Cari
lettori, buongiorno a voi. Oggi post più denso del solito – ma
spero solo intenso, non dispersivo – in cui vi parlo della mia
ultima lettura. E siccome Still Alice è arrivato anche al
cinema e, grazie a un'indimenticabile Julianne Moore anche agli
Oscar, mi dedico ai confronti e ai paragoni, parlandovi nel frattempo
di un altro film che, nella stagione dei premi, sta facendo meritate
conquiste. Questo martedì sono un po' anche Mr. Ciak. Ringraziando
le gentili Marina e Cetta per la copia staffetta, vi auguro buona
lettura e buona visione. Fatemi sapere la vostra, come sempre: sul
film, sul libro, su quello che vi va.
Sto
perdendo i miei ieri.
Titolo:
Still Alice – Perdersi
Autrice:
Lisa Genova
Editore:
Piemme
Numero
di pagine: 293
Prezzo:
€ 16,90
Sinossi:
C'è
una cosa su cui Alice Howland ha sempre contato: la propria mente. E
infatti oggi, a quasi cinquant'anni, è una scienziata di successo,
invitata a convegni in tutto il mondo, che ha studiato per anni il
cervello umano in tutto il suo mistero. Per questo, quando a una
importantissima conferenza, mentre parla davanti a un pubblico
internazionale di studiosi come lei, Alice perde una parola - una
parola semplice, di cui conosce benissimo il significato - e non
riesce più a ritrovarla nel magazzino apparentemente infinito della
sua memoria, sa che qualcosa non va. E che nella sua testa sta
succedendo qualcosa che nemmeno lei può capire. O fermare. La
diagnosi, inimmaginabile fino a un momento prima, è di Alzheimer
precoce. Da allora, Alice, perderà molte altre parole. Perderà pian
piano i nomi - per primi, quelli delle persone che ama, suo marito, i
tre figli ormai adulti. Perderà i ricordi, ciò che ha studiato, ciò
che ha fatto di lei la persona che è. In questo viaggio terribile la
accompagnerà la sua famiglia: il cui compito straziante sarà di
starle vicino, di gioire con lei dei rari momenti, luminosi e fugaci,
in cui Alice torna a essere Alice. E, soprattutto, di imparare ad
amarla in un altro modo.
La recensione
Mi
ero perso Perdersi, anni fa, per pigrizia e non curanza.
Immaginavo che dietro quel verbo riflessivo all'infinito ci fosse un manuale,
un saggio d'auto aiuto; non un volto, non una storia. Non un nome.
Quando hanno annunciato il film, poi sì che ho capito. E per una
volta, vi dirò, sono felicissimo di possedere l'edizione che ho io,
la più recente, con il poster cinematografico in copertina: io che
le ristampe, eppure, non le amo troppo. L'eccezione, da attribuire al
titolo originale che accompagna quello italiano, diventato
improvvisamente un sottotitolo posto come in secondo piano. La lingua
straniera si concentra sulla persona, su quello che durerà per
sempre; la nostra, secca e fatalista, su quello che, al contrario, se
n'è andato via, nel cuore della notte, per non tornare mai più. Ci
si smarrisce, vero, ma resta un nome, un avverbio di tempo, per
ritrovarsi... forse. Ho voluto quel romanzo con due titoli e due
significati perché è risaputo quanto le storie che tutti evitano,
quelle indicibilmente tristi, mi piacciano. Magari uno la scambia per
una sensibilità che in realtà non ho; un altro per forza. Ma vi
dico, in realtà, che a me che non l'ho mai provato il dolore fa
tanta paura. E leggo, mi documento, faccio e dico, in modo che saprò,
un giorno, sopportarlo a denti stretti. Non sono affatto coraggioso.
Nei romanzi incentrati sulle tematiche più delicate e spinose,
quelli di cui ogni pagina è un taglio profondo, la malattia è di
contorno, negli spazi vuoti. E' un scusa per
parlare d'amore. La classica Big C, di solito, crea il contesto
adatto per una storia impossibile; cosa c'è meglio di una relazione
che sfida l'evidenza, i capelli che cadono, i polmoni che ci fanno
sputare sangue? In Perdersi, la malattia – un'altra, una
descritta di rado tanto che è misteriosa - è la vera protagonista.
