sabato 3 dicembre 2016

I ♥ Telefilm: The Young Pope, Fleabag, You're the Worst - Stagione 3

Il Papa giovane conquistava, con l'angelus in apertura in cui si schierava a favore dell'aborto e delle unioni civili. Ma era solo il sogno ad occhi aperti di un quarantenne capitato per caso sul soglio pontificio. Pedina manovrabile, si rivelava poi un osso duro. Bello come Gesù, non si concedeva ai fotografi. Previdente, raccoglieva confessioni nerissime per ricatti e tornaconti personali. Il colpo di testa iniziale era solo lavoro d'immaginazione: e il resto? Lenny Belardo è un santo o un diavolo? Il suo pontificato è una farsa? Sorrentino ci è o ci fa? The Young Pope ha un inizio sorprendente, soprattutto se i manierismi e i vezzi del nostro regista poco li si tollera. Prende un sulfureo Jude Law, attore non più sulla cresta dell'onda, e lo consacra. Prende la Chiesa Cattolica, istituzione di dubbia limpidezza, e ne scandaglia i meccanismi segreti. Tutt'intorno, personaggi che il nostro Papa lo allisciano e lo sabotano: Diane Keaton, guida spirituale che sostituisce una figura materna latitante; uno strepitoso Silvio Orlando, più interessato alla formazione del Napoli che al suo gregge; le biondissime Cécile De France e Ludivine Sagnier, la prima scaltra addetta stampa e la seconda moglie di una guardia svizzera; Javier Càmara, a New York per incastrare chi la Chiesa la infanga commettendo violenza, e uno Scott Shepherd che in Honduras fa vita lussuriosa. Un cast in forma smagliante e un perfetto capomastro, eppure spesso fa capolino il Sorrentino che non capisco: se la vestizione di Lenny con I'm sexy and I know it in sottofondo ha del geniale, se Nada ringrazia per un suo pezzo passato inosservato e rispolverato qui dall'accorto regista campano, meno riconoscenza e meno stupore vanno a una scrittura fiume che, al solito, sconfina qui e lì nel kitsch. Mi sono parse ridicole – non so se volontariamente o non – le tresche di Dussolier con la conturbante consorte di un immaginario narcotrafficante; si arriva alle puntate conclusive, purtroppo non all'altezza delle prime, curiosi e un po' stanchi. Paolo Sorrentino non perde la sua infondondibile cifra stilistica: qualcuno se ne rallegra, io non troppo. Impossibile però, pur avendo storto a tratti il naso e nutrendo più dubbi sul suo finale che sull'esistenza dello stesso Dio, non riconoscergli innumerevoli meriti: monologhi e dialoghi potentissimi, quando non abbondano i silenzi o le canzoni pop; una direzione impeccabile e il coraggio dei folli; memorabili scene madri (la preghiera silenziosa sul fondo di una piscina, o quella tra il rombare dei camion). L'egocentrico Sorrentino racconta l'umanità di un Pontefice che somiglia un po' a Bergoglio, un po' a Luciani, un po' a Ratzinger, ma The Young Pope è tale e quale a lui: supponente, misantropo, strabordante. Crederci è un atto di fede. Non apprezzarlo – soprattutto se in dieci ore complessive, da spettatori profani, c'era da temere maggiori stranezze – è peccato mortale. The Young Pope non ha convertito appieno uno scettico come me - se si parla di religione, se si parla di presunto cinema d'autore. Ma nonostante i nostri reciproci peccati - ermetico lui, in compagnia di un fondatissimo pregiudizio io – è gaudio e tripudio per il controverso Pio XIII. (7,5)

La protagonista senza nome è una trentenne non particolarmente fortunata in una Londra non particolarmente ospitale. Proprietaria di un bar la cui attrazione principale è un porcellino d'india, abbandonata da una socia in affari morta suicida, la ragazza – single, anaffettiva, sarcastica – si dipana tra relazioni di una notte e via, imbarazzanti cene in famiglia, tentativi disperati di salvare dal fallimento quell'attività in cui ha investito tempo e speranze. Poco appariscente, sempre su piazza, accoglie nel proprio letto amanti occasionali che, dopo la sveltina, hanno sempre di meglio da fare. Sua sorella, madre di famiglia, al contrario, è la perfetta donna di casa. Fleabag è immatura e sola, ma ci ride su. Si concede e non pensa al futuro. Nei suoi sguardi in camera, tanta simpatia ma un fondo d'amarezza. Sboccata, leggera, irresponsabile, ci apre per venti minuti a settimana le porte della sua vita a un bivio. E fa morire dal ridere, con l'umorismo nero di Catastrophe e gli spunti di un Girls londinese, ma c'è altro. Tra siparietti e amplessi, il pensiero fisso all'amica scomparsa. C'è un segreto, un dolore, che la protagonista tiene infatti per sé. Fleabag potrebbe essere la comedy rivelazione di questo 2016. Ha un'ironia che adoro, un formato che non annoia e, soprattutto, una protagonista perfetta. La giovanissima Phoebe Waller-Bridge, anche autrice, ha un viso davanti al quale è impossibile restare seri: anche affascinante a modo suo, con un accento che rende perfino i brutti anatroccoli irresistibili, ha un'espressività – penso a Rowan Atkinson, a Leslie Nielesen – straordinaria. Purtroppo, sei episodi son pochi. E finisce senza che tu te ne accorga, quasi. La settimana successiva ero lì che, invano, ne aspettavo un altro. In attesa che la Waller-Bridge ritorni, con il suo trucco a pezzi e la sua tragicomica vita privata, con un segreto messo finalmente a nudo, si aguzzano le orecchie in attesa di un ronzio. Chi avrebbe mai detto che avrei aspettato con tale impazienza l'arrivo di una dolce parassita? (7)

