Io
sono accucciato dietro di loro e la mia faccia spunta dalla cornice
formata dai loro fianchi. Sembra un fotomontaggio. E ora so che se mi
sono infilato tra loro è perché non ho una vita mia.
Autore:
Marco Montemarano
Editore:
Beat – Neri Pozza
Numero
di pagine: 271
Prezzo:
€ 9,00
Sinossi:
A
quindici anni Fabrizio Pedrotti è già un gigante. È bello, è un
leader. A scuola è attorniato da una folla di cortigiani, e il mondo
gli si srotola ai piedi come un tappeto. Un giorno del 1975, nel
corridoio di un liceo romano, Fabrizio sceglie Giovanni come amico.
Gli mette una mano sulla testa e lo elegge a suo scudiero. Poi lo
ribattezza Hitchcock e lo accoglie nella cerchia più intima della
sua famiglia. Nel lussuoso appartamento dei Pedrotti,
Giovanni-Hitchcock si muta nel testimone della vita dell'intero
nucleo familiare. Riesce a scorgere il padre, un onorevole
perennemente assente da casa, in una imbarazzante intimità; si rende
subito conto della svagata cortesia ed estraneità della madre;
stringe amicizia con Mario, il fratello minore, un ragazzo gracile,
un fantasma in pantofole che rasenta i muri aprendo e chiudendo in
silenzio le porte; ha una relazione clandestina con Maddalena, la
seducente sorella; e infine apprende il lato nascosto, la zona
d'ombra del rapporto tra Fabrizio e il fratello. Al fianco dei
Pedrotti, Giovanni abbraccia completamente l'identità di Hitchcock.
Al punto tale che si convince persino di aver determinato la rovina e
l'infausto destino di Fabrizio, Mario e Maddalena con un atto
scriteriato. Finché, con il trascorrere degli anni, e l'irrompere
della maturità, la verità dei Pedrotti e di Hitchcock, il loro
scudiero, gli appare sotto una luce inaspettata e sorprendentemente
diversa.
La recensione
Gli
anni ottanta sono appena iniziati e Giovanni, diciassettenne
silenzioso e spaventato dalla povertà, arriva in motorino, con un
amico ripetente aggrappato alla schiena per i troppi scossoni,
davanti al cancello dell'onorevole Pedrotti. Casa di notizie in prima
pagina, auto blu, privilegi sconosciuti, alberi altissimi.
Soprattutto, il posto in cui incontrarsi per vedere una partita decisiva, sulla televisione a colori dei tre figli dell'insigne politico. Il giorno dopo, una telefonata e la notizia che il signor Pedrotti è morto.
E la sensazione, per via di uno scherzo, di avere a che fare con la sua grottesca dipartita. E con la sfortuna che, dopo il funerale del patriarca, perseguiterà a vita i suoi orfani, eredi di un impero dai giorni contati. Cosa è successo, in quella sera deformata dal senso di colpa? Cosa sarà di Fabrizio, il gigante; di Mario, l'incompreso; di Maddalena, la zingara ribelle? Una foto lasciata lì a prender polvere - e una foto come quella in copertina, su un prato un po' verde e un po' in bianco e nero, quando si poteva essere compagni di giochi nonostante tutto e provare a somigliare a un Battisti, a un Lennon, a un Dustin Hoffman - e, secondo il più classico degli espedienti, lasciare che i ricordi vengano a galla e che passato, presente e futuro camminino su strade adiacenti. Verso nuove mete, in un Paese dai cervelli già in fuga, e amici a cui, nonostante il peso dei segreti e la lontananza, si continua a volere tutto il bene del mondo. Vincitore, due anni fa, del prestigioso premio Neri Pozza e prima opera che leggo di un Marco Montemarano che scopro qui, bravissimo, ma a breve nuovamente in libreria – e sul mio comodino, per forza - con un nuovo titolo e la protezione del suo vecchio editore, La ricchezza è uno di quei titoli che ho scoperto in ritardo, complice l'uscita della versione economica, e che, se non avessi agito d'impulso, probabilmente non avrei mai letto.
