sabato 11 febbraio 2017

Recensione: L'uomo di casa, di Romano De Marco

Puro o contaminato, non importa
è il sangue che chiama il nostro sangue.”

Titolo: L'uomo di casa
Autore: Romano De Marco
Editore: Piemme
Numero di pagine: 322
Prezzo: € 17,50
Sinossi: La vita perfetta di Sandra Morrison è andata in pezzi il giorno in cui Alan, suo marito, è stato ritrovato morto in uno squallido parcheggio. Era seduto nella sua auto, con la gola tagliata e i pantaloni calati. La polizia non ha dubbi: un banale caso di omicidio a scopo di rapina, probabilmente un incontro finito male con una prostituta. Per Sandra, è come essere precipitata in un incubo: ora è rimasta sola nella bella casa di Bobbyber Drive, a occuparsi della figlia adolescente ferita e arrabbiata e a rimettere insieme i pezzi di un puzzle senza senso. Chi era l'uomo con cui ha condiviso vent'anni? Un irreprensibile uomo di casa, marito e padre amorevole, stimato professionista? Oppure un ipocrita dalla doppia vita? E la situazione peggiora quando Sandra scopre che, all'insaputa di tutti, Alan stava indagando da tempo su un caso di cronaca nera rimasto irrisolto trent'anni prima: il rapimento e l'uccisione di sei bambini a Richmond, Virginia, per mano di una donna che nessuno è mai riuscito a identificare. Ma perché Alan era tanto ossessionato dall'enigma della Lilith di Richmond? Cosa lo legava a quella vecchia storia di orrore e morte? E perché aveva tenuto segreto quel morboso interesse? Nella sua angosciosa ricerca della verità, Sandra scoprirà che non solo suo marito, ma tutte le persone che la circondano hanno qualcosa da nascondere. E, soprattutto, che il filo di sangue che unisce l'omicidio del presente a quelli del passato non si è ancora spezzato. E la prossima vittima potrebbe essere proprio lei.
                                             La recensione
Il thriller è il genere con le trame più accattivanti e le fascette promozionali più ingannevoli. Quello in cui, tra delitti e doppie identità, si annidano le delusioni cocenti e le recensioni che, a malincuore, mi rendono pignolo. Leggendo di indagini e misteri, infatti, so di essere più critico del solito. Sta nei patti. Sono racconti stratificati, architettati come castelli di carte: se qualcosa non va, tutto crolla. Ho conosciuto Romano De Marco di persona, ai tempi del piccolo ma efficace A casa del diavolo. Presentava il romanzo in una libreria della mia città. Avvenimento rarissimo, giustificato dalla provenienza dell'autore: abruzzese, quindi quasi un vicino di casa. Sono passati quattro anni. Nel mentre, purtroppo, non ho letto la serie noir pubblicata con Feltrinelli, ma prometto che la voglia di recuperare – e di scoprire che, in fondo, ho ragione – c'è. L'ho ritrovato a gennaio con un altro editore e un thriller che abbandona l'Italia per gli Stati Uniti. Quando, di quell'unico romanzo letto, a me era piaciuta tantissimo proprio l'originale ambientazione in un inquietante paesino dell'entroterra. L'uomo di casa, nonostante il titolo, è di donne che parla. A Vienna, in Virginia, Sandra – logopedista quarantenne, da poco vedova – indaga sull'omicidio del padre di sua figlia. Ritrovato con la gola tagliata e i pantaloni abbassati, non doveva essere poi un marito così esemplare. 
Sandra vive il suo assassinio come un tradimento, finché non scopre l'ossessione dell'uomo che le è stato accanto senza mai svelarsi. In segreto, indagava su una serie di delitti irrisolti. Qualcuno l'ha messo a tacere. Tra prima e terza persona, tra passato e presente, ci si addentra a capitoli alterni in una casa degli orrori. Siamo negli anni '70. La polizia ha trovato i cadaveri di sei neonati e un bambino denutrito, ammanettato a un termosifone. L'assassina è una ragazza, ribattezzata dai media la Lilith di Richmond, di cui per trent'anni si perdono le tracce. L'uomo di casa ha l'aria di un thriller avvincente, e mentirei se dicessi tutto il contrario. L'ho letto in due pomeriggi, è già ai primi posti delle classifiche di vendita online e, in rete, non mi sono imbattuto in pareri negativi. Il buon Romano, che professionalmente stimo molto, non si offenderà se io – isolata voce fuori dal coro, bastian contrario che tende a chiarire i perché delle proprie affermazioni - dimosterò scarso entusiasmo. A me, sin dall'inizio, L'uomo di casa non convinceva. Thriller dallo stile scorrevole e dalla struttura intrigante, infatti, non è di quelli mal pensati. Si regge in piedi fino alla fine e, in conclusione, presenta un colpo di scena che comunque avevo intuito. Non ha imperdonabili incongruenze. 
All'apparenza, mantiene sano e salvo, integro, il suo famoso castello di carte. Le mie critiche non vanno all'orchestrazione: si sente che, dietro, c'è chi si è fatto le ossa altrove. Ma, purtroppo, all'Uomo di casa non ho mai creduto. Ho trovato che gli mancasse non un intreccio solido, ma la necessaria dose di credibilità. Qualcosa stona. Nei dialoghi stilizzati, stereotipati. Nello stile giornalistico, che indugia in panoramiche che fanno un po' Google Earth. De Marco ha una sorella che vive negli Stati Uniti, si sarà di certo documentato con scrupolosità. Ma, a orecchio, ho sentito forzature e stranezze. Come quando un italiano all'estero fa sfoggio di un inglese da manuale ma l'accento, non so, lo sbugiarda. Ci sono generi, vero, che da noi non trovano terreno fertile. Capisco i fantasy, lontani dalla terra dei cachi. Capisco gli esordienti. De Marco, eppure, ha già scritto e venduto thriller italianissimi. Con L'uomo di casa fa un salto spaziale, un esperimento poco necessario. Gioca, e si diverte più di me. Dalle parentesi rosa – ad aiutare la protagonista, infatti, il classico bel tenebroso che non è chi dice di essere – a un quartiere che nasconde aiutanti inverimili, si inciampa nei cliché e nelle svolte da film. Ho pensato ai thriller matrimoniali di Sophie Hannah o al dimenticabile Cattive Compagnie, ritorno di una Ruth Newman fuori forma. Ho spulciato. Volevo capire. Mi sono imbattuto in molti plausi e, infine, in un'intervista dell'autore stesso. Scriveva di aver pensato il suo ultimo romanzo domandandosi: quali sono gli ingredienti di un bestseller? Dalle varie Ragazze del treno (ho detestato anche la prima, figuriamoci) ha tratto così punti di vista bipartiti, protagoniste femminili e sentimenti che si tingono di giallo. Personalmente, ho risentito per tutto il tempo della scrittura a tavolino e del vago effetto minestrone. Le sue parole mi hanno confermato involontariamente che non sbagliavo troppo. Mi auguro per lui, da "buon vicino”, che L'uomo di casa sia un successo. Le regole seguite alla lettera, quelle del bestseller internazionale, son giuste. Peccato che i romanzi belli davvero – quelli scritti per esigenza, per bisogno viscerale, e quando capita si sente – ne seguano tutt'altre, sottintese. 
Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Snow Hill - Eternal Flame



