venerdì 30 maggio 2014

Mr Ciak #36: The Normal Heart, Un amore senza fine, Godzilla, What Maisie Knew, Ti ricordi di me?


La HBO non sbaglia mai. Spara e, a colpo sicuro, centra il bersaglio. Quei rari film all'anno che produce sono eventi. Fanno parlare, si lasciano amare, si fanno guardare. L'anno scorso, Behind The Candelabra aveva superato i confini del piccolo schermo: era arrivato nei cinema. Spero, in tutta sincerità, cheThe Normal Heart abbia la stessa sorte. Lo meriterebbe. Dopo delusioni (in)dimenticabili, Ryan Murphy torna a posizionarsi dove sta meglio. Nelle preziose retrovie della macchina da presa. Ci racconta l'avvento dell'Aids, all'ombra della rivoluzione sessuale: una parata, sguaita e volgare sulle note dei Village People, che ha il fervore e la follia che caratterizza tutte le cose che si fanno in segreto e poi esplodono per far baccano. Ogni giorno è festa. Senza freni, senza limiti, senza protezioni. I protagonisti vivono al centro di una parentesi color arcobaleno che non conosce scadenza. Lontani da genitori che ignorano le loro tendenze, dai pregiudizi, rintanati in doppie vite indegne e in lussuriose isole a tema. Il pericolo arriva come in un film dell'orrore. Un contagio che trasforma tutti in zombie, i cuori in poltiglia, i corpi in scheletri. Si muore in ospedali che, da un giorno all'altro, diventano troppo pieni. Di uomi in frantumi che si tengono per mano. Di mascherine per prevenire la diffusione, e vassoi che nessuno consegna, e cibo che nessuno mangia. Mentre l'America si volta dall'altra parte per non guardare, ha inizio una battaglia che prende di mira il mondo della politica; la sanità, la scienza. A capitanarla, uno scrittore che ha la sfortuna e la fortuna di trovare la persona della sua vita in un mondo di sangue infetto. Al centro di un pandemonio in cui tutti spingono, piangono, si lasciano morire. Quando Ned s'innamora di Felix la battaglia diventa guerra. Trovare un vaccino per il virus diventa questione di vita e di morte. Un fatto personale. Perché non può lasciarlo andare: non adesso. Crudo, coraggioso, emozionante, di televisivo non ha nulla. Completo. Alla base, una pièce teatrale che, ormai, ha lunga vita: dialoghi lunghi e inattaccabili, script soldissimo, attori – dal più piccolo al più grande – destinati a momenti di virtuosismo formidabili. La storia cattura più di quanto facesse quella del troppo lucido Dallas Buyers Club. Qui si gioca con la commozione, si ci intrattiene con personaggi di un'umanità immensa e calati in uno scenario tristemente realistico, si parla del tentativo di costruire una relazione sana in un campo di granate inesplose. Moralmente impegnato, politicamente schierato, il film a volte è come il suo protagonista. Scontroso, senza mezze misure. Un filo dell'alta tensione. Il successo è nel cast. Una Julia Roberts combattiva e feroce, bloccata su una sedia a rotelle e sulla soglia di cinquant'anni che mettono in mostra tutte le sue fantastiche rughe d'espressione; un Mark Ruffalo – protagonista eccelso – da applausi, e destinato ad exploit terrificanti. Negargli una statuetta, un crimine contro l'umanità. L'elemento più debole, il Jim Parson di Big Bang Theory: forzato, innaturale. Illuminante Matt Bomer: struggente nella seconda parte, insieme a un generoso Ruffalo che gli infonde un po' della sua luce. Lo travolge con il suo talento; lo bersaglia di buste di latte, frutti, pane integrale, pasticche, per convincerlo a mangiare. Fino a questo momento, della star di White Collar avevo colto solo una cosa. La più lampante. Matt Bomer è bello, e di quella bellezza che distrae e mette in imbarazzo. Gli altri e sé stessi. Sulla scia di Jared Leto, abbandona quello che più lo limita: il suo corpo. Ho capito quanto bravo fosse quando ha fatto sua la sofferenza di Felix. Con venti chili di meno, la pelle che cadeva a scaglie, una fisicità - un tempo perfetta - alla deriva. Le trasformazioni impressionano, la sua non fa eccezione. Saperlo omosessuale, sposato, padre di due bambini, rende la finzione meno fasulla: la sua prova più viscerale ancora. Ci sono due scene di nudo che lo vedono coinvolto. Nella prima, sembra una statua; nella seconda, con la pelle ricoperta di macchie e il corpo che si accartoccia sotto l'acqua della doccia, mentre Ned tenta di tirarlo su, dopo aver ripulito il suo corpo rachitico dai liquidi corporei che non riesce più a trattenere, viene naturarle distogliere lo sguardo. Le due immagini – simmetricamente opposte – spiegano più delle parole cosa voleva dire ammalarsi. The Normal Heart, schietto, racconta cos'era l'hiv e chi era a venirne ammazzato. Ma non come farebbe un impersonale servizio giornalistico; semplicemente, come farebbe un bel film, con la scrittura dinamica e i momenti drammatici di un romanzo che annichilisce tanto che è intenso. Vedi le facce e conosci le piaghe di personaggi che diventano il paradigma di una generazione. Il sipario, puntuale, arriva dopo centoventi minuti e si chiude su una scena toccante e significativa come poche: una promessa senza preti, carte, avvocati. Same Love. Ai prossimi Golden Globe, immagino di conoscere già in anticipo uno dei grandiosi titoli che saranno in lizza. (8,5)

