| Dove la terra trema, di Susanna Jones. Harper Collins, € 18, pp. 204 |
In
un Giappone di grattacieli vertiginosi e abbaglianti luci al neon,
luogo d’ispirazione per le indimenticabili scenografie di Blade
Runner, nasce e muore la storia di Lucy Fly. Straniera in terra
straniera, l’enigmatica inglese in trasferta si trova coinvolta in
un mistero degno del suo passato. È a Tokyo da dieci anni, lavora
come traduttrice. Ormai ha imparato a confondersi tra lo sfarfallare
delle luci e la pioggia fitta. Al punto che, probabilmente, un
passionale fotografo di pozzanghere chiamato Teiji la prima volta
deve averla fotografata scambiandola per un dettaglio del paesaggio.
Da un semplice scatto ha avuto inizio una passione laconica e
telepatica, terminata con la scomparsa del giovane uomo e l’omicidio
di un’altra espatriata: Lily, originaria dello Yorkshire come la
protagonista, in fuga da un fidanzato possessivo. Non è stato
abbastanza per la sfortunata infermiera nascondersi in un bar
dall’altra parte del mondo? O, come insinua la polizia all’indomani
di un macabro ritrovamento – un busto ripescato nella baia di Tokyo
–, la compatriota sotto torchio potrebbe aver avuto un ruolo
cruciale nel fatto di sangue?
Dove
la terra trema, dramma psicologico di Susanna Jones tornato in
libreria grazie all’arrivo dell’omonimo film Netflix, è il
romanzo che avrei voluto leggere al liceo. Quando un thriller tirava
l’altro e, reduce dalla lettura dello straordinario Memorie di
una geisha, sognavo di trasferirmi nel Sol Levante. Ma la lunghezza del viaggio, le difficoltà della lingua
e una sensibilità troppo diversa da quella occidentale, a ben
vedere, incantavano e terrorizzavano.
«Non
abito in Inghilterra da tanti anni».
«Ma
le radici sono importanti».
«I
fiori e gli alberi hanno radici. Gli esseri umani hanno le gambe».
Come
si vive in Oriente? Ci si ambienta? Ci si abitua mai ai risucchi
rumorosi delle zuppe, ai condomini abitati soltanto da stranieri,
alle caparre salate e agli agenti immobiliari diffidenti, alle
minuzie del rito del tè o alle bellezze naturali dell’isola di
Sado e del monte Fuji? Ultima di una nidiata di figli maschi,
taciturna ai limiti del mutismo, Lucy – nel resoconto di
un’infanzia a tinte burtoniane – racconta dell’attrazione
magnetica verso il planisfero e del bisogno di appropriarsi di un
linguaggio segreto. Distante chilometri e chilometri dal
provincialismo inglese, ha realizzato il desiderio della bambina che
in vacanza si era spinta col materassino in alto mare puntando alle
coste norvegesi: isolarsi. Burbera e solitaria, benché i suoi occhi
di corvo la rendano irresistibile per il sesso maschile, ha
un’intensa vita notturna e un passato inframmezzato d’accidenti e
catastrofi. Si immedesima nelle storie di finzione del teatro kabuki.
Inventa esistenze per gli sconosciuti in foto. Scivola dalla prima
persona alla terza. Sempre propensa a mettersi in pericolo, cammina
sui binari di una città che somiglia a una giungla urbana. E talora
si perde.
Narrato
da una voce assolutamente conturbante, il triangolo erotico
dell’autrice è un intrigo di amore e morte dall’intreccio basico
– gelosie, stalking, ossessione –, con due grandi pregi: la
scrittura della Jones, ipnotica e delirante per stare al passo con la
confusione della protagonista; le ambientazioni giapponesi
vividissime, che tenteranno ogni otaku a prendere il primo aereo e
partire. Leggendolo senza particolari aspettative, mi sono trovato
per le mani un romanzo di grande atmosfera ma con un finale
sbrigativo, non all’altezza del resto. La tensione accumulata,
infatti, si sgonfia come un palloncino nelle pagine conclusive. E una
trama che scricchiola, qui e lì, si assesterà soltanto imparando a
portare pazienza.