La si guarda in faccia, ed è come un mare che ti travolge, ti
soffoca e ti sputa a riva, senza fiato. Miracolo del self publishing,
quando anche un cieco avrebbe capito immediatamente di che pasta è
fatto, ha perizia, scrupolosità, realismo, grazia. E' un esordio di
una potenza a cui non si crede. Complicato, credibile, in movimento
costante. Lisa Genova sa quello che dice. Sa come dirlo con lo stile
giusto per l'occasione giusta. Sa che ti farà male e ti ringrazia:
devi essere pazzo per leggerlo, ma anche per rifiutarti di farlo. L'Alzheimer – il male più bastardo e imprevedibile del
mondo – guardalo da vicino e non piangerti addosso, finché hai
ancora gli occhi per guardarlo e le parole per dire quanto
terrificante è.
Mi aspettavo che una neoropsichiatra, una donna di
scienza, non fosse in grado di scrivere romanzi. Qui, invece, pur non
essendoci qualunquismo di nessun tipo, non si cade nell'eccesso. Ho
letto trecento pagine scritte benissimo, che non mi spiegavano una
storiellina ricattatoria, né lo facevano con i toni distaccati di
una cartella clinica. Perdersi è straziante, ma non gratuito.
Ha religioso rispetto verso un dolore non messo all'asta; sarà che è
il dolore che ci parla di sé stesso. Ti spiega come funziona il
cervello, come funziona quando qualcosa si guasta e non si può
riparare, e lo fa con il linguaggio universale del cuore. Ma Perdersi
è tanto quello, un conto alla rovescia inarrestabile, quanto la
storia di una donna come tante e come poche. Ecco perché mi piace il
titolo originale: la chiama per nome e, se è un giorno di quelli
buoni, lei magari risponde. Siamo al suo fianco, come al capezzale di
un malato. Ma peggio. Anche se raccontato in terza persona, il libro
è dentro di lei e i suoi pensieri, onesti e brutali, anche per me –
ormai dotato di una buccia dura e brutta - sono risultati bocconi
difficile da mandare giù. Chi dirà ai suoi tre figli che, solo
facendoli nascere, li ha messi in pericolo? Chi controllerà se ha,
nelle tasche del cappoto e nei calzini, vedendola vagare per strada,
il biglietto con su scritto l'indirizzo di casa? Chi aiuterà John a
trovare le chiavi della macchina, quando lei non troverà neppure il
bagno? Lei ha i sintomi, ma non le prove concrete sin dall'inizio.
C'è sempre un'altra spiegazione. Quindi aspetta, ma lo sa lei e lo
sa il lettore. Che la sua storia, dopo cinquant'anni e altrettanti
capitoli pieni di gioie e soddisfazioni, parla di Alzheimer
presenile. Vive di parole e le parole le sfuggono, d'un tratto, come
sabbia tra le dita. A causa di una malattia ereditaria, lasciatale da
un padre che sembrava avere fatto solo di lei la superstite del suo
egoismo omicida, il morbo si intrufola e ruba.