Dramma in salsa adolescenziale poco malvagio. Lei ricca, lui povero. Insieme, belli come il sole ad agosto. Prima dei vari Moccia, c'era Un amore senza fine. L'adolescenza si ballava e si cantava, gli amori impossibili erano il top, i padri che si opponevano agli appuntamenti con i “bad boys” erano all'ordine del giorno. L'etichetta new adult non esisteva. L'Endless Love di Zeffirelli doveva essere bruttissimo! Questo, arrivato la bellezza di 33 anni dopo, non lo è poi tanto. La prima parte del remake di Endless Love è la più carina. La seconda vira spesso verso il melodramma, facendo aggrottare fronti e storcere nasi. Questo 2014, orfano di uno dei film sentimentali targati Nicholas Sparks, ci prova ugualmente, e a colpo sicuro, con Shana Feste alla regia. Con uno script poco impegnativo per le mani, lei lavora con quel che ha. Convincono due vecchie stelle nel ruolo dei genitori di lei e, per il resto, si punta sui protagonisti. Alex Pettyfer è sicuro, padrone della scena, a suo agio. Guida, tenendola per mano, la collega Gabriella Wilde: altissima e magrissima. Una ragazza elfo troppo adulta per il ruolo e troppo bella per essere invisibile, ma con un fisico acerbo e un visino innocente che ingannano. La perdita della sua innocenza coinvolge anche la sua famiglia, con quell'amore avventato e giovane che contagia gli adulti, scongela gli animi, lotta contro la perdita. Capostipite di un genere ora in voga, è un intrattenimento gradevole, romantico, che funziona discretamente. Tre decadi dopo, scommetto che sa far ancora sospirare più di qualche spettatrice intenerita. Ci sono state debite migliorie alla sceneggiatura. E il cast e gli scenari convincenti combattono, poi, quell'aria perenne da fotoromanzo. (5,5)

Sono andato a vederlo più per il brivido di pagare il biglietto tre euro che per il film in sé, che mi era indifferente e mi è rimasto indifferente. Caciarone, vagamente divertente, dozzinale. Senza cattiveria, senza tensione emotiva. Un blockbuster come mille altri. Peccato che l'8.3 su Imdb mi suggerisse altro. Visivamente impeccabile, con bagni di effetti speciali a coprire la pochezza del resto. Salti spaziali, salti temporali, sprazzi vari di Giappone, Las Vegas, Filippine. Ottimi, anche se in ruoli minuscoli, Cranston, la Binoche, Sally Hawkins. Spenta la Olsen e, accanto a lei, un Aaron Johnson che sfoggia muscoli e una serie di facce ebeti che, dopo la prova nell'istantaneo cult Kick Ass, non ci aspetteremmo da lui. Scarsi sentimenti, per un film che eppure pullula di bambini, padri e figli, relazioni familiari: confrontate le scene finali, poi, con quelle di The Impossible e scovate le differenze. Star del film, accompagnata da due mostruose damigelle d'onore, un Godzilla colossale ed epico, espressivo ed umano. Un'isola in movimento. La sua uscita dalle acque potrebbe ambire a diventare più nota di quella di Ursula Andress, in Licenza d'uccidere. O della Venere di Botticelli. Peccato che il Re sia coinvolto in una serie di scontri e d'intrecci che hanno l'acuta intelligenza artificiale del videogame "War of the Monsters", ve lo ricordate? Se volete un monster movie come si deve, recuperate il bellissimo The Host, dalla Corea con furore. Su questo reboot dico: mah. Così, sintentico. (5)

