lunedì 26 marzo 2018

Mr. Ciak - Metti una sera su Netflix #3

Ho sempre ritenuto sopravvalutata la serie Cloverfield. Un primo capitolo che si perdeva quasi fra gli horror a basso budget di telecamere tremolanti così in voga nei primi anni Duemila. Un seguito con un ambiente unico e un paio di attori – ricordiamo il bravissimo John Goodman – con una tensione, un'ambiguità, smascherate però da un titolo che dava indizi sostanziali e indicava l'appartenenza del film al filone di Abrams. Non facevo il conto alla rovescia per il terzo capitolo – ce n'è già un quarto, Overlord, atteso in sala il prossimo ottobre. Non l'hanno fatto, questa volta, neanche gli estimatori, trovandolo sul menu Netflix il giorno stesso del rilascio. The Cloverfield Paradox non passa in sala, ma per effetti speciali e cast non ha nulla da invidiare ai film del genere. Ma non convince, leggo, e chi ero io per dirmi invece positivamente sorpreso se questo mondo – anzi, mondi – non mi ha mai fatto suo? Nessun mostro, nessun aguzzino farneticante, nessuna città a ferro e fuoco. Il terzo capitolo della saga – forse un prequel, forse ambientato in un altro angolo del multiverso – si svolge su un'astronave, all'indomani di una crisi energetica che ha messo il futuro in ginocchio. Per scongiurare la terza guerra mondiale c'è un'unica soluzione, un acceleratore di particelle, ma usarlo rischia di fare uno strappo nel velo della nostra realtà: facendo sì che, da un'altra dimensione, si rovescino demoni e caos. A bordo, quando la Terra scompare dai radar, misteriosi guasti, tradimenti, paradossi temporali e qualche morto ammazzato; Bruhl, Oyelowo, O'Dowd, l'enigmatica Elizabeth Debicki e l'ormai onnipresente Gugu Mbatha-Raw, mamma addolorata con la tentazione e la paura di scoprirsi più felice in una dimensione alternativa. Al nuovo Cloverfield fanno male l'alto budget e, dopo i flop recenti di Life e Covenant, la solita astronave alla deriva con un equipaggio in preda all'ansia. La mitologia, anziché complicarsi, viene liquidata in fretta, assieme a uno spunto appena accennato e immediatamente riposto: lasciandosi decifrare, sezionare, da fanatici della rete che tentano invano di intrecciarne i fili, nonostante appaia oggettivamente un inservibile e incandescente garbuglio a rischio di corto circuito. Anche Onah, alla regia, perde la bussola. E il suo sci-fi, incerto e rattoppato com'è, probabilmente risulterebbe brutto in qualsiasi dimensione possibile. (4,5)

Si incontrano raramente ma con puntualità, scoprendosi ogni volta invecchiati. Questa volta, in un pub fra tanti, fantasticano di concedersi una vacanza tutti insieme – Ibiza o Las Vegas, magari, anche se non sono più giovanissimi. La sera stessa, una rapina finita nel sangue sottrae loro un elemento fondamentale. Rafe Spall, protagonista intenso e amico codardo, ha assistito all'omicidio dell'ex compagno di scuola nascosto dietro uno scaffale di vini. Commemorare il defunto, venire a patti con se stessi, grazie a un viaggio – non più soltanto una fantasia fuori tempo, un'innocua ipotesi alcolica, ma un modo per rendere grazie, ricordare. C'è questo gruppo di inglesi di mezza età, insomma, che si mette alla prova con il trekking sui monti fra la Svezia e la Norvegia. Terre di miti e leggende, di paesaggi mozzafiato, che ispirano incubi – a occhi aperti e chiusi – e una sentita elaborazione. Quel viaggio fuori porta si rivela una pessima idea. Come pessima è l'idea di imboccare scorciatoie, se tagliano in due una foresta popolata da misteri e presenze millenarie. Da idilliaco, il luogo diventa presto spettrale: animali impalati ai rami, simboli antichi, fantocci di paglia. Preoccupate domande sui culti locali, discordie interne. A metà strada fra The Blair Witch Project e The Wicker Man – strada pericolosa in ogni caso, sì, ma qui in salsa indie –, Il rituale è un horror d'atmosfera piccolo e ben diretto dal promettente David Bruckner, con scenari inesplorati, protagonisti che fan simpatia perché lontanissimi dai classici adolescenti in vena di trasgressione, un dramma  umano alla base. Avremmo preferito, tuttavia, fare a meno della computer grafica, per quanto usata con parsimonia. Non sapere che faccia avessero la paura, il mostro, se il mistero di quel vedo-non vedo bastava. Riuscito nella prima ora soprattutto, quando fruscii e alterchi alimentano la suggestione, il film del regista che piace a Flanagan e Del Torto potrebbe fare tanto con poco. Rischia di rovinarsi nel mentre, volendo mostrare troppo. (6)

