Ho
letto per la prima e ultima volta Gianluca Morozzi qualcosa come
dieci anni fa. Avevo quattordici anni, a occhio e croce, e avevo
divorato in un pomeriggio scarso il suo romanzo più famoso, Blackout.
Il giorno di Ferragosto, un ascensore fermo, una gabbia da zoo per
una manciata di esistenze destinate a collidere. Ricordo di averne
adorato a tal punto il twist finale, l'umorismo che più
nero non si poteva, da aver fatto il diavolo a quattro per procurami
per vie traverse un thriller messicano mai doppiato, con Amber
Tamblyn e un Armie Hammer semisconosciuto nel cast, che alle pagine
dello scrittore emiliano si era ispirato. Dopo un
decennio di incontri passeggeri, senza mai un'occasione buona per
rileggersi, ho riscoperto quanto Morozzi mi piaccia – ironico,
cattivo, kitsh con gusto nei suoi taglia e cuci – con un ultimo
arrivo in libreria dalla copertina disturbante: una foto di Stefano
Bonazzi, di cui inutile dire ho subito spulciato gli scatti su
Google, con una camera da letto invasa da una silenziosa
profanatrice. Un altro condominio ai confini della realtà, un'altra
Bologna fantasma, un'altra convivenza forzata. Giulio Maspero,
trentenne, ha due problemi che a un certo punto lo porteranno a
vagare smarrito in un bosco, fra la vita e la morte, in cerca di una
piramide impossibile: il sogno della pubblicazione con un grande
editore e le belle donne. Adolescente insicuro cresciuto a pane e
Stephen King, Maspero ha compensato alle turbe di gioventù con
quattro romanzi – solo il terzo però distribuito su larga scala –
e una collezione di innumerevoli relazioni sentimentali clandestine.
Opportunista, spiantato, incapace di impegnarsi sul serio, viene
cacciato di casa da una ragazza per bene per gli inequivocabili
messaggi dell'allieva più procace a lezione di scrittura creativa.
Le
case sono delle spugne. Assorbono. E chi ci vive dentro, quel che
hanno assorbito lo respira.
Allo
sbando, in cerca di un buco per completare la stesura del suo quinto
romanzo – un'opera ambiziosa che sembra dover tanto a 22/11/63 –, viene
tentato dalla proposta indecente di un vignettista pulp in partenza
per l'Uruguay. Sistemarsi nella mansarda di un condominio fatiscente
a un passo dal fiume, innaffiargli le piante, curare i rapporti di
buon vicinato. Ma non c'è traccia di verde, in un appartamento con
muri portati di fumetti vietati ai minori, e gli inquilini – tutti
imparentati fra loro, tutti calorosissimi se si tratta di fare cerimonie – non sono disposti a lasciare all'ospite abusivo i suoi
spazi vitali. Una TV accesa in un appartamento sfitto,
l'invito per i novant'anni del patriarca e, di notte, i gemiti di
piacere di Rachele – seducente come una diva del muto, ma con
tatuaggi annessi – che gli chiede languidamente di unirsi a lei.
Pensate ai parenti indiscreti di Get Out, alle invasioni
barbariche di Rosemary's Baby. Uniteci la passione malata per
horror in stile Human Centipede,
qualche simbologia alla Lovecraft e le tessere di un innocente puzzle che,
assieme alla sindrome da pagina bianca, diventano presto un tarlo
ossessionante. Inscenatelo in una città criminale e proponetelo
magari ai Manetti Bros, ad Alex De La Iglesia, così da figuravi le situazioni surreali, i risvolti impensabili, di una commedia
grottesca, breve e agghiaggiante. Lo scrittore dongiovanni dal conto
eternamente in rosso, infatti, fa conoscenza con il nero dell'antica
famiglia Malventi; e, legato mani e piedi all'ennesima gonna, lì
rischia di perdersi.
Questo
è l'inferno: non sapere da quanto tempo sei all'inferno. Sono mesi o
minuti che cammino in questo bosco desolato? Sto cercando la piramide
da due giorni o da vent'anni? Se potessi farlo, mi strapperei il
cuore con le mani. Ma non posso. Non con queste mani. E allora lo
supplico, il mio cuore. Gli chiedo di fermarsi.
Rocambolesco,
super pop, Gli Annientatori
è uno di quei romanzi corti per esigenza, vicini al racconto
per numero di pagine, che nel loro formato ridotto si rivelano
perfetti così: prima lettura dell'anno con il merito di
cogliermi davvero in contropiede. Parlando di uno scrittore tanto
prolifico, quanto appare fuori luogo però dirsi sorpreso? Perché
rileggerlo solo ora, se dieci anni fa sapeva essere
altrettanto accattivante? Sapete come sono fatto, ogni tanto mi impunto.
Cognetti lo scorso anno, Ammaniti quello prima, e così via. Sospetto
che la mia fissa, quest'anno, ascolterà i Pink Floyd. Mi infesterà
la stanza con una maschera da coniglio. Di cognome farà Morozzi.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Sergio Endrigo – La casa
Ho comprato Blackout!!!!!
RispondiEliminaCorto, violento, acidissimo.
EliminaRoba nostra, insomma.
appena ho letto la trama, è scattato l'aMMMore!
Elimina<3
EliminaCioè, a 14 anni divoravi già interi romanzi in un pomeriggio?
RispondiEliminaIo credo che manco Il piccolo principe sono riuscito a finirlo in un giorno ahah :)
Il film messicano sembrerebbe interessante, se si trova da qualche parte...
Quanto a questo nuovo libro, fin dalla copertina tra David Lynch e Donnie Darko sembra mooolto promettente.
Sento, poi, che un protagonista così ti starebbe molto, molto simpatico. Morozzi e i suoi horror grotteschi, effettivamente, ricordano l'Ammaniti dei primi racconti, quello "cannibale".
EliminaPer il film, invece, vedi un po'. Hammer e l'Italia, comunque, in un modo o nell'altro hanno tante connessioni!
Appena ho visto la tua foto su Instagram sono corsa ad informarmi su Morozzi. Ovviamente non è la prima volta che lo sento nominare, ma non ho mai letto niente di suo. Fatto sta che ho messo in wishlist "Blackout", "Gli annientatori" e "L'era del porco". Direi che è ora di iniziare a conoscere Morozzi *_*
RispondiEliminaAhahahah, magari avremo una fissa in comune quest'anno. ;)
EliminaMi incuriosisce da matti ma non mi ci sono ancora avvicinata. Questo è l'anno giusto ;)
RispondiEliminaForse, è giusto anche il romanzo. ;)
Eliminaoddio Mik chi mi hai fatto scoprire! Sono ossessionata da Blackout adesso e questo potrebbe arrivare subito dopo!
RispondiEliminaAllora è immancabile, Saya!
Elimina