Film belli e mai arrivati da noi. Una Julianne Moore, fresca di Palma d'oro, magistrale come al solito: la sua, una naturalezza disarmante. Quella di una mamma rock-star, mai grottesca, che ci prova davvero a fare tutto. Un Alexander Skargard schivo, allampanato, paterno: intimidito, curvo, innamorato pazzo di quella principessina con la frangetta e i vestiti cordinati. Come un padre, come un pellegrino. Una protagonista piccolissima e straordinaria, Onata Aprile, che ti porta alla sua altezza, per vedere - dal basso della sua statura - il mondo come lo vede lei. Una faida familiare, genitori nomadi, due sconosciuti da amare come fossero una mamma e un padre. Un gigante biondo che fa il barista per sbarcare il lunario, una ex baby sitter che il ruolo imprevisto di matrigna non ha incattivito per nulla. Sposati, entrambi, con persone che non si amavano e che non le amano. Soli. Loro e Maisie. Abbandonati nel mondo. Incompresi. Tra la piccola e Alexander, una specie di miracoloso imprinting. Riprese frequenti ad altezza bambino. Plongèe che schiacciano gli attori, li comprimono, rendendoli alti quanto gli adulti o bassi, a seconda dei casi, quanto bimbi: pari. I registi potevano fare una riuscita operazione strappalacrime, con una storia simile. Magari avrei anche gradito di più, chissà. L'emozione, in casi come questi, mi potrebbe anche vincere: avrebbe avuto gioco facile. Invece, con classe e esperienza, gli autori fanno di What Maisie Knew un film contenuto, delicato, tenerissimo. Realistico, attuale, quotidiano, pieno di pace. Su quello che Maisie sa. Su quello che Maisie guarda. Su quello che Maisie sente. Una variante della storia della "mitica" Matilda Wormwood, senza il bollino di favola per l'infanzia, e perfettamente calata nella freddezza grigiastra del mondo contemporaneo. Eppure la scriveva Henry James, qualcosa come un secolo fa. La lungimiranza dei geni. (7)

Roberto e Beatrice sono uniti da un filo rosso follia. Il loro amore nasce da una condivisa e manifesta stranezza. Entrambi vivono fuori dal mondo. Lui cleptomane, lei narcolettica: potrebbe mai funzionare? Eppure s'innamorano. Ma l'amore è costanza e i ricordi di Beatrice non ne hanno: emozioni forti, shock, sorprese impreviste minacciano di resettare completamente la sua memoria. La sua memoria, e il ricordo di quel ladruncolo che le ha rubato pure il cuore. Ti ricordi di me? è una commedia italiana che ricorda il cinema francese. Quello lieve, romantico, ironico, pieno di grazia e d'incanto. Ha personaggi bizzarri, passaggi che fanno sorridere il cuore, intrecci semplici, ma funzionali e ben scritti. I convincenti e simpatici Ambra Angiolini ed Edoardo Leo vivono in un mondo moderno, ma scintillante di magia. Curioso, affascinante, pazzo. In una di quelle sfere che giri per vedere la neve e i brillantini cadere. L'epilogo lo immagini già, ma viene naturale confidare nel lieto fine. Perché se lo merita quello scrittore di grottesche fiabe per bambini, con le camicie che sembrano tovaglie da pic-nic e i brutti capelli a scodella, e se lo merita quella maestra di scuola elementare, che indossa gonne lunghe e vestiti a fiori e che, con un librone rosso sotto il braccio, saltella da una striscia pedonale all'altra, in attesa di scorgere una faccia amica, in una folla pericolosa. Ci sono gli imbarazzi di 50 volte il primo bacio, le panchine di Woody Allen, gli sguardi timidi, le spalle basse e le ginocchia strette al petto di Adam. Le polaroid di Amelie, i toni surreali di Emotivi anonimi. Niente di originale, niente di memorabile, ma piacevole per gli occhi e per la testa. Una delizia dai colori pastello. (6)

mercoledì 28 maggio 2014

Pillole di recensioni #1: L'amore quando c'era (Gamberale), Storia di anime gemelle (Baietti)

