giovedì 20 settembre 2012

Recensione: La puntualità del destino, di Patrick Fogli

La paura è una pagina bianca, è una quarta di copertina che sei costretto a chiudere, è una storia che termina senza un finale. La vita non ha un finale. Le storie, ne hanno bisogno. La vita, semplicemente, spesso senza preavviso, finisce.

Titolo: La puntualità del destino
Autore: Patrick Fogli
Editore: Piemme “Linea Rossa”
Numero di pagine: 360
Prezzo: € 17,50
Data di pubblicazione:
Sinossi: Alessia ha quattordici anni da un mese. Una ragazzina come tante, che va a scuola e gioca a pallavolo. Dopo una pizza con le compagne di squadra ha appuntamento con sua madre per tornare a casa. Ma all'ora stabilita di lei non c'è traccia. Sparita nel nulla. Poco dopo Alessia è un nome su un foglio nelle mani dei carabinieri, un volto sorridente che i giornali e le televisioni esibiscono come un trofeo. Diritto di cronaca, lo chiamano. E il circo mediatico che si scatena si fa più grottesco a mano a mano che i giorni passano. Claudio Zanetti, un giovane immigrato di seconda generazione, sembrerebbe essere l'ultima persona ad aver visto la ragazzina. Mentre la gente del paese annusa già la tragedia ed è certa di aver trovato il suo colpevole, c'è qualcuno che ha più fretta di ritrovare Alessia, e trovarla viva. Gabriele Riccardi una volta era un poliziotto. Ora, dopo anni in fuga da se stesso, ha capito che non smetti mai di essere quello che sei, e se hai sempre rifiutato una giustizia fatta di compromessi, non puoi accettarne una vittima dei pregiudizi. Ora che è necessario abbandonare la superficie per scavare a fondo, tra segreti, menzogne e ricatti ignobili, è a lui che tocca. Prima che il tempo emetta la sua sentenza.
                                                La recensione 
Una cittadina di provincia. Un bosco sparuto di anime e case, il cui nome ha sempre vissuto in un rassicurante e quieto anonimato. Una notte invernale, il freddo pungente e la terra che trema. La furia del terremoto esplosa nel cuore della notte. Gente con lo sguardo rivolto verso l'alto, in attesa che la luna sprofondi nelle ombre del fiume o che le loro case tutte uguali crollino l'una sull'altra come le tessere del domino. Sguardi persi contro gli scherzi di Madre Natura, ma incuranti di quello che accade sotto i loro occhi assonnati. Incuranti di lei, la piccola Alessia, che il giorno successivo sarà un volto angelico sui giornali. Un viso in bianco e nero alla TV e sulla scatola del latte. Dispersa. Rubata. Una vittima della notte, della crudeltà di un aguzzino senza identità, della puntualità del destino. Ha quattordici anni, una famiglia apparentemente solida a sostenerla, un profilo su Facebook e curve più morbide di quelle che la sua età consentirebbe, modellate dalla divisa della squadra di pallavolo e da ore di attività fisica che hanno affinato la sua figura. Un paio di occhi oscuri l'hanno intercettata per le vie del centro o alle feste di paese. Una mente malata ha sognato di toccarla, di farla sua. Sparisce così, silenziosamente e senza lasciare traccia. Lascia una madre incapace di provare più emozioni, un padre che teme e spera di sapere cosa le sia accaduto, un presunto colpevole vittima della reticenza e del razzismo, una migliore amica tormentata dal rimorso di non averle mai detto addio, uno sbirro che ha chiuso in un cassetto pistole e distintivo, ma che tende a una giustizia assoluta, reale. La puntualità del destino ha una trama che abbiamo già l'impressione di conoscere. Colpi di scena che riteniamo ormai annunciati, personaggi con cui abbiamo già avuto a che fare. Pensate alle serie televisive The Killing o Dov'è mia figlia?.
Ai misteri, alle rivelazioni, ai segreti, alle lacrime che, realisticamente, sgorgano dagli occhi di attori che interpretano magistralmente genitori affranti e poliziotti segnati dall'ossessione.
Lacrime che abbiamo visto spesso, più copiose e sincere, segnare il viso delle vittime delle telecamere e dei mass media, di coloro che in corpo portano i danni collaterali di una bomba atomica nata nella tragedia. Uno studio televisivo, il calore del pubblico, la telecamera che ingrassa di almeno cinque chili; trucco, messa in piega, completi cuciti su misura, discorsi letti nel pianto, appelli speranzosi da chi di speranza non ne conserva più.
Dolori atroci e dilanianti che imbrattano i cuori e, infine, la carta. Materiale per scoop, interviste, sceneggiature e romanzi. La puntualità del destino avrebbe potuto essere questo. Non un romanzo, ma un parassita che si nutre del tragico successo della cronaca nera. Un avvoltoio che, librandosi sopra un cadavere piccolo e inerme, affonda il becco aguzzo nel marcio e nel mistero perpetuo che aleggia ancora, dopo anni e numerose indagini, intorno agli omicidi delle giovani Sarah Scazzi e Yara Gambirasio. Il libro si pone con rabbia, imprudenza, impeto e passionalità. Disordinato, secco, disorientante, ma, paradossalmente e inaspettatamente, lieve e poetico. Dotato di una sensibilità che ti urla in faccia con forza e di un lirismo che dà all'attualità e alla violenza la raffinatezza di un aforisma, il primo lavoro che leggo