lunedì 25 novembre 2019

Recensione [romanzo e film]: Dove la terra trema, di Susanna Jones

Dove la terra trema, di Susanna Jones. Harper Collins, € 18, pp. 204 |

In un Giappone di grattacieli vertiginosi e abbaglianti luci al neon, luogo d’ispirazione per le indimenticabili scenografie di Blade Runner, nasce e muore la storia di Lucy Fly. Straniera in terra straniera, l’enigmatica inglese in trasferta si trova coinvolta in un mistero degno del suo passato. È a Tokyo da dieci anni, lavora come traduttrice. Ormai ha imparato a confondersi tra lo sfarfallare delle luci e la pioggia fitta. Al punto che, probabilmente, un passionale fotografo di pozzanghere chiamato Teiji la prima volta deve averla fotografata scambiandola per un dettaglio del paesaggio. Da un semplice scatto ha avuto inizio una passione laconica e telepatica, terminata con la scomparsa del giovane uomo e l’omicidio di un’altra espatriata: Lily, originaria dello Yorkshire come la protagonista, in fuga da un fidanzato possessivo. Non è stato abbastanza per la sfortunata infermiera nascondersi in un bar dall’altra parte del mondo? O, come insinua la polizia all’indomani di un macabro ritrovamento – un busto ripescato nella baia di Tokyo –, la compatriota sotto torchio potrebbe aver avuto un ruolo cruciale nel fatto di sangue?
Dove la terra trema, dramma psicologico di Susanna Jones tornato in libreria grazie all’arrivo dell’omonimo film Netflix, è il romanzo che avrei voluto leggere al liceo. Quando un thriller tirava l’altro e, reduce dalla lettura dello straordinario Memorie di una geisha, sognavo di trasferirmi nel Sol Levante. Ma la lunghezza del viaggio, le difficoltà della lingua e una sensibilità troppo diversa da quella occidentale, a ben vedere, incantavano e terrorizzavano.

«Non abito in Inghilterra da tanti anni».
«Ma le radici sono importanti».
«I fiori e gli alberi hanno radici. Gli esseri umani hanno le gambe».
Come si vive in Oriente? Ci si ambienta? Ci si abitua mai ai risucchi rumorosi delle zuppe, ai condomini abitati soltanto da stranieri, alle caparre salate e agli agenti immobiliari diffidenti, alle minuzie del rito del tè o alle bellezze naturali dell’isola di Sado e del monte Fuji? Ultima di una nidiata di figli maschi, taciturna ai limiti del mutismo, Lucy – nel resoconto di un’infanzia a tinte burtoniane – racconta dell’attrazione magnetica verso il planisfero e del bisogno di appropriarsi di un linguaggio segreto. Distante chilometri e chilometri dal provincialismo inglese, ha realizzato il desiderio della bambina che in vacanza si era spinta col materassino in alto mare puntando alle coste norvegesi: isolarsi. Burbera e solitaria, benché i suoi occhi di corvo la rendano irresistibile per il sesso maschile, ha un’intensa vita notturna e un passato inframmezzato d’accidenti e catastrofi. Si immedesima nelle storie di finzione del teatro kabuki. Inventa esistenze per gli sconosciuti in foto. Scivola dalla prima persona alla terza. Sempre propensa a mettersi in pericolo, cammina sui binari di una città che somiglia a una giungla urbana. E talora si perde.
Narrato da una voce assolutamente conturbante, il triangolo erotico dell’autrice è un intrigo di amore e morte dall’intreccio basico – gelosie, stalking, ossessione –, con due grandi pregi: la scrittura della Jones, ipnotica e delirante per stare al passo con la confusione della protagonista; le ambientazioni giapponesi vividissime, che tenteranno ogni otaku a prendere il primo aereo e partire. Leggendolo senza particolari aspettative, mi sono trovato per le mani un romanzo di grande atmosfera ma con un finale sbrigativo, non all’altezza del resto. La tensione accumulata, infatti, si sgonfia come un palloncino nelle pagine conclusive. E una trama che scricchiola, qui e lì, si assesterà soltanto imparando a portare pazienza.