Ciao a tutti, amici! Questo post non era previsto per oggi. Forse per domani, forse per i prossimi giorni. Ho cliccato su “pubblica”, però, perché mi andava di vedere il blog in vita e di fare quattro chiacchiere con voi. Mi sento stanco e demotivato, con lo studio, e vi scrivo queste brevissime recensioni sperando di non sentirmi stanco e demotivato anche col blog, in questa lunga estate, con questa lunga sessione d'esami. Avrete notato il titolo particolare. Pillole di recensioni. L'ho rubacchiato, in realtà, alla mia amica Silvia – del blog Il piacere della lettura (qui) – in modo da sapere come chiamarle. Ma sì, quelle recensioni che non sono recensioni come lo solite. I libri che ho inserito nel post sono dei racconti o poco più, in realtà, che ho letto in un pomeriggio. Il primo in un'ora, mentre per il secondo mi è servito giusto qualche attimo di più. Vi parlo della trama, dei personaggi, delle mie piccole impressioni a caldo. Cosa mi hanno lasciato? L'amore quando c'era l'ho letto sulla scia dell'entusiasmo degli altri libri dell'autrice, Per dieci minuti e Quattro etti d'amore, grazie. Storia di anime gemelle, invece, è il romanzo d'esordio di una giovanissima autrice italiana che, un giorno di qualche settimana fa, ha gentilmente domandato il mio parere. Ti ringrazio di cuore, Tabata. Io vi abbraccio, oggi un po' più forte di quanto abbia fatto ieri, e torno in cucina, per sedermi a un tavolo pieno di libri polverosi: gli unici che non vorrei leggere. Ci sentiamo presto, M.

Titolo: L'amore quando c'era
Autrice: Chiara Gamberale
Editore: “Oscar” Mondadori
Numero di pagine: 92
Prezzo: € 9,00
Il mio voto: ★★★½
La mia recensione: Nell'arco di una settimana, ho letto tre libri firmati da Chiara Gamberale. Questo è il terzo. Mi ha emozionato, mi ha dato conferme. Mi ha mostrato un'autrice con la capacità di argomentare su tutto, anche sulle cose più piccole. Le stesse: sempre quelle. I rapporti, gli ex, le persone difettose e gli amori a scoppio ritardato. Quelli scoppiati, anche se non era destino. Rumorosi come tuoni, veloci come lampi. Belli come, se e quando li ricordiamo. Lì nella memoria. Dove saranno freschi, dove saremo sempre giovani e belli, dove c'era la voglia matta di saltarsi addosso, litigare, far pace. I protagonisti si scambiano un'email di cortesia, dopo “dodici barra dieci anni e mezzo” di silenzi. Il padre di lui è venuto a mancare, lei gli chiede com'è. Sentirsi in parte orfani, essere sposati, sperimentare la felicità. Le email che diventano le lettere del nuovo millennio. Le confessioni si fanno su internet, i sogni e i segreti li custodisce la memoria virtuale di Hot Mail. Emergono così i ritratti di due adulti in preda ai loro grandi forse. L'uomo, Tommaso, ha due figli, una moglie, un padre che si è portato nella tomba un segreto che ha demolito la povera mamma. Ricorda la donna dall'altra parte dello schermo, Amanda, e sente un buco crescergli dentro. Si dà a fantasie di cui si vergogna, si pone domande irreali. Come sarebbe stato aver sposato lei, la ragazza giudiziosa e riflessiva che l'aveva mollato all'aeroporto, in un viaggio a vuoto verso la Cina? Come sarebbe stato farlo, quel viaggio? Come sarebbe stato un bimbo coi loro geni combinati? La chiacchierata con Amanda è un sorso alla fonte della gioventù. Lei, che è una protagonista strana, proprio come le altre di Chiara: troppi dilemmi, troppe domande, troppi ansie. Inarrestabili, nostalgiche, donne. Alla ricerca di risposte nei temi dei più piccoli. Amanda è un'insegnante, infatti, e, come traccia, dà ai suoi alunni una domanda che le dà il tormento: cos'è che dà un senso alla vita? La risposta è la stessa, da bulli e genietti, figli di divorziati e di coppie felici, maschietti e femminucce: l'amore. Ma l'amore al presente. Non coniugato all'imperfetto, al passato remoto, al trapassato. Adolescenziale, ma senza brufoli. Un paradosso. Utopia. Chimera. Come chiedere rose senza spine, mimose che non puzzano, discorsi che non annoiano. L'amore quando c'era è un racconto breve e intenso. Concentrato di pomodoro, caffé ristretto, terapia di coppia in pillole. Un buon lavoro di bricolage, con i temi più cari all'autrice e le briciole d'oro delle vite altrui. Ovunque, c'è la maturità di chi sbaglia ad amare, ma impara. Perché è vero: sbagliando s'impara. Amando s'impara.