Guardandola,
potrei pensare: è questo il momento esatto in cui qualcosa ha
cominciato ad andare storto, il punto in cui ormai i giochi erano
fatti. Prima dello scatto dell’otturatore. Dopo lo scatto
dell’otturatore. Una frazione di secondo tra i due istanti, quando
si verificò uno scorrimento sismico non registrato dalla crosta
terrestre. Le sue conseguenze si sarebbero manifestato con il tempo
sotto forma di un movimento tellurico talmente intenso da non poter
essere misurato sulla scala Richter né con il sismografo giapponese.
Potrei
dire lo stesso della trasposizione di Wash Westmoreland: fedelissima,
pro e contro compresi, se non fosse per l’ambientazione anni
Ottanta, il trattamento del protagonista maschile – un personaggio
più ordinario e prevedibile rispetto alla controparte letteraria,
dunque già sospetto a colpo d’occhio – e la retrocessione di
Tokyo, cuore pulsante del tutto, a patinata protagonista secondaria.
Da vedere esclusivamente per l’ennesima grande prova di
Alicia Vikander, alle prese qui con un copione sdrucciolevole e
con le difficoltà dei monologhi in giapponese, il film può contare
anche sulla freschezza dell’esuberante Riley Keough. Il terremoto
resta una metafora dell’instabilità mentale della protagonista
accusata e l’interrogatorio il mezzo per eccellenza per scoprire
cosa, ieri come oggi, spinga una ragazza di belle speranze a
preferire l’ignoto rispetto ai vincoli di casa propria. Preferibili
l’arresto – benché in alcuni luoghi viga ancora la pena di morte
per impiccagione – o il rimpatrio forzato? C’è differenza tra
essere non colpevoli e incolpevoli? Dimenticherò presto la trama,
forse. Non questa Tokyo inedita, inquadrata al buio e sotto un
acquazzone perenne. Non lo smarrimento di un’apolide senza bussola
e senza equilibrio, che sulla propria pelle sperimenta la curiosità
e la tristezza di una versione noir di Lost in translation.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Tycho - Japan
Come storia ci siamo, nel senso che potrebbe piacermi, però tra leggere il libro e guardare il film, credo opterei per il secondo, faccio prima :-D
RispondiEliminaIl romanzo prevedibilmente è meglio ma, con troppo da leggere e poco tempo, capisco e approvo la tentazione di darsi al film. :)
EliminaFrancamente non lo conoscevo. Se non fosse stato per te non credo non avrei ignorato la sua esistenza... Sembra però una lettura molto carino ☺️☺️📖
RispondiEliminaUn thriller diverso dal solito senz'altro. :)
EliminaInizialmente lo avevo messo nella lista di Netflix, viste le protagoniste. Poi non sentendone parlare, vedendo i voti scarsini, l'ho tolto a favore dei titoloni che stanno per arrivare e per cui già fatico a trovare tempo. Magari con l'anno nuovo, magari se me ne ricordo ;)
RispondiEliminaFilm poco memorabile, ma non brutto. Anzi, Tokyo potrebbe farti gola per un prossimo viaggio. :=
EliminaIo mi sono visto il film. Seguendo il tuo consiglio ancora prima di aver letto la tua recensione: esclusivamente per Alicia Vikander. E un poco pure per Riley Keough.
RispondiEliminaFondamentalmente non mi è dispiaciuto, le attrici se la cavano, l'ambientazione è anch'essa affascinante, solo che come dici la trama non è che sia così indimenticabile e la parte finale non è molto riuscita. Quindi non so se il bilancio conclusivo è più positivo, oppure negativo...
So solo che Alicia Vikander negli ultimi tempi si sta scegliendo troppi progetti medio-scarsini e forse dovrebbe trovarsi un agente migliore. :)
Lei e Fassbender, oltre che la casa, divideranno anche un manager non troppo brillante...
Elimina