Se
c’è una cosa che poco tollero, in fatto di storie o persone, è il
pressappochismo. E il best-seller sulla bocca di tutti, The Chain,
purtroppo ne cade spesso vittima. Metto la frase forte così, in
apertura, come una dichiarazione d’intenti. Diciamolo subito,
infatti: preceduto da uno straordinario battage pubblicitario,
recensito sulla quarta di copertina da autori d’eccezione – da
Stephen King a Don Winslow, sembravano tutti dell’idea che fosse un
moderno capolavoro della suspance –, il primo romanzo di Adrian
McKinty giunto in Italia non si è affatto rivelato all’altezza
delle aspettative iniziali. Dalla sua, eppure, l’autore aveva una
nota biografica di tutto rispetto e uno spunto accattivante: cosa
saresti disposto a fare se tuo figlio venisse rapito e, per salvarlo, un boia
anonimo ti costringesse a rapire un altro bambino diventando
l’ennesimo anello di una catena di morte e ricatti? Rachel, mamma
fresca di divorzio e di chemioterapia, è la
sfortunata protagonista al centro dell’incubo. Qualcuno alla
fermata dell’autobus ha preso Kylie, tredici anni, e mette alla
prova la genitrice single dall’altro lato della cornetta.
È
vertiginoso il numero di profili che possono essere letti da
chiunque. George Orwell si sbagliava, pensa. Nel futuro non sarà lo
Stato a schedare tutti esercitando una sorveglianza pervasiva; saremo
noi stessi. Faremo il lavoro dello Stato postando continuamente la
nostra posizione, i nostri interessi, cibi e ristoranti preferiti,
idee politiche e hobby su Facebook, Twitter, Instagram e altri
social. Saremo la polizia segreta di noi stessi.
In
giornata deve: convincere la banca a un prestito di venticinquemila
dollari; procurarsi un’arma da fuoco;
individuare una casa sfitta per rinchiuderci la bambina innocente necessaria per lo scambio di persona. Succedono, a questo punto,
coincidenze degne di un film d’azione di serie B, non di un romanzo
ben costruito: perché, come se niente fosse, la protagonista ottiene
la seconda ipoteca sulla casa – quando gli aguzzini più in là
pretenderanno altro contante potrà comunque contare sul cognato Pete, reduce
di guerra tossicodipendente e senza lavoro, con un’impensabile
ricchezza economica sul conto corrente; come se si trattasse del
provolone in offerta alla Coop, in seguito, Rachel acquista
un’arma sotto banco – non una semplice pistola, bensì un fucile
a pompa; la villa sulla spiaggia dei benestanti vicini, inoltre, si rivelerà per sua fortuna avere una serratura risibile e un sistema d’allarme da verificare con una semplice chiamata al numero verde. Seguono tentativi di ribellione,
messaggi in codice, localizzazioni da intelligence; il tutto
destinato a chiudersi a carte scoperte, all’insegna della pura
coincidenza, in un finale a metà strada fra Indovina chi viene a
cena e Rambo. La forza delle donne, uno dice. O le
forzature di una certa narrativa americana, piuttosto, fatta di
approssimazioni, dimenticanze, azzardi.
Ogni
cosa viene fatta per la Catena. La Catena non può interrompersi. E
non può perdere un solo anello.