Rinnova traumi, dà
vita a lotte già perse contro gli specchi traditori, umilia. Il romanzo
è ambientato una decina d'anni fa e, istintivamente, ti viene da
chiederti cosa sia stato di lei. Quella Alice che, da bambina,
piangeva per la vita troppo breve delle farfalle e che avrebbe avuto,
poi, la stessa memoria corta di quelle creature volanti; quella che,
e commuove nel farlo, confessa che baratterebbe la sua patologia con
un cancro distruttore – perché il tumore ti rende agli occhi degli
altri un martire, l'Alzheimer matto. Ti toglie la dignità, anche se
quella di Alice resta fieramente intatta, precludendoti perfino la
possibilità di decidere quel che sarà dei tuoi domani. Di dire
voglio farla finita, voglio morire. Il suicidio, come il nome
dei figli e il posto del cellulare, è il più fugace tra i pensieri
fugaci. Se ti scordi persino di essere così sofferente da desiderare
di non svegliarti più, cosa puoi dire ci sia di più spietato e
angosciante? Immaginate se un film, con una grande attrice, per una
grande competizione, tentasse di dare risposta a queste domande
sparse. Sarebbe potentissimo, ci sarebbe da affogare nel pianto. E
invece no. La trasposizione cinematografica è tanto rispettosa della
malattia, quanto del romanzo da cui è tratta. Triste, ma la metà
esatta del libro. Delicata, ma coraggiosa. Spoglia e essenziale, ha
una regia convenzionale, non per questo sinonimo di cattiva
direzione del cast, e un uso saggio della messa a fuoco, che isola la protagonista dal resto, in una bolla a tenuta stagna. I registi, coppia anche nella vita privata, sono rimasti
insieme, nonostante la Sla diagnosticata a Richard Glatzer, e
dirigono un prodotto lucido e pieno di dignità. In cui il marito
Alec Baldwin, con chili di troppo e difetti umani,
pensava di non meritarsela una famiglia perfetta. In cui tra figli
carismatici e competitivi, educati al culto della perseveranza, c'è
una pecora nera che fa l'attrice, si chiama Kristen Stewart e si
rifiuta di sapere quale gene ci sarà nel suo futuro. Una sorpresa la sua
Lydia, interpretata con una convinzione che nessuno
– fatta eccezione per chi già l'ha vista brava in Camp X-Ray e
Sils Maria – si
sarebbe aspettato dall'ex stella di Twilight.
Gli sceneggiatori avevano a disposizione passaggi forti e scene madri
che avrebbero fatto piacere all'Academy e al pubblico in cerca della
lacrima facile; peccato che Still Alice non
cerchi questo. Manca il pianto, ma c'è verità negli occhi vacui di
una protagonista che ti emoziona senza strafare. Julianne Moore è la più brava in gara perché ti scordi che stia
recitando, mentre lei si scorda del resto. Dietro la sontuosa Pike di Gone Girl,
fino a poco fa la mia favorita, c'è un diabolico lavoro di
costruzione: lei scuote, con un personaggio che sembra scritto dal
Dio crudele dell'antico testamento. La Moore,
controcorrente, fa l'opposto. Still Alice è
un'opera di destrutturazione, di lenta demolizione. Come passare da
volto che buca lo schermo – e il suo è un volto bello come pochi,
anche a cinquantaquattro anni - a comparsa della propria vita; ad
attrice di cellophane. Come spieghi a un'interprete cosa non fare? Rari i pianti, trattenuti gli scatti di
rabbia, poche le crisi di panico: il film, al contrario del romanzo,
non dà indicazioni temporali. Le scene sono brevissime, il montaggio
è secco, le connessioni tra le sequenze sono difficili da
individuare. Un cancellino spazza via tutto e sulla lavagna di una
vita resta una striscia chiara, gesso, che alla prossima passata di
spugna andrà via. La storia di Alice ti spolpa, ma si
concentra su quello che la malattia lascia, non su quello che la
malattia toglie. E' un countdown da incubo, ma finisce con l'amore,
per quel che vale. Con l'amore e con l'Alzheimer. Senza sconti, senza
inganni. Se l'amore – secondo la leggenda, dalla parola latina
“mors”, morte, con un'alfa privativo davanti –
davvero è vita eterna. Così, nel bel mezzo dell'amnesia propria di
chi, in un anno, legge troppo, croce sul cuore, potrei giurare
che io questa storia non la scordo. No.
Il
mio voto: ★★★★ {Il film: 7+}
Il
mio consiglio musicale: Bastille – Oblivion
"Are
you going to age with grace?
Are
you going to age without mistakes?
Or
only to take wake and hide your face?"
il libro non l'ho letto ma sul film sono un po' meno entusiasta di te, bravissima la Moore ma hanno dimenticato di costruirle un film intorno e poi c'è sempre questo maledetto vizio di appiattire, edulcorare, l'Alzheimer è molto più brutto e bastardo di come sembra nel film, poi nel libro sarà diverso...