Abbie e Sam, eterni fidanzati, fanno coppia da quando sono bambini e, in gita, lei morse lui davanti a un acquario: restano ancora la cicatrici per i cinque punti di sutura, un amore sincero. Immaginarsi in dolce attesa è la scusa perfetta per dirsi di sì. A crescerle dentro è però qualcos'altro, qualcosa di brutto. Morire a trent'anni per un tumore all'utero. E lasciarsi indietro un trentenne tenero e impacciato che non sa cucinare il pollo, fare la lavatrice, parlare con donne che non siano lei. Sono stati infatti l'uno la prima volta dell'altra. Come andare oltre, se si può? Come assicurarsi che Sam resti in compagnia, in buone mani? In L'unica non si cerca una cura, il tempo perduto, ma la donna che amerà Sam dopo di Abbie. Rifargli il guardaroba, iscriverlo di nascosto a Tinder, chiamare le prescelte per un colloquio. A rischio di sottovalutare la forza di lui, e di allontanarsi. Di non goderselo fino all'ultimo, nutrendo in anticipo rimpianti che confinano con l'ossessione. La lanciatissima Gugu Mbatha-Raw, incantevole e sorridente, interpreta una malata terminale che non apprezza i pietismi, l'uncinetto e la retorica dei gruppi d'ascolto – anche se lì puoi incontrare Coogan, la McKinnon e un esilarante Walken. Michiel Huisman, irriconoscibile perché trasformato dall'adone svestito di Games of Thrones a un goffo nerd che mi somiglia moltissimo, fra gli occhiali a fondo di bottiglia e i calzini spaiati, non ha nessuna voglia di dimenticare la sua lei finché gli sta accanto. Brillante commedia sentimentale, l'esordio della Laing ha un appuntamento galante con la morte e un futuro che non vedremo mai. Si sorride più del previsto. Si apprezza una storia d'amore e perdita, la solita, ma che a sorpresa sa ridere con leggerezza di se stessa. Non è 50 e 50, non è Miss You Already. Nonostante le belle facce dei protagonisti e il romanticismo diffuso, per fortuna, non è neanche la copia di un Nicholas Sparks a caso. Ben recitato, emozionante con discrezione, il film Netflix non rischia di diventare il migliore del filone, ma il cuore – rinfrancato, preso in giro come gli piace qualche volta – ringrazia ugualmente. Come dicono le frasi fatte, non è mai troppo tardi. Soprattutto, nell'Unica, non è mai troppo presto. (6,5)