Nella miriade di comedy che ho sedotto e abbandonato, You're the worst – che eppure parla di due amanti allergici alla serietà, alla relazioni a lungo termine – ha avuto un destino ben diverso. Mi fa compagnia da tre anni. La prima stagione, sexy e innovativa, era una commedia rosa che abbracciava un intero spettro di colori. La seconda, più riflessiva, mostrava i protagonisti a un bivio: si rimaneva amici di letto anche nella cattiva sorte? Si finiva con un ti amo, quella volta lì; con la voglia di non scappare a gambe levate dall'altra parte. Jimmy e Gretchen sono tornati con l'estate che finiva. Con loro, un Edgar che tenta la strada dello youtuber e cura i suoi traumi di guerra con la scusa della marijuana terapeutica; una Lindsday sempre irresponsabile e svampita che, in dolce attesa, si riprende il vecchio marito e propone di aprire la camera da letto a un terzo incomodo. Jimmy, romanziere dall'eterno blocco, scrive recuperando il tempo sprecato: l'improvvisa morte del padre, uomo profondamente odiato, da una parte lo motiva e dall'altra gli dà nuove rogne. Voleva diventare autore di best-seller e trasferirsi in America solo per fargli un dispetto? Gretchen, in cura da un'analista a cui rivolge insulti su insulti, uscita dal baratro, prova a essere una buona compagna e un'amica affidabile: difficile, se non addirittura impossibile, abbandonare il suo sregolato, consolidato modus vivendi. Stessa squadra vincente, stesso umorismo pungente, meno ammiccamenti e più responsabilità in ballo. Ma questo nuovo appuntamento con You're the worst, nonostante i suoi tredici episodi complessivi, non porta purtroppo a nuove svolte. Si sorride e, qui e lì, se gli episodi contemplano le vicessitudini di personaggi secondari che poco abbiamo a cuore, li si salta per noia. L'inglesino Chris Geere e l'adorabile Aya Cash non maturano, eludendo per il terzo anno consecutivo doveri e scadenze. Quando si passa da impegnati a fidanzati ufficialmente? Quando si cresce? Se non si va né avanti né indietro, perché allora non ci si lascia per sempre? La serie di Stephen Falk resta realistica, cinica, brillante. Nel male, la solita. (6)

10 commenti:

  1. Seguo solo Pio XIII, e arrivato alla settima puntata devo dire di essere abbastanza d'accordo. Partenza fortissima, ora sta rallentando. Spero nel finale.

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    1. Alcune sottotrame sono proprio risibili. Colpa mia, che ragiono per libri? Mi dirai. Il finalissimo è d'effetto. Quello che c'è prima, insomma. ;)

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  2. Io sorrentiana DOC, Young Pope l'ho amato di più, e certi dialoghi li inciderei sul muro, e Jude me lo guarderei per ore, anche papa, resta una meraviglia.
    Fleabag è lì che aspetta il suo spazio, troppe serie lasciate in disparte e che ora sto recuperando, la precedono, ma la vedrò!
    Mezza delusione, invece, You're the worst, che non sapendo dove andare concede troppi episodi laterali, un finale che non ci si aspetta, anche se il penultimo è un tripudio di regia. Peccato, ma a Gretchen e Jimmy voglio sempre un gran bene.

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    1. Ha indubbiamente cose splendide, però Sorrentino non può fare sempre come gli pare. Nella scrittura, avrebbe bisogno di una mano; un angelo custode che, qui e lì, gli dice: ma che diamine scrivi? La tresca del rosso ci ha lasciato davvero così, in famiglia...
      Fleabag la amerai di certo; concordo su Jimmy e Gretchen, ma Lindsday farebbe incazzare pure Gandhi. :)

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  3. The Young Pope fenomenale!
    E' vero che negli ultimi episodi cala un po', e la sottotrama col narcotraffico era evitabile, però nel complesso si è rivelata comunque la serie più sorprendente oggi in circolazione.

    La terza stagione di You're the Worst a me è piaciuta parecchio, molto più della seconda. Gli episodi dedicati ai personaggi minori poi sono stati davvero scritti alla grande e anche a livello registico è migliorato parecchio.

    Di Fleabag ho visto il primo episodio: divertente, ma non mi ha ancora convinto del tutto. Vedrò con i prossimi...

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    1. Ah, vedi?
      Io quest'anno mi sono proprio annoiato. E, tralasciando il bellissimo episodio dedicato ad Edgar, qualcuno l'ho pure saltato. :-P

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  4. ... Allora dovrò immergermi nella sorrentinitá televisiva...

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  5. ...ancora non ho visto la prima di "Young Pope", dovrò portarmi avanti in queste vacanze natalizie...

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    1. Eh, sarà un lungo recupero.
      Se si accumulano le serie tivù, oh, mi viene il panico!

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