Titolo: Storia di anime gemelle
Autrice: Tabata Baietti
Editore: 0111 Edizioni
Numero di pagine: 122
Prezzo: Ebook € 3,99 Caraceo: € 13,50
Il mio voto: ★★★
La mia recensione: Due gemelli cresciuti inseguendo la libertà – chi in cielo e chi in terra, per mari stranieri salati quanto lo è l'invidia. La loro migliore amica che in un attimo è già donna: cresciuta, sbocciata, bellissima. Questa è una storia di anime gemelle. Tre. Una è di troppo. Una è un'assenza da inseguire e riempire artificialmente, per endovena. Questo è un triangolo sentimentale che non ha nulla a che vedere con i soliti. Non vuole cambiar forma, non deve. Che senso avrebbe, poi? L'esordio di Tabata Baietti mi ha colto impreparato. Ho chiacchierato con lei di libri, per email: era una ragazza intelligente, una lettrice sensibile. Mi ha chiesto di leggere il suo, di libro, e ho detto di sì. A scatola chiusa. In questa proverbiale scatola c'era una vicenda che, se riassunta, avrebbe corso il rischio di essere uguale a troppe. L' unicità sta nel modo in cui l'autrice la racconda. Lei, un narratore che sa e tutto vede. I capitoli sembrano racconti di una collana di cocci e frammenti alla rinfusa. Aprilo a caso, tu. Ti troveresti comunque davanti a qualcosa di bello. Il linguaggio è nuovo, procede per parole chiave: bussa alle porte della scienza e a quelle degli inferni danteschi. Uno stile asciutto, rapido, con la pecca di essere po' troppo aforistico, forse. Sa fare della storia una creatura aliena, ancora in fase sperimentale. E' un azzardo. Tabata ha una scrittura brutale, la concitata frenesia degli horror. Scrive pagine oniriche, fumose, ebbre: drogate. I simboli sono disseminati per strada, li raccogli, li metti nello zaino e prosegui per il tuo cammino. Stranezze: il libro di Tabata ne ha fin troppe: una più, una in meno, sai qual è la differenza? Tutto si rivela, invece. Le righe costituiscono una lettera d'amore struggente, e lo struggimento è dato da un estremo goodbye, my lover. Storia di anime gemelle è un esordio che confonde e affascina. Ho capito alla fine. C'è voluta pazienza. Fiducia. E' necessario lasciarti condurre da chi non conosci, dove non conosci, per portarlo a termine. E non è vero che non bisogna fidarsi degli sconosciuti. Ed è vero che non è mai troppo tardi. Il disegno complessivo non emerge con la solita immediatezza, ma è il quadro astratto di un amore tossico, come nel Candy con il compianto Heath Ledger. A non avermi convinto, piuttosto, la scelta di un'ambientazione straniera. Un'America esotica selvaggia, che ama sport e mete per noi inusuali. Non serviva. Si aggiungono i contorni e non era necessario, quando c'era tanto – volendo – da sottolineare e rimarcare, con una linea di pennarello nero o dettagli accessori. Una toccante, adrenalinica e originale storia d'amore, dunque, ma di cui una maga cattiva ha confuso le carte, in un Luna Park visto in sogno. Gli amanti, la morte, la Regina di cuori. Un racconto drammatico ed estremo, con una costruzione senza pari e lo stile che chi ha letto Forte come l'onda è il mio amore - capolavoro - e I cavalli delle giostre potrebbe davvero amare.

martedì 27 maggio 2014

I ♥ Telefilm: From Dusk Till Dawn, Hannibal, Rosemary's Baby, About a Boy

Come direbbe la mia amica Lisa, del blog In Central Perk (qui), “Quando i film si fanno ad episodi”. E' il caso di dirlo, questa mattina. I love telefilm ritorna per parlarvi di qualche recente finale di stagione. Tutte le serie che seguo stanno finendo, ahimé, e non ho più scuse per rimandare lo studio. I palinsesti americani saranno in combutta con prof e genitori di tutto il mondo? Le quattro serie di cui vi parlo oggi non sono serie qualsiasi: avrete notato. Conoscete tutti i titoli. Sono vecchi film passati al lato oscuro: la televisione. E ad alcuni è andata addirittura meglio, altro che lato oscuro e lato oscuro. Dal tramonto all'alba, da raccontino stringato, diventa un lungo romanzo pulp; Hannibal – slegato dalla prosa insipida di Harris – diventa arte moderna; About a boy fa piacevolmente compagnia, più di quanto potesse fare il film, con i suoi novanta minuti. Ultimo, un titolo che ho inserito imbrogliando un po': Rosemary's baby. Ha solo due episodi, ma bastano, grazie. I commenti non dovrebbero contenere spoiler: altrimenti, sentitevi liberi di insultarmi. Allora, quale tra queste serie avete seguito? Quale seguirete? In Italia sono praticamente tutte inedite. Ditemi. Un saluto, M.

