Li
vediamo setacciare la casa, un seminterrato infestato dalle blatte,
in cerca del segnale wi-fi da rubare ai vicini. Sono i membri di una famiglia di
disperati che all’occorrenza sa reinventarsi, glissando sui legami
di parentela o pompando il curriculum. Qualcuno potrebbe definirli
degli imbroglioni, parassiti. Ma se appaiono in verità un gruppo di
lavoratori instancabili, che male c’è a insediarsi a casa
dei ricchi facendo qualche sgambetto per primeggiare? Agli antipodi,
infatti, c’è una villa che è un capolavoro di design: due bambini
irrequieti, cagnetti di razza e una coppia di genitori attraenti, con
il classico uomo d’affari assente e una moglie con la testa tra le
nuvole. In un Oriente devastato dalla lotta di classe e dalle
disparità, è necessario fare di necessità virtù: in nome
di una strana forma di nepotismo, piano piano, i protagonisti – un
tutor d’inglese, una maestra d’arte, un autista e una domestica –
rimpiazzano il personale preesistente. Quando i gatti non ci sono, i
topi ballano. E nel tempo restante recitano come attori navigati la
loro lista di menzogne, soprattutto se c’è da coprire le tracce
dei loro dispetti. Ma potrebbe smascherarli un odore che fa
arricciare il naso ai potenti. È quello di chi condivide lo stesso
sangue sporco. È quello della povertà. Guerra tra disperati al
tempo dei ricatti online e dei rifugi anti-Corea del Nord, l’ultimo
vincitore della Palma d’oro è una commedia caustica e
divertentissima, talora dai toni perfino fiabeschi, che spiazza con
il bagno di sangue dell’epilogo e riflessioni a proposito di
disparità sociali esemplificate nel contrasto alto-basso, grigliate in
giardino ed esondazioni da arginare. Si ride a denti stretti e ci si
indigna fino a perdere le staffe, senza però ricorrere mai a
passaggi didascalici. Imbastito come una tragicommedia degli
equivoci, ma teso come un thriller psicologico, Parasite si
poggia su una sceneggiatura da Oscar e sulla regia millimetrica di
Bong Jooh-ho. I colpi bassi, gli spruzzi di sangue e una vena
sentimentale fortissima porteranno, nonostante tutto, a una di quelle chiuse commoventi possibili grazie alla magia del cinema asiatico. Ai travasi di bile, infatti, si risponde con una risata
isterica degna di Arthur Fleck e con un messaggio di resilienza in codice
Morse. Abbiate cura di questi parassiti, non correte ai ripari con la
disinfestazione. Sono i protagonisti del mio film dell’anno. (9)
Qual
è il termine oltre il quale un sequel può dirsi fuori tempo? Sono passati trentanove anni da Shining e sei
dall’arrivo in libreria del secondo capitolo. King,
infatti, aveva un conto in sospeso con questa storia. Ai ferri corti
con Kubrick – regista colpevole di avere stravolto il
materiale di partenza dello scrittore del Maine –, ha voluto
ricondurci all’Overlook attraverso le disavventure di un Danny
cresciuto. Tanto di cappello al talento di Mike Flanagan, questa
volta schiacciato tra l’incudine e il martello: da un lato la
visione di Kubrick e dall’altra quella di King; da un lato un
epilogo sotto zero e dall’altro un drappo di fuoco e fiamme.
Avrebbe saputo mediare? Equilibrista e arredatore di incubi
bellissimi, fa il possibile confezionando l’intrattenimento che non
ti aspetteresti sotto Halloween: un film lungo ed elegante, con nessun sobbalzo e una squadra di cattivi –
capitanati da una magnetica Ferguson, superiore al resto del
cast – protagonista tanto quanto gli eroi.