La ragazza perfetta, un incontro indimenticabile a Halloween, e poi? Adam DeVine, vittima della regola dell'amico, resta al suo posto: spalla su cui piangere, confidente, compagno fraterno perdutamente innamorato. Alexandra Daddario, spiritosa e con due occhi (ma sì, chiamiamoli così) grandissimi, si sposa con un perfetto impiastro tutto muscoli. Sabotare le nozze? Per fortuna si può fare di meglio, se il soprannaturale, gli espedienti di Big, permettono al protagonista di tornare a piacimento indietro nel tempo. Si possono cambiare le cose? Si può creare il colpo di fulmine a tavolino? Sbagliare, ricominciare, sbagliare ancora. Rifare. A volte vedersi come l'amico di letto, altre il promesso sposo tradito, scoprisi e riscoprirsi continuamente con occhi nuovi. Piacevole ma stancante a lungo andare, diretto dal regista di quel mezzo gioiellino adolescenziale che fu The Duff, la commedia di Ari Sandel è una di quelle senza meriti né demeriti particolari. Nella norma, tipicamente estiva. Purtroppo, vero grande difetto, arriva tardi alla festa. Giorni rivissuti daccapo prima con Before I Fall, poi con Ricomincio da nudo, infine con Auguri per la tua morte, in un'annata – la scorsa – che deve avere molto amato Bill Murray e avuto scarsissima fantasia. Se ci conoscessimo oggi. Se lo avessi visto ieri. Sempre per scordarlo, poi, l'indomani. (5,5)

10 commenti:

  1. Anche a questo giro l'interesse è invertito: se le commediole romantiche potrebbero essere pane per i miei denti, mi confermi una certa mancanza di originalità che mi tiene a distanza, mi attira molto di più l'horror rituale. Dici che per la settimana horror estiva può cavarsela o c'è di meglio in giro?
    Quanto a Cloverfield, da fan della saga mi aspettavo altro, da Doctor Who in poi le missioni nello spazio paiono sempre tutte uguali...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il Rituale, per la settimana a tema, puoi metterlo tranquillamente in lista: ha i suoi difetti, ma merita.
      E occhio a Huisman in versione nerd. L'ho visto ormai mesi fa, e ne conservo un buon ricordo.

      Elimina
  2. Anch'io avrei preferito che The Ritual mostrasse meno, anche perché la prima parte funziona moolto più della seconda. Se non altro mi ha entusiasmata più dell'ultimo Blair Witch, ma non è che ci volesse molto.
    Per il prossimo Metti una sera su Netflix tieni conto di Véronica e de I simili, sono davvero belli!

    RispondiElimina
  3. Paradox è una stronzatona (mi si perdoni il francesismo) al cubo ma mi ha abbastanza divertito, ammetto e mi vergogno...Il Rituale funziona bene fino a una ventina di minuti dalla fine e la creatura avrebbe fatto meglio a starsene nascosta.Le commedie romantiche le ho baypassate non sono molto in vena ultimamente...

    RispondiElimina
  4. La mia allergia per DeVine mi tiene lontanissima dal suo lavoro per Netflix nonostante sembri perfetto per una serata di svago completo. L'unica è salvato ne "La mia lista" e con Gugu Mbatha-Raw promette decisamente bene: sicuramente meglio delle ultime serie tra cui mi sono avventurata (vedi il deludentissimo Collateral). Incrocio le dita! :D

    RispondiElimina
  5. La saga di Cloverfield a me invece mi era piaciuta parecchio. Finora. Questo terzo capitolo l'ho abbandonato a metà. Solita storia ambientata su un'astronave... non ce l'ho proprio fatta ad arrivare alla fine.

    Il rituale non mi ispira per niente. Altrove l'hanno esaltato quasi tutti. A me potrebbe lasciare piuttosto indifferente come te...

    L'unica mi è sembrato un film poco unico. Caruccio e guardabile, ma tutt'altro che memorabile.

    When We First Met, per quanto anch'esso ben poco originale, invece l'ho adorato. E' una scemata che mi ha fatto ridere come uno scemo. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pensa che il peggio del peggio arriva proprio allora, alla fine...

      Sul Rituale saremmo d'accordo, e anche sull'Unica. Recupera, non ti dispiacerebbe affatto.

      Ho riso anch'io, eh, DeVine mi sta molto simpatico, però che palle questo spunto. Netflix, per favore, basta. :)

      Elimina