i film più brutti e inutili della sua annata. Storia di
possessioni spiritiche e magioni infestate di cui non serbo ricordi
dettagliati, figuriamoci rancore, ha avuto presto il suo immancabile
seguito. A fargli dare una seconda chance, la regia di Mike Flanagan:
giovane regista che, accanto a James Wan, è tra i freschi nomi di
punta in materia di brividi e spauracchi in poltrona. Se l'autore di
Sinister e The Conjuring, però, ha da tempo trovato una
propria cifra stilistica – il secondo capitolo ispirato alle
indagini dei coniugi Warren, ad esempio, è un gioiellino di buon
gusto -, lo stesso non può dirsi del collega. Promettentissimo su
carta, ma in cerca del film della svolta. L'origine del male non
è la possibilità che Flanagan aspettava, tradizionale e lontano
dalla memorabilità com'è; con a mente gli sbadigli e gli scivoloni
del capostipite, che si prestava alla facile ironia e alle
stroncature secche, è impossibile non riconoscergli, però, pregi
lapalissiani. Non li si cerca di certo nella trama: intreccio
convenzionale, che prevede agenti immobilari inaffidabili, case dal
passato oscuro, bambine demoniache sensibili al male e finali coi
puntini di sospensione annessi. Ma quella padronanza, quella tecnica
a cui mancano ancora le viscere e il cuore, fa la sostanziale
differenza. L'origine del male è tanto classico, troppo, ma
lì stanno i pro: una confezione elegantissima, ambientazioni retrò,
colori pastello con innesti noir. Trascurabile, va da sé, ma
affascinante. Anche se l'occhio attento e vanesio indugerà sulla
bellezza, trascurando sbavature minime e mostri conosciuti. (6)
Ciao Mik, ho visto Bridget Jones e ho riso. Mi spiace solo per la faccia della Zellweger che ha perso ogni espressività. Gli altri film penso di passarli.. forse il film della Streep potrebbe strapparmi a qualche serata noiosa.. a presto!
RispondiEliminaDopo un po', Saya, alla faccia c'ho fatto l'abitudine. Mi è sembrata meno rigida di Nicole Kidman o di una Meg Ryan, comunque. Contenta lei, che dobbiamo dire... :)
EliminaFlorence voglio assolutamente vederlo, attenderò da brava bambina l'uscita al cinema però :P
RispondiEliminaQuanto a Sausage Party, dall'amato Rogen mi aspetto sempre MOLTO di più, soprattutto in termini di risate (poche, sono sincera) mentre Ouija vinceva facilissimo contro il capostipite: non innovativo né indimenticabile ma comunque una bella visione. Tra l'altro a me quella bambina di m********** ha fatto davvero paura XD
Inquietantissima, sì, però l'uscita in scena finale l'ho trovata un po' ridicoluccia. :-D
EliminaGuarderò Bridget Jones grazie a te. Sappilo!
RispondiEliminaTi ringrazio, ma guarda che ha media alte di suo, eh.
EliminaFresco e divertente, e lo ribadisco a settimane dalla visione. :)
Mah, io la storia del "femminismo" (che parolone) ti confesso che non la capisco. Alle donne pare piaccia Un disastro di ragazza, che era volgare e scontatissimo. Meglio la Jones, a questo punto. Si va sul sicuro. E piace anche a me.
RispondiEliminaUhm... non so se la Jenkins me la vedrò, mi toccherà in caso di ennesima nomination agli Oscar immagino, ma la storia l'ho già vista a Venezia lo scorso anno con il francese Marguerite. I miei timpani ne hanno abbastanza.
RispondiEliminaDivertentissimo Sausage Party, grasse grasse risate, e da non amante di Bridget ho perso anche questo terzo capitolo, film troppo al femminile per il momento.
Marguerite, però, è più serio.
EliminaQui si vede il tocco inglese di Frears.
Una bella storia, davvero. Lei vabbe', che ne parliamo a fare. :)
Nuovo Bridget Jones non fenomenale, ma caruccio. Diciamo che fa il suo dovere.
RispondiEliminaSausage Party invece mi ha deluso. Qualche risata la strappa, però non va oltre quanto ci si poteva aspettare dal trailer...
Di Florence Foster Jenkins avevo già visto la versione francese. Questa con Meryl Streep, seppure meno invadente del solito, non so se la recupererò.
Ouija 2 boh... mi sa che passo pure quello.
Fenomenale no, ma non il brodo allungato che un po' tutti immaginavamo. Carino, tanto quanto il primo - che, tra l'altro, è uno di quei film che mi fermo a riguardare, incrociandoli in TV. Non so perché.
EliminaFlorence e Ouija non penso ti dispiacerebbero. ;)
Salsiccia a parte, che ho già visto, gli altri non mi attirano quasi per nulla.
RispondiEliminaTu che dici?
Dico Florence, nonostante la Streep a te e al Cannibale non piaccia. Non solo per dovere di cronaca, ma anche per il messaggio, che fa pensare più che in Allen. :)
EliminaSausage party a tratti mi ha un po' deluso (specialmente nella prima parte), però del resto mi è piaciuto (anche se non è eccezionale come prometteva il trailer)!
RispondiEliminaA me, invece, è piaciuto più all'inizio.
EliminaLa svolta finale è la più bizzarra, ma anche la più fine a sé stessa. :)
la briget la voglio guardare, già il libro mi aveva fatto sorridere, quindi ben spero per il film :-D
RispondiEliminaPer Florence sarei curiosa mentre il film col wurstel non mi attira molto ^_^
Non capisco perché i romanzi della Fielding, boh, parlino di tutt'altro. C'è anche Hugh Grant lì, vero?
EliminaIl wurstel è simpaticissimo, ma non fa per te; Florence certo che sì. ;)
Ho visto il trailer della Streep e ho capito che non reggerei,mi bastano i gorgheggi,meno stonati in verità,in conservatorio.
RispondiEliminaGli altri non mi attirano.
Fra l'altro,obbiettivamente,il cinema costa e bisogna comunque fare una cernita.
Spero di vedere"la verità negata".
Complimenti per la tua incessante attività
Ti ringrazio, Solsido.
EliminaLa verità negata m'ispira troppa pesantezza, non so, nonostante la ritrovata Weisz.
Di questa lista mi pento solo di aver perso le gesta di Miss Jenkns. Bridget c'è ancora al cinema, ma c'è tanto bendiddìo che finirà nello 'snobbatoio'! #WaitingForAllied
RispondiEliminaMa come, c'hai scritto anche un post sopra e non lo guardi?
EliminaTi piace, ché è carinissimo. Oggettivamente. :)