Mi lascio intimorire con facilità. Da certi editori appannaggio di pochi, da scrittori italiani che sul mio blog avranno sempre un posto speciale anche se spesso peccano di presunzione, da trame che si annunciano decisamente impegnative. Invece nel calore di un pomeriggio che mi voleva morto, all'ora di punta, arrabbiato non ricordo più per quale motivo – ma dovevo esserlo parecchio, per scendere in spiaggia alle due e mezza e gettare il necessario alla rinfusa, nel mio zaino grigio – ho preso un volumetto della Beat dalla pila pericolante di libri intonsi e, giusto perché era abbastanza sottile da starci bene tra la bottiglia d'acqua e l'asciugamano, l'ho portato appresso. Parlava di un poveraccio amico di tre nababbi della Roma bene, degli imprevedibili giochi del destino, di legami che – dagli anni settanta a oggi, dai Parioli all'America Latina – non si sfilacciavano. L'amicizia di quello strano quartetto – un gigante scherzoso, un fratello minuscolo allergico al solletico, un'esotica sorella maggiore per cui il sesso segue un codice nascosto, un intruso accolto in salotto per i compiti in classe e goffi esperimenti sotto le lenzuola, cavia di smaliziate adolescenti – è come un elastico: tiri forte e non si rompe, almeno non subito. Al massimo, quando lo lasci andare, ti ferisce le dita della mano. Ti lascia un segno viola. Intorno a me la gente parlava - a fine luglio scendono i turisti, e il lido balneare è un mercato di accenti diversi, karaoke, vucumprà – e l'unica fuga possibile erano dunque le cuffie dell'mp3. La musica che dico io, anche se non è in rima con quella ascoltata all'epoca dei figli dei fiori, anche se poi mi metto a canticchiare tra me e me con il rischio di perdere il filo. Ho capito quanto La ricchezza fosse diretto, vivace e bello nel momento in cui è risultato, nella sua studiata semplicità, più forte di tutto il resto. Grazie a quel che mi faceva all'inizio dubitare, poi rivelatosi pura soddisfazione: un marchio che non delude, un professionista che ha capito che la franchezza coinvolge più di qualsiasi parola ardita, una vicenda poco politica – ho pensato a un Grande Gatsby cacio e pepe, a un'Espiazione raccontato da un Briony al maschile; le testate giornalistiche citano però Moravia e altri grandi di cui sono ahimè a digiuno – anche se, alla fine, cosa richiede maggiori strategie di un'amicizia che resiste?
Soprattutto, il posto in cui incontrarsi per vedere una partita decisiva, sulla televisione a colori dei tre figli dell'insigne politico. Il giorno dopo, una telefonata e la notizia che il signor Pedrotti è morto.
E la sensazione, per via di uno scherzo, di avere a che fare con la sua grottesca dipartita. E con la sfortuna che, dopo il funerale del patriarca, perseguiterà a vita i suoi orfani, eredi di un impero dai giorni contati. Cosa è successo, in quella sera deformata dal senso di colpa? Cosa sarà di Fabrizio, il gigante; di Mario, l'incompreso; di Maddalena, la zingara ribelle? Una foto lasciata lì a prender polvere - e una foto come quella in copertina, su un prato un po' verde e un po' in bianco e nero, quando si poteva essere compagni di giochi nonostante tutto e provare a somigliare a un Battisti, a un Lennon, a un Dustin Hoffman - e, secondo il più classico degli espedienti, lasciare che i ricordi vengano a galla e che passato, presente e futuro camminino su strade adiacenti. Verso nuove mete, in un Paese dai cervelli già in fuga, e amici a cui, nonostante il peso dei segreti e la lontananza, si continua a volere tutto il bene del mondo. Vincitore, due anni fa, del prestigioso premio Neri Pozza e prima opera che leggo di un Marco Montemarano che scopro qui, bravissimo, ma a breve nuovamente in libreria – e sul mio comodino, per forza - con un nuovo titolo e la protezione del suo vecchio editore, La ricchezza è uno di quei titoli che ho scoperto in ritardo, complice l'uscita della versione economica, e che, se non avessi agito d'impulso, probabilmente non avrei mai letto.