RispondiEliminaIo, invece, ho trovato il film coraggiosissimo. Appiattito gradualmente, come a prendere il suo punto di vista che, a lungo andare, si perde del tutto. Nel libro ci sono più "cose da film", paradossalmente, ma i registi le hanno tagliate, fuggendo a gambe levate dall'ovvio: ecco perché non l'ho trovato edulcorato. Anche il suo discorso, nel romanzo pieno di belle frasi, è stato tutto riscritto. E il fatto che lei, con una cura maniacale, segua le frasi con il suo evidenziatore giallo, ti fa concentrare solo sui suoi comportamenti e mai sulle frasi scontate che potrebbe dire. E' lei che fa il film, questo sì, e deve vincere per quello. ;)
EliminaHo amato il libro e sofferto profondamente. Io, che questa malattia l'ho vissuta da vicino e so quanto possa essere devastante, per tutti.
RispondiEliminaNon ho ancora visto il film, lo farò a giorni e, credimi, mentre leggevo (non si parlava nemmeno della possibilità di farne un film all'epoca), per me Lydia era Kristen Stewart. Mi sono venuti i brividi quando ho letto la notizia e ho scoperto il cast! E non mi sorprenderà nemmeno la sua bravura, visto che per me è sempre stata brava, dai tempi de "Le parole non dette".
La Genova mi piace tantissimo proprio perché sa di cosa parla, come nel libro Tre Sassi Bianchi, che ti consiglio. Meno intenso forse di Perdersi, ma ugualmente emozionante, soprattutto nel finale.
Ciao Miki! Mi ricordo benissimo la tua recensione ed è più o meno da allora che è in lista. Il film è piuttosto fedele al libro, se non fosse, come scrivevo sopra, che decide di eliminare molte molte delle scene più forti, che sicuramente non hai dimenticato. Ne viene fuori un qualcosa di fin troppo indipendente, ma gli occhi almeno sono tutti sulla protagonista. Ecco, ora voglio Tre sassi bianchi.
EliminaIn quanto alla Stewart: non mi piace particolarmente, ma sta migliorando, con la maturità. E poi se Twilight ha i difetti che ha non è solo colpa sua.
Mi fa paura il libro,come mi fa paura il film. Temo tante di quelle lacrime da stare male, ma prima o poi leggerò uno e vedrò l'altro, soprattutto per Julianne Moore, una delle mie attrici preferite.
RispondiEliminaMagari ti commuoverai, mia mamma ha pianto parecchio ma solo dopo la visione, però non così facilmente come uno si aspetta. Molto misurato. Con il libro già è diverso. E' ambientato in uno, due anni e la scansione temporale ti fa capire meglio cosa si perde, a mano a mano...
EliminaSplendida recensione.
RispondiEliminaCome già sai il libro non l'ho letto, ma avevo trovato il film davvero eccezionale, nel suo raccontare con estrema delicatezza e volersi fermare in tempo. Perché l'Alzheimer, come dice il bradipo, è "più brutto e bastardo" ma farlo vedere nel film, a mio parere, sarebbe stato un inutile accanimento e una spettacolarizzazione del dolore gratuita, che non avrebbe aggiunto nulla alla storia.
Ti ringrazio, e sai che sono d'accordo.
EliminaSe avessero mostrato e detto tutto, ci saremmo lamentati della cosa opposta, ossia il troppo indugiare nell'inutile dettaglio patetico. E quanto sarebbe stato bello se la Moore, verso la fine, nel momento del discorso, non avesse letto meccanicamente tutti quei suoi cari fogli e fatto uno di quei sermoni all'americana che fanno piangere tutti? Sarebbe stato bellissimo, ma altrettanto finto.