Meno spavaldo del previsto, fedele a un seguito che parte da lontano
e giunge all’hotel con un pretesto da poco, Flanagan
non si butta a bomba. Si prende il suo tempo: ossia quasi tre ore. Ci
insegna, con la solita emozione, che non tutte le paure
vanno chiuse in un cassetto. Ci mostra, in una sequenza debitrice
agli archivi di Inside Out, i cassettoni dove sono racchiusi i
segreti e le memorie di una bambina speciale – e guai a frugarci
dentro, benché la sequenza del viaggio astrale di Rose Cilindro sia
una delle migliori del film. Flanagan fa il giro lungo e, quando
arriva al punto di partenza rifiuta di entrare dalla porta
principale. Crea enfasi, ci prepara alla resa dei conti. E ci porta
infine lì dove perfino un profano non vedeva l’ora di tornare:
i corridoi dove si annidano le gemelle diaboliche, le vecchie
marcescenti e i tricicli spericolati. Proprio qui, ahimè, si
nascondono le pecche di un’operazione troppo rispettosa per
rischiare, che prepara il terreno all’omaggio anziché preoccuparsi
di essere memorabile. È fuori tempo massimo il sequel che
adesso deve fare i conti anche con la Stranger Things mania –
soprattutto se, a ben vedere, Dan e Abra ricordano Hopper ed Eleven?
È destinato a rimanere nell’ombra l’horror che per incutere
paura si limita a macinare strizzate d’occhio e citazioni?
Ai posteri la sentenza. Nel dubbio, risulta comunque gradevole il dialogo telepatico e intergenerazionale tra passato e presente.
Anche se la “luccicanza” di Doctor Sleep, con affetto, è luce riflessa. (6,5)
Ci
sono storie che funzionano meglio su carta, perché troppo lunghe,
troppo intricate, troppo immaginifiche. E ci sono quei finali
abbastanza clamorosi, per fortuna, da funzionare dappertutto. È
questo il destino dell’Uomo del labirinto, ritorno alla
regia dell’autore Donato Carrisi. Questa volta, come sapranno i
lettori a lui affezionati, la faccenda si complica ulteriormente: ci
sono un profiler straniero, un investigatore dalle ore contate e una
ragazza sopravvissuta alle sevizie di un moderno Enigmista.
Siamo in un tempo vago, al centro di una metropoli devastata dalla
canicola e dagli annunci apocalittici. Ma i nomi dei personaggi, un
po’ italiani e un po’ stranieri per depistarci, rendono le
ambientazioni tanto care all’autore vagamente posticce nel
passaggio al cinema. La sensazione iniziale, infatti, è quella di
trovarsi in un girone infernale – fra figuranti spaventosi e
testimoni grotteschi – grazie alle tappe di una caccia al
tesoro forse più adatta al linguaggio delle serie TV.
Donato ha cura nel dettaglio delle scenografie e della messa in
camera, e dirige senza ansia da prestazione un cast di stelle non
sempre brillanti come la loro fama garantirebbe: se Hoffman prende
parte alla produzione devotamente e umilmente, con un ruolo piuttosto
stratificato, il collega Servillo esagera in una prova sin
troppo manierata; un plauso alla Bellè, invece, imbruttita e
costretta in un letto d’ospedale, che regala anima e corpo al
personaggio della mancata vittima – nonostante qui e lì,
purtroppo, il doppiaggio ne appiattisca le buone intenzioni. I
difetti non sono pochi, e comprendono anche lungaggini e sottotrame
da asciugare in fase di sceneggiatura, e superano senz’altro quelli
del giallo precedente: una storia più radicata nel nostro paese, al
contrario, che guardava alla cronaca nera anziché ai puzzle di
Christopher Nolan e poteva vantare a bordo un ispirato Boni. Ma
le sbavature hanno tutte a che fare con la passione di un professionista, narratore in primis, che nel passaggio alla pellicola
tende a mettere tanto, troppo del proprio universo espanso: anche a
rischio di confondere i profani. Con l’ambizione di un novello
Icaro che si brucia, vero, ma lascia comunque ammirati. In un
panorama italiano a corto di thriller, di colpi di scena o di testa,
come non restare affascinati dalla follia di un salto più lungo
della gamba? (7)
Saranno anche parassiti, ma sanno come conquistare. Eccome. :)
RispondiEliminaDoctor Sleep mi spaventa abbastanza. E non intendo da un punto di vista horror...