12 commenti:

  1. Dalle premesse sembrava in effetti un thriller parecchio accattivante.
    Però non sempre i thriller portano a casa il risultato e questo Romano De Marco, almeno a quanto dici, pare che vuò fa' l'americano un po' troppo...

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    1. Hai centrato il punto, Marco.
      Perché non ambientare la stessa storia in Italia - di delitti, anche noi purtroppo abbiamo una discreta cultura -, senza scomodarmi Washington e i ridicoli vicini alla True Lies? Non è una brutta lettura, assolutamente, ma lo scimmiottare certi modelli non serviva. Perché De Marco è bravo, e a che gli serve.

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  2. Mmmh una mezza delusione...io sto leggendo L'isola di Alice e, per quanto non mi stia dispiacendo, anche qui ho riscontrato alcuni passaggi poco verosimili :/ Baci e a presto!

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    1. E pure di quello leggo un gran bene, ma mi fido assolutamente di te. Quando deludono, questi thriller?

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  3. Troppe delusioni con i thriller,ho rinunciato da tempo.
    Se trovo qualche offerta sul kindle un pensierino lo faccio ma il mio tempo è troppo prezioso per buttarlo via.
    Schumann,nelle sue "Regole di vita musicale"raccomandava di non ascoltare o diffondere cattiva musica.
    Io applico questa regola anche in campo letterario.
    Non mi riferisco al libro in questione,che non ho letto,ma in giro c'è troppa spazzatura e le case editrici ormai pubblicano senza ritegno porcherie illeggibili.

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    1. Non è il caso di Romano, che è un bravo autore, ma concordo con te. Devono rendersi conto che bestseller e libri meritevoli non sono per nulla sinonimi.

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  4. Peccato, la copertina mi ispirava! sono curiosa di leggere cosa pensi di quello della Sparaco che a me proprio non ha lasciato nulla...

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    1. Certo, Mati, ti farò sapere.
      Lettura poco nelle mie oorde, però la Sparaco ha un non so che che mi piace sempre. Sento quello che dice, cosa non da poco. :)

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    2. di solito la Sparaco anche a me fa "sentire" quello che dice, purtroppo non con questo ultimo libro..

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    3. L'ho finito ieri sera. Non saprei valutarlo con il solito parametro - è un romanzo da grandi, da genitori - però qui e lì ha toccato le corde giuste. Mi è piaciuto a modo suo, anche se è lontano da me per esperieza. Ne parlerò presto, lasciando da parte le "stelline". :)

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  5. Grazie per l'onesta' intellettuale e l'approfondimento critico. E' una bellissima recensione!

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    1. Grazie a te, Romano!
      Ho questo blog da cinque anni, ormai, e la tua correttezza è rarissima. Ci rileggiamo sicuramente presto!

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