Ecco, leggendo la sinossi del libro ho capito cosa è mancato al film per emozionarmi e coinvolgermi davvero: la famiglia. Imparare ad amare Alice in un altro modo. Come ha detto su il Bradipo, la pellicola si concentra tutta sulla Moore, il resto è evanescente quanto i ricordi della protagonista, edulcorato e stereotipato. Il marito assente, il figlio buono, la figlia "stronza" che finché va bene sta accanto alla madre poi ciao, e la figlia ribelle che grazie alla malattia torna "normale". Peccato, si poteva fare molto meglio.
RispondiEliminaMa non sarebbe stato più edulcorato, forse, sottolineare quanto è importante per chi è malato avere la famiglia vicina? Invece il fatto che il marito pensi più al lavoro che a lei, perché a un certo punto la memoria la abbandonerà e non si ricorderà neppure più di lui, e che decida di prendere un'altra strada è una scelta secondo me piuttosto originale. Come il fatto che quella figlia antipatica e l'altra fuori dagli schemi non rendano la famiglia di Alice una cosa alla Settimo Cielo. Il libro è vero, emoziona di più, ma secondo me la scelta di rendere la storia tanto secca e asciutta commuove poco, ma è da premiare.
EliminaPasserò direttamente al film, bellissima la frase sto perdendo il mio ieri...
RispondiEliminaBellissima, sì.
EliminaA me come storia non ispira particolarmente, quindi non so cosa fare. Se mai più avanti mi dedicherò al libro.
RispondiEliminaSpero che supererai il dubbio, perché merita tantissimo.
EliminaBellissima recensione :) Sto aspettando con ansia il libro per poter finalmente leggere questa storia, che so già non mi farà uscire illesa.
RispondiEliminaSicuramente vorrò vedere anche il film... una cosa per volta :)
Ti ringrazio. Sono sicuro anch'io che lascerà un segno, già :)
EliminaIl film mi ha turbato parecchio. La mia recensione arriverà presto, se mi ricorderò di postarla... :)
RispondiEliminaRosamund Pike in Gone Girl resta comunque su un altro pianeta. ;)
Il libro non credo ce la farei a leggerlo. Starei troppo male.
Ma è il ruolo che è diverso, secondo me.
EliminaQuello della Pike è costruito, questo si autodistrugge in tempo reale.
Già mi aspetto una recensione delle tue, guarda, però stai diventando più corretto. Per The Imitation Game mi aspettavo un gioco di parole tipo The Imitation Gaym :P
Una doppia recensione splendida, Mik! *____*
RispondiEliminaTi capisco, e apprezzo molto quello che hai scritto a proposito del libro: non so se lo leggerò a breve, ma, se dovessi trovare il coraggio... so già che non me ne pentirò, alla fine! :)
Il film, ecco, quello lo guarderò sicuramente. Ti dirò, il fatto che la Stewart sia una brava attrice, per me non è affatto una sorpresa. Sempre saputo che lo è... solo, ha bisogno di un copione, e non è in grado di smettere i suoi panni di tormentata anti-eroina metropolitana, neanche per un attimo. Te la ricordi recitare, ancora giovanissima in "Panic Room" al fianco di Jodie Foster? Era solo una ragazzina, ma sapeva il fatto suo, secondo me, già allora.. Non mi considero una sua fan, proprio per niente, ma mi pare giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. E non mi sembra che su di lei debbano sempre ricadere un sacco di brutte parole, solo perché "Twilight" è un film patetico e il suo personaggio aveva carisma zero... persino la Moore ha fatto dei film orribili, in fondo, e lei è un genio assoluto del mestiere! ç_____ç
Sì, la Moore ogni tanto anche fa filmacci, ma non perde mai la sua credibilità.
