I
Cuthbert, fratello e sorella che gestiscono una sperduta fattoria in Nuova Scozia, aspettavano l'aiuto di un garzone. L'orfanotrofio, invece, li
sorprende inviando una ragazzina lentigginosa, allampanata, con le
trecce rosse. Scende dal treno e tu sei lì, indispettito a morte,
che già vorresti spingerla sulle rotaie e chi si è visto si è visto. Perché Anna Shirley
Cuthbert – la stessa del cartone di cui ricordo appena la
sigla, l'eroina dei romanzi di Lucy Maud Montgomery – non la
facevo tanto insopportabile. Ti stordisce di chiacchiere, a suon
di luoghi da ribattezzare dal nuovo, vestiti dalle maniche a sbuffo,
toni melodrammatici. Certo, umanamente ha la mia comprensione: orfana
passata da una famiglia affidataria all'altra, si è rifugiata nella
lettura. Si sente rifiutata, sempre un rimpiazzo, ma scioglie i cuori
duri di Matthew e Marilla mostrandosi intelligente, giudiziosa,
dotata di mille talenti. Peccato che la sua logorrea stremi. Peccato
che il primo episodio, lungo un'ora e mezza, metta a dura prova. Come
mi assicurava qualche amico su Facebook, una volta superato quello,
le sei puntate restanti di Chiamatemi Anna si
guardano da sé. Lei parla un po' meno, perché a scuola i maestri la
richiamano all'ordine ed è circondata da compagne maldicenti ancora
più fastidiose di lei – ma il corteggiatissimo Guilbert (Lucas
Jade Zumann, già sorprendente protagonista di 20th Century Women) intanto le fa gli
occhi dolci. Non mancano i momenti di tenerezza, gli attimi di
coesione, e neanche qualche dramma di troppo. Anna, come la quasi
omonima di Tredici,
sembra chiamare a sé calamità e sciagure: case ipotecate, incendi,
dipartite, febbri alte, patrigni maneschi colti comicamente da
infarto. Nello spirito delle storie formative e ricattatorie che un
tempo andavano per la maggiore, dei film a tema nei Natale di Canale
Cinque, la serie Netflix si fa apprezzare l'indispensabile e con
poco. Candida e furbetta, ti lascia in sospeso. Con il ricordo di
paesaggi bellissimi – complice il tocco della regista
Niki Caro –, il cerchio alla testa per i monologhi a fantasia della comunque ottima Amybeth McNulty, la sensazione che dalla produttrice
di Breaking Bad e
Flesh & Bone fosse
lecito aspettarsi ben più che una fiaba già sfogliata. (6)
L'ho
recuperato con ben due anni di
ritardo. A sorpresa, quel Fargo che
non mi aveva mai attirato prima da allora – io e i Coen, si sa, non
tanto ci prendiamo – si era fatto seguire in una manciata di
giorni, in un circolo vizioso di divertimento e angoscia. Complici
caratteristi d'eccezione, un giallo che sposava l'umorismo più
macabro, le promesse di varietà delle serie antologiche. Seconda
stagione, altra storia. Fargo
fa un salto indietro. Siamo sul finire degli anni Settanta.
