Ai
miei tempi c'era la serie di American Pie in videoteca o
Melissa P. sfogliata di soppiatto al supermercato. Alle scuole medie
un po' di sesso lo si vedeva o leggeva così: con la pudicizia verso
il tabù. Molto più fortunati possono dirsi gli adolescenti di oggi:
seduti al primo banco, attentissimi, prendono appunti e sollevano
dubbi esistenziali a lezione da Sex Education. La versione
live action di Big Mouth,
essenzialmente, che attinge a tratti a Skins, a tratti
al recente The End of the F***ng World. Siamo nel solito liceo
di provincia e il solito sedicenne imbranato – Asa Butterfield,
cresciuto bene dopo la benedizione artistica di Martin Scorsese –
fa i conti con l'imbarazzo della mamma sessuologa e la cotta per una
ragazza con la fama da bulla. Perché non mettere a frutto
un'infanzia passata a sentir parlare di sesso per racimolare qualche
soldo, tagliare il cordone ombelicale che lo lega alla sempre
fascinosa Gillian Anderson e, se tutto va bene, conquistare l'erede lampo di Margot Robbie? A scuola c'è chi apre troppo
le gambe e chi non le apre abbastanza. Chi sogna in segreto
un'esperienza omosessuale, chi simula l'orgasmo, chi non si prende
cura a sufficienza delle proprie zone erogene. Chi ce l'ha piccolo,
chi ce l'ha grande, chi non ce l'ha depilata alla
brasiliana. Otis, sotto lauto compenso, ha una risposta per tutto, ma
non per il suo cuore misterioso. Né per l'inibizione verso la
masturbazione, suo grande cruccio, che gli rende di conseguenza difficile
anche il contatto fisico. Scorretta, boccaccesca, nuda e cruda, Sex
Education non si fa mancare davvero nulla. Dà quello che
promette, fra amplessi sbirciati e grasse risate, ma il risultato
sorprende per buon gusto e misura. Modernissima ma con un accurato
stile anni Ottanta, l'ultima commedia Netflix gioca con furbizia e
impensata grazia le proprie carte vincenti. E fa bene, perché la
semplicità, il prendi di qua e il prendi di là dai teen drama
di ogni dove, si sposa bene con un cast dalla faccia pulita e una
scrittura che, lasciati a sbollire i bassi istinti, a sorpresa scalda
il cuore. Con le cliniche per l'aborto dagli Smiths in sottofondo.
Con gli amici gay che non disdegnano i travestimenti e, per
solidarietà, ti spingono a vestirti come Hedwig oppure a ballare un lento
in pista. Con la revisione in chiave politicamente scorretta di un
femminismo meno banale al suon di: «È la mia vagina!». C'è del
vero nel luogo comune: non esiste sesso senza amore. (7+)
Alle
medie adoravo High School Musical: conoscevo tutta la colonna
sonora, inutile nascondersi, e l'altro giorno meditavo
l'idea di un rewatch in nome della nostalgia canaglia. Alle
superiori è stata la volta di Glee:
serie subito cult, sfortunatamente in caduta libera dopo la
collezione iniziale di plausi e premi in patria. Quest'anno,
invece, scartato Rise,
contro tutti i pronostici gli ho preferito La compagnia del
cigno: una scusa per far
fruttare il chiacchierato canone Rai e una bella occasione per
portare la musica classica in prima serata, realizzando una serie per gli
adolescenti di oggi e di ieri. Ivan
Cotroneo, già con Un bacio autore
di grande sensibilità, conferma di possedere un tocco delicato
e nel suo piccolo fa magie con un cast di reali studenti del
conservatorio chiamati per la prima volta a suonare, cantare e
recitare. Qualcuno, per altro, con ottimi risultati: benché il
protagonista sia Leonardo Mazzarotto, studente
sopravvissuto al terremoto di Amatrice in fuga dal disturbo
post-traumatico, spicca per spigliatezza il personaggio irresistibile
di Hildegard De Stefano, un'ipovedente che
spezza cuori a destra e a manca e si fa beffe del politicamente
corretto. Il titolo: il nome di un gruppo WhatsApp che ha radunato
gli emarginati e i talenti incompresi dell'orchestra di un
Alessio Boni non meno spietato di J.K. Simmons. Di giorno direttore
d'orchestra con i modi da canaglia, di notte giustiziere accanto ad Anna Valle per vendicare una figlia vittima d'omicidio
stradale, Boni divide la scena con valenti addetti ai lavoro
(Giovanna Mezzogiorno, mamma saggia ed evanescente morta nei crolli;
Alessandro Roja, spumeggiante zio gay una spanna sugli altri),
partecipazioni trash (i cameo di Mika e Michele Bravi; Marco
Bocci che scimmiotta con ironia il Bernal di Mozart in the Jungle) e
giovani leve. Peccato che la lunghezza degli episodi, gli inserti
musical mal realizzati e la fotografia di un irriconoscibile Luca
Bigazzi intrappolino la serie in stilemi televisivi che, a tratti,
vedasi la stucchevole gita ad Amatrice del finale, cancellano i pregi
diffusi al suon di nasi da storcere. Si apprezzano comunque le buonissime intenzioni, le ambientazioni milanesi, il tentativo di opporsi con la
controprogrammazione al pessimo Adrian,
e tanto basta per dirsi contenti. In attesa di un ritorno con gli
stessi drammi vincenti, ma meno auto-tune nei ritornelli, più cura
alla regia e altrettante armonizzazioni. (6,5)
Si
conoscono da metà delle loro vite, e sono vite lunghe. Uno attore di
scarso successo a capo di un'accademia di recitazione, l'altro suo
fedelissimo manager. Il mondo del cinema, però, fra strizzate