EliminaLa Stewart, sì, anch'io l'avevo notata quand'era piccina sia in Panic Room che in Zathura, ma poi si era persa con la saga di Twilight. Ti do ragione, comunque. Non era solo sua la colpa: anche con Meryl Streep a bordo, quei film sarebbe stati osceni. E ti parlo da uno che, ai tempi delle medie, aveva apprezzato i primi due libri. :)
Lo vedo stasera se riesco, vedere un parere positivo mi conforta. :)
RispondiEliminaCapisco che può non arrivare, ma capisco pure che è difficile accontentare tutti. Chi vuole le lacrime, chi non le vuole, chi dice che Colpa delle stelle è ruffiano e che questo lo è troppo poco. Poteva essere una via di mezzo? C'è una via di mezzo, visto il tema? Ma boh. Spero piaccia. :)
EliminaColpa delle stelle più che ruffiano l'ho trovato irrealistico al massimo, dai personaggi alle situazioni proposte, per non parlare dei dialoghi terribili. Mi auguro che questo sia migliore a mani basse ahahahahah
EliminaA me è piaciuto pure quello, ma sicuramente questo piacerà pure a voi intellettualoni, con quell'aria così indipendente, ahahah. Colpa delle stelle, secondo me, è un film creato a puntino per i lettori del libro. I dialoghi sono gli stessi, e brutti non sono, anche se forse poco credibili. Però i fan avrebbero mandato al rogo gli sceneggiatori, quindi almeno loro (e io?) sono stati accontentati. ;)
EliminaMi hai appena dato dell'intellettualone dall'aria indipendente, Miche non lo sono per niente e si vede anche dalle castronerie clamorose che scrivo nei miei DELIRI. :D
EliminaMa scherzavo, e voleva essere un complimento, ah ah :-D
EliminaMa lo so, con me puoi scherzare tranquillamente comunque! ;)
EliminaNon sono sicura di volerlo leggere (e vedere): da un lato le recensioni quasi unanimi mi attirano, per vedere un argomento difficile trattato in maniera delicata. Dall'altro per l'Alzheimer ci ho perso un nonno, e col tirocinio ho visto senza "protezione" cosa fa quella malattia. Interesse cinematografico a parte non è che muoia dalla voglia di averci a che fare anche nel tempo libero.
RispondiEliminaSul lato più cazzaro, per metterla così, sarei stata interessata a vedere un film dove pare la Stewart riesca a recitare: non l'ho vista solo nella saga di Twilight, ma anche tutte le altre volte che sono incappata in lei mi è sembrata una "cagna maledetta" (usando le parole immortali di Renè Ferretti :P)
Però guardati Camp X-Ray, che magari è di un genere che amerai di più, e anche lì dirai che convince. Non è il film dell'anno neppure quello, ma fortunatamente si cresce :)
EliminaPurtroppo non si perde solo ciò che era ieri ma anche l'oggi e quello che sarebbe stato il domani.Mia madre ha l'Alzheimer.Fatico a ricordare come era,è il mio omaggio a lei ripercorrere la sua vita cercando ogni giorno di fissare un momento,un sorriso,un abbraccio,un consiglio..La mamma che ho davanti è oltraggiata dalla malattia e l'unico conforto per me è sapere che lei non si rende conto di come è cambiata.Solo la fede mi permette di accettare tanto dolore ma non mi si venga a dire che non bisogna pensare a ciò che si è stati perché è una inutile ipocrisia.Sicuramente cambia il modo di amare ma per un figlio vedere la madre privata persino della sua dignità è una prova troppo grande.
RispondiEliminaHo detto ai miei figli che se dovessi ammalarmi anch'io desidero che non mi vengano a trovare,che voglio che mantengano il ricordo di una mamma presente e attiva.
Ovviamente non sono interessata né al libro né al film.
Ma Alice lo dice:
Elimina"I miei ieri stanno scomparendo, i miei domani sono incerti, e allora per cosa vivo? Vivo giorno per giorno. Vivo nel presente. Uno di questi domani dimenticherò di essere stata qui davanti a voi a tenere questo discorso. Ma solo perché presto me ne dimenticherò non vuol dire che l’oggi non conta."
Mi dispiace molto quello che leggo, Solsido, ma ti ringrazio per la sincerità.
Da non molto ho finito il libro ed è stato perfetto come prima lettura del 2015.
RispondiEliminaVeramente bello e non vedo l'ora di vedere il film,da me non lo proiettano >.<
Un po' di pazienza, magari arriva anche da te :)
EliminaDevo assolutamente trovare il libro e poi vedermi il film!