Guardandola, potrei pensare: è questo il momento esatto in cui qualcosa ha cominciato ad andare storto, il punto in cui ormai i giochi erano fatti. Prima dello scatto dell’otturatore. Dopo lo scatto dell’otturatore. Una frazione di secondo tra i due istanti, quando si verificò uno scorrimento sismico non registrato dalla crosta terrestre. Le sue conseguenze si sarebbero manifestato con il tempo sotto forma di un movimento tellurico talmente intenso da non poter essere misurato sulla scala Richter né con il sismografo giapponese.
Potrei dire lo stesso della trasposizione di Wash Westmoreland: fedelissima, pro e contro compresi, se non fosse per l’ambientazione anni Ottanta, il trattamento del protagonista maschile – un personaggio più ordinario e prevedibile rispetto alla controparte letteraria, dunque già sospetto a colpo d’occhio – e la retrocessione di Tokyo, cuore pulsante del tutto, a patinata protagonista secondaria. Da vedere esclusivamente per l’ennesima grande prova di Alicia Vikander, alle prese qui con un copione sdrucciolevole  e con le difficoltà dei monologhi in giapponese, il film può contare anche sulla freschezza dell’esuberante Riley Keough. Il terremoto resta una metafora dell’instabilità mentale della protagonista accusata e l’interrogatorio il mezzo per eccellenza per scoprire cosa, ieri come oggi, spinga una ragazza di belle speranze a preferire l’ignoto rispetto ai vincoli di casa propria. Preferibili l’arresto – benché in alcuni luoghi viga ancora la pena di morte per impiccagione – o il rimpatrio forzato? C’è differenza tra essere non colpevoli e incolpevoli? Dimenticherò presto la trama, forse. Non questa Tokyo inedita, inquadrata al buio e sotto un acquazzone perenne. Non lo smarrimento di un’apolide senza bussola e senza equilibrio, che sulla propria pelle sperimenta la curiosità e la tristezza di una versione noir di Lost in translation.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Tycho - Japan

8 commenti:

  1. Come storia ci siamo, nel senso che potrebbe piacermi, però tra leggere il libro e guardare il film, credo opterei per il secondo, faccio prima :-D

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il romanzo prevedibilmente è meglio ma, con troppo da leggere e poco tempo, capisco e approvo la tentazione di darsi al film. :)

      Elimina
  2. Francamente non lo conoscevo. Se non fosse stato per te non credo non avrei ignorato la sua esistenza... Sembra però una lettura molto carino ☺️☺️📖

    RispondiElimina
  3. Inizialmente lo avevo messo nella lista di Netflix, viste le protagoniste. Poi non sentendone parlare, vedendo i voti scarsini, l'ho tolto a favore dei titoloni che stanno per arrivare e per cui già fatico a trovare tempo. Magari con l'anno nuovo, magari se me ne ricordo ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Film poco memorabile, ma non brutto. Anzi, Tokyo potrebbe farti gola per un prossimo viaggio. :=

      Elimina
  4. Io mi sono visto il film. Seguendo il tuo consiglio ancora prima di aver letto la tua recensione: esclusivamente per Alicia Vikander. E un poco pure per Riley Keough.
    Fondamentalmente non mi è dispiaciuto, le attrici se la cavano, l'ambientazione è anch'essa affascinante, solo che come dici la trama non è che sia così indimenticabile e la parte finale non è molto riuscita. Quindi non so se il bilancio conclusivo è più positivo, oppure negativo...
    So solo che Alicia Vikander negli ultimi tempi si sta scegliendo troppi progetti medio-scarsini e forse dovrebbe trovarsi un agente migliore. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lei e Fassbender, oltre che la casa, divideranno anche un manager non troppo brillante...

      Elimina