dell'ormai affermato Patrick Fogli priva il lettore di un piacevole approccio e dà significati inconsueti al giallo e alle sue tante declinazioni. Narrato in prima persona da Gabriele Riccardi, un ex poliziotto il cui passato è un enigma svelato in Lentamente prima di morire, l'ultimo romanzo dell'autore bolognese è come una strada dissestata di cui non conosciamo l'ingresso più agevole. Un sentiero, immerso nel bianco della neve, per il quale ci avventuriamo, nonostante i divieti che lo impediscano, tra gli scivoloni e gli stridii di un paio di pneumatici non adatti. Non abbiamo istruzioni o parole chiave. E' racchiuso su sé stesso, quasi impenetrabile. Ci ho messo giorni e interi capitoli per entrarci e, ora che l'ho finito, per me è difficile uscirne fuori e portar via con me le sensazioni, positive e non, che mi ha regalato. In principio era impenetrabile, adesso è inespugnabile. 
Ci sono stati momenti in cui l'ho trovato pedante, antipatico. Molte pagine si alternano senza lasciarci capire fino alla fine il punto di vista di quale dei tanti personaggi che lo popolano stiamo leggendo, brusche e lapidarie. Il tono del narratore si eleva troppo artificioso e meccanico: tante frasi dai significati profondi e sfuggenti suonano poco convincenti, infatti, pronunciate dalle labbra di un protagonista il cui passato lascia un dubbio fastidioso per tutta la lettura e le cui azioni, spesso giuste ma al contempo raggelanti, non si adattano apparentemente alle parole di un poeta della strada e a un cantore della cronaca. L'andamento, inoltre, non è quello richiesto dai canoni del thriller. E' lento, monocorde, pieno di pause e di virtuali silenzi. Intrigante unicamente per gli estimatori di quei film fatti più di parole che di azione, più di vuoti che di immagini. Quelli che non fanno faville al box office, ma che conquistano il podio agli elitari festival di Cannes e Venezia. Non i “film per tutti” alla Spielberg, ma quelli introversi e ripiegati su loro stessi di Giordana, Amelio e Garrone. Su momenti di eccessiva monotonia, è prevalsa, infine, una passionalità virulenta e commovente che non può lasciare indifferenti. A nascere non è la ritrovata simpatia verso i personaggi o la piacevolezza di uno stile che impara a diventare più fluido, ma un'amarezza che ci fa guardare con insofferenza e rabbia a storie che, purtroppo, rivivono anche nella realtà e a personaggi che, anziché viverle, subiscono passivamente le loro stesse vicende. Ha creato in me il timore, e non la curiosità, di giungere all'epilogo che eppure ho atteso per giorni, unicA via d'uscita per liberarmi da quest'irrespirabile nube di fumo. Scritto da Dio, in una prosa impeccabile e ispirata, è un romanzo il cui ricordo sarà legato sempre a Pietro e Irene Scaroni, i genitori di Alessia. Pagine di diario improvvisate rendono lacerante il loro bisogno di verità, mostrano le crepe in una vita apparentemente perfetta, descrivono il processo di distruzione di una coppia che ha perso il loro collante, e il suo successivo consolidarsi. La loro bambina è ovunque. Seduta al tavolo con loro mentre mangiano in silenzio, stesa in mezzo ai loro corpi in un letto in cui non osano più scambiarsi tenerezze.
La puntualità del destino è un sofisticato dramma, lucido e dominato, ma allo stesso tempo irruente ed emozionante. Lontano dal ritmo serrato di un poliziesco, ha la forma e il suono che avrebbe un'indagine raccontata dalla Rattaro di Un uso qualunque di te o dall'acclamata Margaret Mazzantini e riproposta sul grande schermo dal regista della Ragazza sul lago. E' il classico libro di cui è difficile parlare, lungo e pieno nonostante le sole 360 pagine che lo compongono. L'ho letto in un paio di giorni, ma ho avuto la sensazione di trascinarmelo appresso per mesi. L'ho criticato, amato, odiato. E adesso sono qui a consigliarvelo. 
Se cercate una via di evasione, però, La puntualità del destino potrebbe spezzarvi le ali.
La vita è sottile. Basta una domanda sbagliata, la frase sbagliata, un gesto frainteso che non potrai spiegare mai. Basta sentirsi al sicuro o avere troppa paura. Dare per scontato e abbassare la guardia. Credere che una cazzata non sia importante. La vita è bastarda.
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Singhiozzo - Negramaro


3 commenti:

  1. Wow! Definirei la tua recensione INTENSA! Mi ha davvero coinvolta e a questo punto credo proprio che non mi resti che segnarmi questo libro, che mi sembra di aver capito valga la pena leggere :)

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    1. Ti ringrazio, Lorenza! E' il genere di libro che si lascia amare ed odiare insieme. Fa commuovere, sperare, arrabbiare. Ma di certo non può lasciare indifferenti:)

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  2. L'ho appena finito e condivido pienamente le sue considerazioni.
    in particolare, ciò che mi ha appassionato di più è stata la coinvolgente lentezza che caratterizza tutto il romanzo. e la capacità, a differenza dei primi lavori, di emozionare il lettore giocando su sentimenti comuni a tutti noi.
    consigliatissimo

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