Protagonisti: personaggi di una generazione prima – nello
specifico, la famiglia della coraggiosa agente Solverson – e il
famigerato massacro di Sioux Falls, già citato nelle puntate
precedenti. Al centro: la guerriglia senza esclusione di colpi tra
due famiglie rivali, le disavventure di una coppia di coniugi in
crisi che hanno investito il criminale sbagliato, indagini che a
tratti procedono a tentoni. Convenzionale nell'intreccio, se non
fosse per un'esilarante spruzzata di fantascienza in chiusura, Fargo
conferma
di essere un intrattenimento di alti livelli. Ben scritto, recitato
meglio ancora. Purtroppo, stando a me, il salto indietro non riguarda soltanto i piani temporali. Ho visto questi dieci episodi
distribuendoli in un mese, né stufo né preso, e questo la dice
lunga. Ho sentito la mancanza a bordo di grandi mattatori come Bob
Thornton e Freeman; della passata verve. La neve torna a macchiarsi
di sangue, ma a calpestarla sono personaggi poco carismatici. Le
famiglie malavitose che ispirano tanti sbadigli; il poliziotto tutto d'un
pezzo di Patrick Wilson, con a casa moglie malata e una figlia da crescere; la sciampista frustrata
e il macellaio timido che qui e lì, complice una Dunst svampita ma affatto degna di stupore, ti fanno appassionare alla loro bizzarra
odissea di provincia. Rimasto significativamente a bocca asciutta
durante la stagione dei premi, al contrario del suo predecessore,
questo Fargo è
come immaginavo (sbagliando) avrei trovato il primo capitolo. Più
lento, più serio, più classico. Appunto, più così. (7)
Ricordo
di averla incrociata sulla copertina di un romanzo
Sonzogno. L'autobiografia di Sophia Amoruso, classe
1984, raccontava un'altra faccia del sogno americano. Ventenne a
San Francisco, la giovane frequentava i locali indie e i negozi
dell'usato. In testa: un'idea vincente di moda. Da un negozio virtuale su Ebay può
nascere un'impresa di successo? Ci si può arricchire facendo
affidamento su una gran faccia tosta, vestiti a basso costo e un
po' di fortuna? Sì, se vivi negli Stati Uniti prima dell'era Trump e
c'è abbastanza spazio per chi ha il coraggio di buttarsi. Sì, se in
una manciata di giorni – e con un sorriso imperituro – ti concedi
i tredici episodi di Girlboss. Biopic in formato tascabile, romanzato quanto basta,
parla dell'Cenerentola di periferia che scoprì l'America in
un'intuizione da poco. Gli inizi della carriera della Amoruso, pazza
e battagliera, partono dall'ultimo di una lunga serie di
licenziamenti e dall'ennesimo acquisto non necessario. I suoi coetanei stanno crescendo, ma lei
rimanda a domani quello che potrebbe fare oggi. Ha vaghi sogni di
gloria, poca voglia di serietà, una connessione super veloce. Basta
un click, il versamento in denaro del primo acquirente, per
guadagnare la fiducia di qualcuno e le gelosie dei colleghi virtuali.
Quanto ci vorrà per dire a papà che la bambina di casa è una donna
in carriera? A gestire agende fitte,
amanti inaffidabili e un cast centratissimo, una Britt Robertson
brava come non mai: il biondo barattato per il castano scuro, la
parlantina a raffica, tempi comici inaspettati e una naturale
adorabilità che rendono impossibile odiarla, quando pecca di
avarizia. Ha scoppi di tristezza, qualche volta, e conti in sospeso
con mamma. Colorito, colorato e spassosissimo, Girlboss è
una fiaba contemporanea. Una parabola classica, risaputa, con atmosfere che piaccono e comprimari così esagerati,
protagoniste così belle, da sembrare una compagnia indispensabile con l'afa o con la pioggia. (6,5)
Sono una brutta persona lo so....ma muoio dalla voglia di vedere Anna. Colpa della nostalgia.
RispondiEliminaBuon 2 giugno.
Lea
Sono una brutta persona io, Lea, perché Anna la adorano tutti. Io non la odio più così tanto, il pilot estenuante è acqua passata, ma comunque mi è parsa un'operazione un po' inutile e anacronistica. Si lascia vedere, questo sì.
EliminaBuona giornata a te!
Girlboss mollato al terzo episodio, con buona pace di chi mi consigliava pure l'autobiografia pur sapendo che non è affatto il mio genere e di Britt Robertson, dalla cui prima, irritante, impressione non sono riuscita a schiodarmi.
RispondiEliminaDi Anna ho visto solo il pilot, con un tuffo al cuore, per tutti i bei ricordi d'infanzia suscitati dal cartone adorato; la riprenderò, forse, passata la cocente delusione.
A me la Robertson è piaciuta sin dal pilot. Quando allonta il telefono dalla faccia, per piangere senza farsi sentire dal suo interlocutore. Personaggio sopra le righe, come in ogni commedia che si rispetti, ma dall'umanità sorprendente.
EliminaIn Anna, invece, chiacchierona e insopportabile, di umanità ne ho trovata poca. Tanti ricordi sì, sulla scia di Lovely Sara, Heidi e compagnia. Cartoni che non ho mai sopportato, peggio del classico: "Se non fai il bravo, ti mando in collegio". :)
So già che con Anna non riuscirò mai a superare lo scoglio del primo episodio. Anzi, potrei non riuscire mai nemmeno a iniziarla. Se non fosse che sono curioso di sapere quanto potrei odiarla... :)
RispondiEliminaIo di Fargo invece ho preferito la seconda stagione alla prima. Ci sono delle solite "coenate" che mi hanno fatto storcere il naso, però anche grazie al personaggio di Kirsten Dunst l'ho trovata più coinvolgente.