Dopo It - Capitolo 2 io e King non siamo troppo in un buon momento. Magari è meglio se aspetto a guardarlo.
Di Donato Carrisi sono sempre a digiuno. Pure con lui però, come con King, non so se potrò andare troppo d'accordo... :D
Niente paura con Doctor Sleep. È un film che emoziona, con un bel cuore, anche se manca qualsiasi paura. Non verrà ricordato, lo chiarisce il box-office, però poteva andare peggio.
EliminaMa preferisco chi rischia ed esagera, anche pasticciando, rispetto a chi resta nella sua comfort zone e schiva grandi confronti. Carrisi è tutt'altro che ineccepibile, ma almeno stupisce.
Il primo film di cui hai parlato sembra fantastico! Cercherò senz'altro di vederlo! *____*
RispondiElimina"Doctor Sleep", in versione libro, mi aveva abbastanza tediato, quindi confesso di avere un po' paura del film... Se poi mi dici che contiene in sé un pizzico di "Stranger Things" (un titolo nei confronti del quale ho ampiamente superato ogni possibile limite di sopportazione...), mi confermi che probabilmente farei meglio a tenermene alla larga, almeno per il momento! :D
Penso proprio che Doctor Sleep, nonostante Flanagan, non ti sorprenderebbe in positivo.
EliminaHa pochino da dire.
mi ero ripromessa di andare al cinema a vedere Carrisi, il libro l'ho amato e mi aspetto di provare lo stesso sentimento per il film! *_*
RispondiEliminaNon tutto funziona nella trasposizione, soprattutto le ambientazioni, però i colpi di scena e l'adrenalina della lettura restano!
EliminaDevo dire che mi piacerebbe molto leggere Doctor sleep, prima di vedere il film... Vediamo di smaltire prima qualche lettura ☺️☺️
RispondiEliminaUn bel mattoncino. ;)
EliminaParasite è lì che mi aspetta, e spero nei prossimi giorni di poter affermare anch'io di aver trovato il mio film dell'anno. Per il resto, ancora non mi sbilancio, anche se di Doctor Sleep ho la stessa paura non horror di Cannibal.
RispondiEliminaDoctor Sleep è così emotivo e di cuore che in famiglia, sospetto, potrebbe piacervi.
EliminaParasite è davvero meraviglioso, la sorpresa inaspettata dell'anno.
RispondiEliminaDoctor Sleep è l'ennesimo colpo messo a segno da Flanagan, con grazia e bravura. Meglio vederlo freschi di capolavoro Kubrickiano e romanzo di King per apprezzarlo ancora di più.
Dici di sì? Temo che, dopo il ripasso, personalmente lo avrei trovato ancora più "moscio".
EliminaEcco, l'aggettivo calzante.
Strano trovarsi dello stesso parere e allo stesso tempo con il cuore in parti opposte: io sto per Doctor Sleep e per tutto quello che mi ha trasmesso (paura, emozione, tensione) mentre ho faticato di più con i sentimenti di Parasite, che arrivano con il colpo di coda finale.
RispondiEliminaIn ogni caso, due gran bei film!
Con Carrisi ho appuntamento questo fine settimana, non leggo niente che per i gialli preferisco entrare a scatola chiusa ;)
Carrisi è un po' pasticciato, però un colpo di scena simile, al cinema, forse non lo si vedeva dallo spagnolo Contrattempo. Una grande orchestrazione, ma una regia da mettere meglio a fuoco: più riuscito il primo!
EliminaAttento i tuoi post!
RispondiEliminaMi ha incuriosita molto il tuo voto riguardo Parasite ☺️ devo dire che l'avevo ignorato impunemente, ma mi hai incuriosita davvero molto. Vedrò di recuperarlo ☺️☺️☺️☺️
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