d'occhio e grandi nomi fatti tanto per vanteria, resta sullo sfondo. Si sceglie di parlare d'altro: delle
gioie e dei dolori condivisi, della salute che va e che viene, dei
segreti della terza età. Non si smette di fare sesso a settant'anni,
lo sa bene il sempre affascinante Michael Douglas, che nelle sfilate
sui Red Carpet continua a non stonare con Catherine Zeta-Jones
accanto. Non si smette di considerare i propri figli alieni, lo
ribadisce uno struggente Alan Arkin alle prese con il vuoto della
vedovanza – ogni tanto, eppure, eccolo confidarsi con lo spettro
della moglie in camera da letto – e con le bizze della figlia, alcolizzata da scortare in rehab. Aggiungete
qualche vecchio problema familiare e nuove fiamme, la prostata che fa
i capricci sotto le mani indelicate dell'urologo De Vito, l'amore
altalenante ra due irresistibili brontoloni che nonostante tutto non
si stancano mai della reciproca compagnia. Otterrete, così, The
Kominsky Method: ultima fatica
di un Chuck Lorre che gioca pedine fortunate e agli scorsi Golden
Globe, complici due straordinari mattatori per fiore all'occhiello,
sbaraglia una concorrenza agguerrita. Imprevedibilmente e, se lo
chiedete a me, non troppo meritatamente. Vista agli inizi di dicembre
durante i pasti, la serie è stata una compagnia rapida e indolore di cui
parlare soltanto a vittoria avvenuta. Prima, infatti, non mi aveva tentato il bisogno di abbinare i soliti aggettivi, di
raccontarvi la solita comedy agrodolce, per la quale a torto non
vedevo un futuro. La seconda stagione è già stata confermata ai
piani alti e questa strana coppia non smette di mietere consensi in
rete (chiedetelo a Lisa, ad esempio, gerontofila doc). Affezionato
all'umorismo nero di Vicious non
meno che alla galanteria di The Old Man and the Gun, invece, io mi sono
scoperto lontano dall'ironia più godereccia di Lorre; da una serie
sulla settima arte a cui il cinema manca, strano ma vero, che nel
giorno giusto potrebbe forse strapparvi più lacrime che risate.
(6,5)
Ciao! Non avevo in programma di guardare Sex Education, ad essere sincera, ma leggendo il tuo post ho cambiato idea. Con le serie tv sono lentissima, quindi prima che riuscirà ad arrivare il suo momento ne passerà ancora di tempo, ma mi hai davvero incuriosita! :)
RispondiEliminaTi ringrazio! Nel suo non essere niente di rivoluzionario, comunque spicca per simpatia e buon gusto. 😊
EliminaAhah, da gerontofila sai che Douglas e Arkin li ho adorati e divorati, visti in appena un giorno e mezzo credo, con tanto di lacrime e risate al seguito. Una versione maschile di Grace e Frankie molto più profonda, più d'impatto.
RispondiEliminaSex Education effettivamente niente ha di nuovo dice, ma lo fa con la giusta freschezza e attenzione che la si gusta senza problemi.
I cigni, no, nonostante Alessio Boni proprio non mi attirano. Resto con i miei pregiudizi snob verso la Rai e passo.
Ma povera Rai. Tra questo e Io sono Mia, ultimamente si è difesa meglio del solito contaminanando anche il cinema nostrano!
EliminaSex Education l'ho adorata.
RispondiEliminaconfesso di non conoscere questa serie Rai anche perché guardo poco o nulla, la Tv, ma un'occhiata avrei voglia di dargliela.
Per quanto io odi il linguaggio televisivo italico.
E di una serie molto molto televisiva comunque si tratta, però le si vuol bene.
EliminaSai già che ho adorato Sex Education *_* attendo con ansia la seconda stagione. Spero che Netflix non ci metta tipo due anni.
RispondiEliminaLa compagnia del cigno non so se potrebbe piacermi, però un po' mi hai incuriosito. Vedrò.
Spero si prenda il tempo che ci vuole, ecco, così da non fare pasticci. Già con Big Mouth, insomma...
Elimina"La compagnia del cigno" è una serie davvero bella, però alcuni pezzi musical sono esagerati (ad esempio quando Matteo vola e fa le acrobazie), qui trovi la mia recensione ➡ http://gattaracinefila.blogspot.com/2019/02/serie-evitate-serie-che-ho-visto-e.html 😊
RispondiEliminaPensa che quello che dici tu, con Creep, è uno dei pochi che ho apprezzato. Ma Sara che canta la Cyrus. Brrr...
EliminaQuegli sfigati de La compagnia del cigno mi mancano già ahahah
RispondiEliminaVa beh, speriamo in una seconda stagione che, visto il successo, dovrebbe arrivare. Anche se, considerati i tempi Rai, mi sa che ci sarà da attendere un paio d'anni...
Pure per me Hildegard De Stefano favolosa. Tanto che mi è venuto il dubbio che l'attrice sia realmente ipovedente... Probabilmente no, però il dubbio mi rimane.
Alessio Boni in stile J.K. Simmons, è vero, ecco chi mi ricordava. :)
Sex Education bene come comedy, bene pure come teen drama, we like it!
The Kominsky Method è uno di quegli strani casi in cui un lavoro sui vecchini piace più a me che a te. Incredibile! :D
Anch'io non so se sia ipovedente o meno, quindi ho evitato gaffe. In ogni caso, bella e brava lei. Peccato sia protagonista di una delle peggiori scene musical!
EliminaMi sto decisamente arretrando troppo! Non avevo in programma di vedere anche Sex Education ma mi sa che dovrò rivedere i miei piani :D
RispondiEliminaQuesto ti tocca!
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