Cinematografico
nel migliore e peggiore senso del termine, già opzionato dalla
Paramount per una trasposizione, The Chain ha una scrittura
che rende impossibile non divorarlo nell’arco di un paio di
pomeriggi e le contromosse di ogni americanata degna di tale
storpiatura. C’è fretta nel trattare il tumore al seno di lei e la
dipendenza da stupefacenti del cognato, problemi inseriti per
aggiungere ulteriore patetismo all'intreccio a discapito di chi ne ha davvero
sofferto. C’è fretta, stranamente, anche nell’adattamento
italiano: perfino a una lettura disattenta, come sottolineato anche
sul blog di Silvia, risultano difficili da ignorare nomi invertiti per sbaglio ed
errori evitabili – “ski mask”, tradotto alla lettera “maschera
da sci”, indicherebbe in realtà un comune “passamontagna”. In ogni
caso, scorrevolezza a parte, la conoscenza di McKinty risulterebbe
deludente anche se non fossi troppo puntiglioso in fatto di thriller
e casi editoriali. The Chain mi ha ricordato titoli come Ore
di terrore e Utente sconosciuto: tascabili da cestone, letti e apprezzati all’epoca, forse meglio riusciti
ma meno fortunati. Non gli si perdona l’accumulo di tragedie
personali, presto abbandonate a loro stesse; quel gusto caciarone che
in teoria non dovrebbe confarsi a una vicenda ispirata alla cronaca
nera americana, bensì a un innocuo blockbuster.
La Catena, si legge, è un meccanismo che si autoregola: fatto il proprio lavoro, è possibile uscirne a mani pulite. Ma l’autore qui e lì riporta macchie inequivocabili, invece, che lo sbugiardano in fretta e lo portano a essere segnato sulla lista nera: quella dei famigerati best-seller che non escono col buco. Il gioco appena cominciato per me finisce qui. Dalla giostra, spezzata la catena, grazie tante, preferirei scendere.
La Catena, si legge, è un meccanismo che si autoregola: fatto il proprio lavoro, è possibile uscirne a mani pulite. Ma l’autore qui e lì riporta macchie inequivocabili, invece, che lo sbugiardano in fretta e lo portano a essere segnato sulla lista nera: quella dei famigerati best-seller che non escono col buco. Il gioco appena cominciato per me finisce qui. Dalla giostra, spezzata la catena, grazie tante, preferirei scendere.
Il
mio voto: ★★
Il
mio consiglio musicale: Fleetwood Mac – The Chain
Non lo avevo considerato, ed evidentemente avevo fatto bene! ;)
RispondiEliminaBenissimo!
EliminaNe avevo già letto pareri negativi ed ora questo tuo pensiero mi conferma che non lo leggerò! Peccato perché l'idea di base avrebbe potuto avere un grande potenziale!
RispondiEliminaMolto, ma se sviluppata da un autore più in gamba.
EliminaNon credo lo leggerò XD
RispondiEliminaPer una volta, non sarò io a dirti di farci un pensiero. :)
EliminaQuanta verità Mr Ink! Ho trovato The Chain a dir poco imbarazzante, fai bene a parlare di pressapochismo ma la sottoscritta c'era caduta come una pera lessa. Dopo aver letto il commento entusiasta di Don Winslow (che tra l'altro è ringraziato dall'autore proprio nella pagina dei riconoscimenti) non ho potuto fare a meno di comprarlo, per rimanere poi delusa su tutta la linea! Ben mi sta, d'ora in poi starò più attenta ;-)
RispondiElimina"Imbarazzante", sì.
EliminaSevera ma giusta.
è nato un nuovo genere, il "thriller comico". Solo che mi veniva da piangere e non da ridere... (no, non è vero, ho anche riso un sacco!)
RispondiEliminaLa commedia horror c'era già effettivamente... Il caro Adrian è un pioniere del campo!
EliminaDalla trama non mi sembrava male, ma mi sa che farò bene a lasciar perdere...
RispondiEliminaSoltanto lo spunto è degno di nota. Comunque preso in prestito dalle vendette del Cartello messicano...
EliminaUn pastrocchio (come si diceva quando eravamo piccoli)? Lea
RispondiEliminaEcco, l'unico termine da scrivere in copertina!
Eliminauff, mo' l'ho iniziato e lo finisco..., ma mi sa che sarà una sola.
RispondiEliminaBoh, spero di poter salvare qualcosa a fine lettura :-D
menomale che era un omaggio!! o.O
Auguri!
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