| La
casa del padre,
di Karen Dionne. Sperling & Kupfer, € 17,90, pp. 324 |
C'erano
una volta un papà, una mamma e la loro bambina. C'era una volta un
bosco nella Penisola Superiore, in Michigan. Lì, in una casetta nel
fitto impenetrabile degli alberi, nessuno al mondo sapeva di loro.
Helena, la piccola di casa, aveva ricevuto per il suo quinto
compleanno una bambola di sterpaglie e un coltello affilato. Aveva
imparato a sparare ai cervi e agli orsi, a sporcarsi le mani di
sangue, fra i lunghi silenzi di una mamma eternamente afflitta e le
occhiate orgogliose di un padre ferino, abbronzato, tutt'uno con gli
elementi e quella forma necessaria di violenza. Helena ha vissuto in
quell'isolamento idilliaco, in quella favola selvaggia, per dodici
anni. Dove non esisteva nemmeno il tempo, se non quello
meteorologico. I National Geographic di mezzo secolo
fa per imparare a leggere e scrivere, una natura ora amica e ora
nemica, il pensiero innocente che oltre gli alberi e le montagne non
ci fosse altro da conoscere. Poi, un giorno, la fiaba di un'infanzia di
luci e ombre giunge a una pagina inaspettata. Un colpo di scena. Quel
capofamiglia affascinante e avventuroso – che a volte si rivela
sadico e vendicativo, che a volte punisce la bambina chiudendola per giorni
in un pozzo buio – in realtà è loro nemico, l'aguzzino di sua
madre. Un'adolescente appena quando Jacob la rapì, ne abusò,
confinandola nel bel mezzo del nulla. Helena è la figlia di una
crudele prigionia, il frutto dello stupro.
I
ricordi non si basano sempre sui fatti reali. A volte sono legati ai
sentimenti.
Ormai
donna, la protagonista ha tradito il suo spirito guida per il vivere borghese. Ha un
marito, due bambine, marmellate biologiche per lavoro.
Ha imparato le buone maniere, a coprire con un velo di trucco i suoi
tatuaggi tribali, a mentire. Ha mandato in galera, soprattutto, il
genitore cattivo. Ascolta distrattamente la radio quando annunciano
che è evaso, assassinando due guardie con un punteruolo modellato
con dentifricio e carta igienica. Il fuggitivo punta al Canada, ma è
sempre stato un sentimentale. Helena è sempre stata la gioia dei
suoi occhi, finché non gli ha voltato le spalle. Vuole rivederla,
vuole punirla, e lei gli va incontro con un fucile carico in spalla e
Rambo, un cane da caccia, al trotto. Per fermarlo, nel gioco del
gatto col topo imparato un'esistenza prima. Per il bisogno tanto
inspiegabile quando disperato di riabbracciarlo ancora.
Quello
che fece a mamma è sbagliato, lo so. E il fatto che abbia
assassinato due guardie è imperdonabile. Eppure una parte di me –
una parte non più grande di un granello di polline su un unico
fiore, su un unico stelo d'erba di palude, quella parte che rimarrà
per sempre la bambina con le treccine che idolatrava suo papà – è
felice che sia libero.
La
casa del padre è un thriller cinematografico, muscolare, in
marcia. Senza tranelli e senza inganni, articolato fra passato e
presente com'è ormai norma, può contare su una sola idea – una
riunione di famiglia che assume le fattezze di una
sfida all'ultimo sangue –, una manciata di personaggi, piste
da seguire aguzzando i cinque sensi. Sebbene ridotte all'osso per
forza di cose, serratissime, le trecento pagine di Karen Dionne si
reggono davvero bene. Merito di un'eroina dalla doppia vita,
dalla doppia natura, cresciuta all'ombra di un padre adorato e
ascoltando le leggende dei nativi assieme ai due amici immaginari.
Merito di un antagonista che a tratti antagonista non è – viene
istintivo ripensare a Viggo Mortensen, l'indomito patriarca hippie
di Captain Fantastic –, che ha lanciato un
inequivocabile richiamo in direzione della sua unica erede. Se
soltanto Jack si fosse affezionato al suo carceriere più che a Brie
Larson, sembrerebbe di leggere il seguito di Room. Una
riscrittura del Re della palude di Andersen, se la protagonista –
imprenditrice di successo sì, ma con una passione singolare per la
caccia, la pesca, le trasferte in solitudine – fosse così brava a
dividere i lati oscuri dal resto. I toni però sono quelli della
narrativa d'azione, che procede in tempo reale e precede qualsiasi
premeditazione.
Ero
stata la crepa nella sua armatura, il suo tallone d'Achille. Mi aveva
allevata modellandomi a sua immagine, ma nel farlo aveva piantato i
semi della sua fine. Aveva il controllo su mia madre. Ma non lo aveva
mai avuto su di me.
C'è,
adesso, una giovane donna sulle tracce del padre assassino. In fuga,
di nuovo, da un passato e da un DNA da zittire. Il terreno è
accidentato in certi posti, ma non si fa quasi difficoltà. Karen
Dionne e la sua protagonista ne assecondano gli avvallamenti,
schivano i rami spinosi. Si prendono il loro tempo. Per esplorare.
Per starsene riflessive, per conto proprio. Le cartucce non vanno
bruciate infatti troppo presto. La natura è grande: copre il
rumoreggiare dei pensieri, e le urla. Le scie – di foglie morte,
legnetti spezzati, cadaveri innocenti, flashback –
conducono alla resa dei conti.
Per vivere così, forse, finalmente felici e contenti.
Per vivere così, forse, finalmente felici e contenti.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Guns N'Roses – Sweet Child O'Mine
Mi hai battuto sul tempo, uffa, stesso voto, stesse sensazioni, un bel romanzo che si regge benissimo nonostante i pochi personaggi. Il passato schiaccia il presente che è fatto di continui inseguimenti e per assurdo è la parte che ha tolto un po' di ritmo al tutto. Però morboso quanto basta per farmelo piacere.
RispondiEliminaCome immaginavo dagli scambi in chat, siamo rimasti fino alla fine della stessa lunghezza d'onda. Aspetto la recensione!
Eliminalo avevo accantonato proprio perché già visto/sentito con nessun mistero da svelare. dalla tua recensione sembra comunque un buon thriller non annoia ed è introspettivo il giusto.
RispondiEliminaTutto quello che hai scritto, tutto quello che sembra.
EliminaE, nei periodi sì, poco non è, no.
Sembra molto interessante, visto che voglio aumentare i thriller che leggo credo proprio che lo metterò nella lista dei forse :D
RispondiEliminaSenza neanche spulciare troppo, onestamente, troverai con facilità qualcosa di meglio, ma ho apprezzato.
EliminaDifficilissimo, per me, far reggere un romanzo che sin dall'inizio gioca a carte scoperte.
Tra vicenda famigliare, Captain Fantastic e natura, mi sembra una cosa molto fordiana. Pure troppo, per quanto mi riguarda. :)
RispondiEliminaL'accostamento con Room lo rende però già più interessante...
Come film, probabilmente, confermo che sarebbe un action thriller più nelle corde di Ford. Anche se è un Signor Papà, lui. :)
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