From Dusk Till Dawn
Stagione I
Un'operazione cameratesca, godereccia, celebrativa. Funzionale, e in parte riuscita. Trash. Pulp. Iconico. Latino. Assetato. Verboso, splatter, pienissimo. Il film di Rodriguez era un racconto dell'orrore. Questo è un romanzo. I dieci episodi complessivi spiegano quello che il film non spiegava e intrattengono con una mitologia d'ascendenza Maya esotica e fascinosa. Il telefilm riprende dalla pellicola originale l'inizio, la parte centrale, ma imbocca una strada nuova, puntando al finale di stagione. Un finale tutt'altro che conclusivo, ma noiosetto. Fortunatamente, non rovina i diversi pregi del resto. Peccato che deluda lì dove vorrebbe sorprendere. La prima parte è un'avventura on the road. I punti da spuntare, su una lunga lista di vittime e mete, sono i classici: superare la dogana; oltrepassare la frontiera; sopportare gli impeccabili sproloqui di due fratelli rapinatori un po' matti che uccidono, prendono ostaggi, rubano e seminano mine vaganti. La seconda parte, la più attesa, è l'arrivo in Messico. Il deserto, i cactus spinosi, i teschi, le insegne luminose del Titty Twister. La costruzione del setting è perfetta. Tutto è uguale a com'era diciotto anni fa. Ma Salma Hayek, la regina dei serpenti, ve la ricordate? Come dimenticarla. Il suo spogliarello con il pitone avvinghiato al collo è storia. Piccola, giovanissima, con un corpo che era tutto una curva. Quentin Tarantino che le baciava il piede, che beveva l'alcol che gocciolava lungo il pendio della sua gamba. Ricordate?! C'è tutto. Lo striptease – e la successiva mattanza - rivive in uno degli episodi più stimolanti, nostalgici e riusciti di questa stagione. Eliza Gonzelez non è la Hayek, ma che vuol dire? Formosa, alta e sottile, ipnotica, mai volgare. Una regina delle tenebre nuova, sensuale, con un'antica storia di immortalità alle spalle. Buono il cast, che recita in una storia semplice, ma assai rischiosa: sono i paragoni a essere rischiosi. Lì c'era George Clooney, qui D.J Cotrona: aspetto simile, stessi dondolii con la testa, faccia da schiaffi. E poi è meno antipatico di Clooney! Lì c'era un folle, malato e perfetto Tarantino, qui c'è il giovanissimo Zane Holt. Ha per le mani il ruolo più delicato e risulta un po' troppo belloccio per il Richie che conosciamo, ma non è male. I nuovi fratelli Gecko sono in parte, affiatati, simpatici e odiosi, prolissi e spericolati. Stanno bene in abito scuro e con l'artiglieria pesante tra le mani. Il ruolo dell'esordiente Juliette Lewis è di Madison Davenport, candida e maliziosa; il pastore che fu il magistrale Harvey Keitel è Robert Patrick: fisico da duro, voce da fumatore incallito, colletto da abito talare a nascondere i tatuaggi e i muscoli di gioventù. Il film, del lontano 1996 – sigh! - , era un concentrato di divertimento. Ampliandolo e dilatando i tempi, si è corso il rischio – più e più volte – di perdere un po' l'allegria cazzona da festa cannibale, in cui imbucarsi il sabato sera. Eccola, la grossa pecca. (7)