Girlboss decisamente caruccia. Niente di fenomenale, ma ce ne vorrebbero di più di serie passatempo così.
Anna è comunque meno odiosa di Hannah Baker, per quanto porti sfiga. :-D
EliminaI Coen li conosco troppo poco e superficialmente per dire cosa sia nel loro stile. Questa stagione qui è più asciutta, più seriosa. Non lo so, non mi ha intrattenuto troppo. La terza com'è, a metà strada?
Più serie così, più Britt.
Anna non mi avrà, già odiavo la versione animata con tutta me stessa, figurati se mi imbarco in un'impresa come questa!
RispondiEliminaIl Fargo vintage mi era piaciuto, anche se forse meno lineare del primo, sono invece indietrissimo con la terza stagione, scusami Ewan.
Girlboss, leggera, divertente ma con qualche picco lacrimevole, e soprattutto con una Britt sorprendente e qualche episodio da incorniciare.
Ah, ma vedi che Anna non la odiavo solo io?
EliminaMia mamma mi ha raccontato tutto il cartone per telefono ma boh, mai vista attentamente.
Sugli altri concordiamo. Ewan lo sto facendo aspettare anch'io: ora sono in fase rigattiere. ;)
Io mi sa che il cartone di Anna non me lo sono mai cagata U.U però devo dire che la serie un po' mi incuriosisce, dunque prima o poi... quando non c'avrò niente di meglio da vedere... una possibilità gliela darò :D
RispondiEliminaInvece per quanto riguarda Fargo, la prima stagione, seppur un po' troppo lenta per i miei gusti, l'avevo guardata volentieri, con questa seconda mi sa che mi sono fermata al primo episodio... non so mi sembrava del tutto priva di charme >.<
E per finire, sono proprio curiosa invece per Girlboss *o* domani che sono a casa in totale relax mi sa che lo comincio!
Io la prima di Fargo l'ho divorata.
EliminaA questa sì, nonostante gli alti livelli, lo charme mancava. :)
Visto che ho raggiunto la contemporaneità con American Gods necessito di un telefilm e mi pare che Anna possa fare al caso mio (avevo puntato Sense8 ma visto che è stata troncata trovo inutile iniziarla).
RispondiEliminaStranamente ricordo a memoria la sigla dell'anime e so con certezza che da piccolo lo vedevo, ma non ne ricordo un'accidente. :-P
Gente che moriva in miseria, Pirkaf. Anna come l'angelo della morte. Quello, almeno, il riassunto di mia madre.
EliminaAmerican Gods per ora non lo tollero: troppo strano. Cercherò di recuperare il romanzo, perché di quell'universo mi sfugge tutto e mi sento idiota.
Gran peccato per Sense8. Ti perdi momenti bellissimi, ma comprendo che il finale-non finale generi più di qualche rogna.
Ma sai che Anna non mi ispira per niente? Proprio zero!
RispondiEliminaCon Fargo, ahi ahi, sono ferma alla prima stagione che ho amato parecchio: mi metto in pari prima o poi, lo giuro!
Mentre Girlboss è in lista da un po' visto che un po' tutti ne parlan bene! :)
Anna piace a tutti (anzi, a tutte: le amiche di Facebook mi sono testimoni), ma niente di che. Se non altro, sette episodi sono pochi.
EliminaGli altri, quest'estate, recuperali a cuor leggero. ;)
La seconda di Fargo manca anche a me ... e l'indecisione aumenta...
RispondiEliminaPerò piace a tutti, eh.
EliminaPersonalmente non mi ha entusiasmato.
Un po' piatta per i miei gusti.
Mancavano le canaglie della prima, sì.
Ciao! Girlboss l'ho divorata, ho apprezzato moltissimo il libro e il telefilm è stato molto carino, qualche parte non l'ho particolarmente apprezzata ma nel complesso una serie piacevole.
RispondiEliminaAnna devo ancora vederlo, ne sento parlare continuamente =)