RispondiEliminaDell'autrice devo leggere anche Tre sassi bianchi (che mia mamma ha detto che è bello!)
Eh, mi state dicendo in tanti che è bello, mannaggia!
Elimina:)
Leggendo del libro mi viene proprio voglia di... leggerlo.
RispondiEliminaPerò non vorrei oscurare il film, per me davvero delicato e potente nel saper rappresentare senza pietismo e senza sensazionalismi una malattia così crudele, e vedere che certe scene madri sono state evitate mi fa solo che piacere.
La Moore è gigante, se non lo vince quest'anno l'Oscar l'Academy mi sente.
Brava. Anche tu tifavi per Rosamunda - ormai la chiamano tutti, così, dai - ma la Moore è un'altra cosa. Il libro, comunque, è altrettanto onesto. Ci sono più scene di quelle tristi tristi che si ricordano, ma sono diluite in trecento pagine. :)
EliminaIl libro è entrato nella mia wishlist poco tempo fa, quando ho scoperto che il film era tratto da Perdersi (non mi ricordo di averlo mai adocchiato in libreria).
RispondiEliminaMi sembra qualcosa di davvero profondo, vero e mi ispira parecchio!
Recensione stupenda :)
RispondiEliminaMi sono avvicinata al romanzo, grazie ad un'intervista in cui l'autrice spiegava che l'ispirazione per il personaggio di Alice è stata sua nonna, Angie, che soffriva della stessa malattia. E questo si vede. Traspare, nelle pagine, la visione di qualcuno che è stata accanto ad una persona malata. È un libro bello e pieno di speranza, che consiglio davvero a tutti!
Ps: Se ti va di dare un'occhiata, ho scritto anche io un articolo su questo romanzo sul mio blog :)
Mi sono imbattuto in questa recensione dopo una semplice ricerca su Google e devo dire che è una delle migliori che ho letto. Veramente ben scritta, denota sensibilità e un'ottima capacità di analisi.
RispondiEliminaOvviamente la condivido e promuovo anch'io il film, che penso tratti l'argomento di questa atroce malattia in maniera originale. Il tutto reso unico dall'ineguagliabile supporto della splendida Julianne Moore.
Ora mi è venuta voglia di leggere anche il romanzo ;)
il film mi pare molto edulcorato rispetto alla malattia,mi ha reso comunque ansiosa pensando che potrebbe succedere a tutti,le malattie mentali sono devastanti e destabilizzano,ho conoisciuto persone affette dall'alzheimer,anche la fine del film mi ha lasciato un pò stranita
RispondiEliminaIl film penso che non abbia una reale fine, e se la malattia appare edulcorata è perché si vogliono raccontare solo i prodromi. Scelta narrativamente coraggiosissima. Il punto di vista è quello di Alice e quando Alice non ricorda più sé stessa, chi è, finisce il film. Noi la seguiamo fino a quando può raccontarsi.
Eliminaho visto solo ora il film, e mi è piaciuto moltissimo, mia madre vive con me, e il suo declino cognitivo è iniziato un anno fa, ma ha 84 anni, e tutto sembra così fisiologico, ma altrettanto doloroso. Il film rende benissimo lo smarrimento iniziale, forse mancano alcune delle manifestazioni, la paranoia ad esempio, forse questa famiglia è tanto benestante, ma nel film non è mai troppo ostentato. E' tutto molto equilibrato e sono d'accordo, ottima interpretazione. A volte pretendiamo dai film che non siano scontati, ma secondo quale protocollo? cosa nella vita è scontato e cosa no? questa è vita.
RispondiEliminaHo visto il film e letto, solo dopo, il libro.
RispondiEliminaIl libro ti entra nell'anima, coglie la profondità della vita e la sua essenza....ti strazia il cuore per poi farti sprofondare nel buio.
Eppure l'amore, nelle sue immense sfaccettature, permette di sopravvivere e aggrapparsi alla convinzione che dove c'è vita c'è speranza...e memoria..