Hannibal
Stagione II
Un capolavoro del piccolo schermo. Trovatemi una serie targata NBC diretta con altrettanto gusto, scritta con altrettanta perizia, recitata con altrettanta passione. C'è l'omicidio come forma d'arte. La morte come forma di poesia eternatrice. I cadaveri sono sculture di carne. Totem. Hannibal e Will diventano Achille e Patroclo. Maestro e allievo. Compagni. Amanti mancati. Dialogano da un lato e l'altro del tavolo. Si sfidano. Si superano. Sembrano corteggiarsi. I loro discorsi vibrano di cose: filosofia, politica, medicina, scienza e fede, paternità. Il serial è una nuova strada, tra il disgusto puro e la pura bellezza. L'estetica del sublime che si fa concreta. Un'opera impressionante, che schizza le tele di Pollock di sangue, ricerca lo splendore, coltiva e semina piacere. Alta cucina, alta classe. Un Mads Mikkelsen monolitico, superbo, calmissimo. Il volto tirato, le espressioni ridotte all'osso, le mani sempre in movimento, la pochette abbinata puntualmente al cravattino. Un predatore silenzioso e letale. Grande oratore, re di sirene dai denti a sciabola e dalle pinne come scaglie di lamiere. Ti guarda e ti attacca. Ti guarda e sei tu ad attaccare te stesso. Ti mangia. O sei tu a mangiarti? Hugh Dancy, invece, recita con tutta la faccia. Viso pulito, occhi limpidi, pieghe del volto che si fanno più rare, fino a scomparire. I suoi pensieri parlano con la voce di Hannibal e il suo volto, allo specchio, diventa simile a quello di Hannibal: impassibile, congelato, indecifrabile. Sintomo di un cuore nero. E c'è Gillian Anderson: più bella con gli anni che passano. Le gambe accavallate, i vestiti su misura, i capelli biondi che stanno immobili come fossero di cemento armato, la voce bassa e sensuale. Una vedova nera, una femme fatale anni '30. Sconvolgente Michael Pitt: il Mason Verger incestuoso, sadico, che beve lacrime, alleva maiali e si mutila la faccia senza batter ciglio. Pezzo dopo pezzo. La seconda stagione di Hannibal è migliore della prima. Di parecchio. Guardate l'incipit del primo episodio: è sensazionale. Ha la fattezza dei noir europei. Languidi, lenti, da esplorare, da scoprire. Da sopportare, all'inizio; da supportare, per tutto il tempo rimanente. Si scopre più snello, Hannibal, ma non si svende. Pastoso, barocco, eccedente, ricercato, ma con un finale di stagione senza grazia. Un bagno di sangue, anche se Hannibal – ehi! - è la yakuzi dei bagni di sangue. Un sacrificio mortale. Come quando i samurai, senza proferire parola, si gettano per onore e orgoglio sulla loro spada sguainata. Non mi arrabbiavo così da tempo, direi. Voglio la terza serie adesso. Ora. Subito. Purché faccia sfoggio del medesimo taglio cinematografico; purché ottimi registi come Vincenzo Natali (The Tube, Splice) e David Slade (Hard Candy, 30 Giorni di buio) scendano in campo – con la macchina da presa alla mano – ad incantarci con un uso superbo di rallenty, split screen, volteggi da coreografi di danza classica. E di Black Swan. (8,5)

Rosemary's Baby (miniserie TV)
Non ho letto il romanzo di Ira Levin. Non ho visto il film di Roman Polanski. Parlo della miniserie Rosemary's Baby senza pregiudizi e senza far paragoni. Con estrema e assoluta sincerità. Doveva essere una specie di evento. Doveva esserlo: per forza. Non è mica una cosa che si fa tutti i giorni, riproporre un film che ha quarantasei anni di storia, che è considerato capolavoro, che è chiacchierato in ogni libro di Storia del Cinema. Invece, pur guardabile e godibile, il piccolo remake dalla polacca Agnieszka Holland – candidata svariate volte agli Oscar, in veste di sceneggiatrice – non ha nulla che lo faccia davvero brillare. Impersonale: è un compitino portato a termine di malavoglia, mirato per raggiungere una stentata sufficienza. Il formato, televisivissimo, non aiuta di certo a creare una grande atmosfera, però un minimo fascino ce l'ha. Anche senza i brividi e i colpi di scena. Le numerose scene gore sono ben fatte (degno di nota un raro caso di autopsia cosciente), stessa cosa per la famosa sequenza del concepimento. Il cast non è dei più indegni, ma non c'è un solo attore che spicchi. Il ruolo che fu della Farrow è di Zoe Saldana – che per una volta non è blu (vedi Avatar) o verde (vedi Guardians of The Galaxy). Piange tanto e bene, piange a comando, ma dà al personaggio della protagonista un'aria trasognata che irrita. Rosemary nel paese delle meraviglie. Jason Isaacs è il solito cattivone infame, la francese Carole Bouquet ha un innegabile charme. Stupendo il bambino, che sarà anche figlio di Satana, ma ha degli occhi blu impressionanti. Lo adotto, dai: anche se, a diciott'anni, gli spuntano le corna sulla fronte! Questa fiction mi ha ricordato troppo 666 Park Avenue. Identico, giusto un tantino più dark. E il network che produce quella perna nera di Hannibal poteva avvicinarsi ad altro. Puntare più in alto. Sull'ambientazione: il Nastro rosso a New York si trasferisce dai nostri cuginetti d'oltralpe. Parigi e i soliti luoghi comuni. Famme fatale senza età con tendenze lesbo, europei che baciano completi sconosciuti sulle guance, francesi che non danno indicazioni, lezioni di cucina, gatti neri, arte. Recitazione standard, storia risaputa. Sicuramente, in quarant'anni e oltre di vita, c'è la certezza che Rosemary's Baby abbia dato da mangiare a tanti registi di horror(etti) sparsi – c'è L'avvocato del diavolo, il tema del recentissimo Devil's Due, le ossessioni materne di The Calling. La storia della protagonista e della sua macabra gravidanza è stata proposta sotto altri nomi, in altre vesti: in remake non autorizzati. Non serviva riproporla ancora. Perché diretta in maniera così monocorde, una vicenda così usata e abusata non rende mica. (5)