Mi lascio intimorire con facilità. Da certi editori appannaggio di pochi, da scrittori italiani che sul mio blog avranno sempre un posto speciale anche se spesso peccano di presunzione, da trame che si annunciano decisamente impegnative. Invece nel calore di un pomeriggio che mi voleva morto, all'ora di punta, arrabbiato non ricordo più per quale motivo – ma dovevo esserlo parecchio, per scendere in spiaggia alle due e mezza e gettare il necessario alla rinfusa, nel mio zaino grigio – ho preso un volumetto della Beat dalla pila pericolante di libri intonsi e, giusto perché era abbastanza sottile da starci bene tra la bottiglia d'acqua e l'asciugamano, l'ho portato appresso. Parlava di un poveraccio amico di tre nababbi della Roma bene, degli imprevedibili giochi del destino, di legami che – dagli anni settanta a oggi, dai Parioli all'America Latina – non si sfilacciavano. L'amicizia di quello strano quartetto – un gigante scherzoso, un fratello minuscolo allergico al solletico, un'esotica sorella maggiore per cui il sesso segue un codice nascosto, un intruso accolto in salotto per i compiti in classe e goffi esperimenti sotto le lenzuola, cavia di smaliziate adolescenti – è come un elastico: tiri forte e non si rompe, almeno non subito. Al massimo, quando lo lasci andare, ti ferisce le dita della mano. Ti lascia un segno viola. Intorno a me la gente parlava - a fine luglio scendono i turisti, e il lido balneare è un mercato di accenti diversi, karaoke, vucumprà – e l'unica fuga possibile erano dunque le cuffie dell'mp3. La musica che dico io, anche se non è in rima con quella ascoltata all'epoca dei figli dei fiori, anche se poi mi metto a canticchiare tra me e me con il rischio di perdere il filo. Ho capito quanto La ricchezza fosse diretto, vivace e bello nel momento in cui è risultato, nella sua studiata semplicità, più forte di tutto il resto. Grazie a quel che mi faceva all'inizio dubitare, poi rivelatosi pura soddisfazione: un marchio che non delude, un professionista che ha capito che la franchezza coinvolge più di qualsiasi parola ardita, una vicenda poco politica – ho pensato a un Grande Gatsby cacio e pepe, a un'Espiazione raccontato da un Briony al maschile; le testate giornalistiche citano però Moravia e altri grandi di cui sono ahimè a digiuno – anche se, alla fine, cosa richiede maggiori strategie di un'amicizia che resiste?
Un narrazione, questa, esempio della nostra ricchezza.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Lucio Battisti – La canzone del sole
Una vittoria meritata, concordo con te nel dire che il libro è bello e il suo punto di forza è proprio quel suo prenderti senza toni forzati, senza inutili virtuosismi. Adoro, come sempre, lo scenario in cui ambienti le tue recensioni^^ è il tuo segno distintivo.
RispondiEliminaGrazie mille, Fra!
EliminaI titoli BEAT sono una benedizione! Con pochi euro si possono scovare delle pregevolissime perle.
RispondiEliminaConcordo!
EliminaQuesto romanzo mi perseguita sin da quando è uscito in libreria dopo la vittoria del premio Neri Pozza.Non l'ho mai comprato pur essendo incuriosita ma se mi dici che ti ha preso nonostante il caldo e il casino di una spiaggia invasa da bagnanti....devo darti e dargli fiducia.
RispondiEliminaPer inciso,ho pronto sul kindle Espiazione,rischio l'indigestione?
Vai tranquilla, poi questa economica Beat merita. Ha un ottimo prezzo.
EliminaEspiazione, purtroppo, non ho mai avuto il coraggio di leggerlo. E' appostato sullo scaffale da anni, ma non mi sono mai ripreso davvero dal film. Bello, elegantissimo, ma quanto ci si sta male?