About a Boy
Stagione I 
Nick Hornby è un signore di cui non ho ancora letto niente. Ma lo conosco bene. E voi, lo conoscete? Ma sì. Avrà ispirato qualcosa come una dozzina di film sparsi. Il più recente, Non buttiamoci giù: non ve ne ho parlato, ma spendo due parole adesso. E' carinissimo. Esattamente come te lo immagini, ma pieno di umorismo british: fa bene al cuore, alla fine. Parallelamente, il nome del caro Nick rimbalzava tra i cinema internazionali e palinsesti USA. About a boy – l'impeccabile commedia sullo sciupafemmine che si improvvisava mentore e papà – si è fatto sit-com, questa primavera. Io alle sit-com non riesco ad affezzionarmici proprio. Mi stanco, le vedo a tempo perso, le mollo. About a boy, nonostante coi suoi venti minuti scarsi si faccia vedere sempre a tempo perso, fa compagnia. E' un bell'intrattenimento per famiglie. E, nel cast, ha una bella famigliola improvvisata: il volubile Will, la trasandata Fiona, il piccolo Marcus. Vicini di casa, separati da una siepe e da pareti di cartone. I due adulti non si piacciono: lui mangia costolette unte come se non ci fosse un domani, lei è vegana. Lui strimpella strumenti con la sua band di gioventù, lei medita in silenzio. Lui è americano, lei è inglese. Ad unirli, un bimbetto che ama i berretti di lana, sua madre, le imbarazzanti canzoni degli One Direction. Il film era un gioiellino di garbo e comicità, con un cast formidabile: tra i protagonisti, Hugh Grant, il Nicholas Hoult di Skins, una esilarante e tragica Toni Collette. Nella versione televisiva tutti sono più teneri e coccolosi, tutti si impegnano di meno, ma – tutto sommato – risulta abbastanza. David Walton è simpatico, Minnie Driver è adorabile e conserva un accento magnifico, Benjamin Stockham – coi suoi tredici anni – è un mattatore del piccolo schermo ancora imberbe. Ha faccia tosta, un sorriso vispo, allegria. Mi sono affezionato anche a loro, mi sa. (6)

domenica 25 maggio 2014

Recensione: Se chiedi al vento di restare, di Paola Cereda

Che cos'è l'amore? Roba da femmina, da sciagurata. Roba da figlia, da fidanzata. Roba da viva, da sacrificata. Ecco cos'era, l'amore. Un mattino ventoso e il frusciare dell'erba dentro al petto.

Titolo: Se chiedi al vento di restare
Autrice: Paola Cereda
Editore: Piemme
Numero di pagine: 219
Prezzo: € 14,90
Sinossi: Agata non sa nulla dell'amore e della bellezza. È una ragazza semplice, cresciuta su un'isola nel mezzo del Mediterraneo, da un padre distante, che è solo capace di toccare il ferro della sua fucina, e una zia bigotta, invecchiata anzitempo e terrorizzata all'idea di volerle bene. Al posto di una madre, un'assenza, sotto forma di un vestito azzurro sepolto in un armadio. Al posto delle carezze che meriterebbe, parole dure che feriscono come schiaffi. È la scoperta della passione a cambiare per sempre il corso della sua esistenza. Per la cucina, grazie alla creazione di una salsa capace di dispensare il buonumore e far gustare il mondo. Per un giovane addestratore di cavalli in un circo, Dumitru, che le fa capire, in un muto linguaggio di soli gesti, che la vita non è un inferno, come le hanno fatto sempre credere. È il piacere di un istante, un paio di scarpe rosse che danno scandalo, un ballo silenzioso con l'uomo amato e la pienezza che si prova solo realizzando i propri sogni. Così Agata inizia finalmente e vivere, a ribellarsi a un mondo chiuso, schiacciato dal moralismo, dalla corruzione, dalla prepotenza. Ma lì è nata, e lì vuole rimanere. Capirà che l'amore e la bellezza, in fondo, sono come il vento. Se non chiedi loro di restare, rimarranno a riempire i tuoi giorni.
                                                 La recensione
Ci sono libri che semplicemente non sai. Non sai se ti piaceranno, ma li leggi. Non sai di che parlano, ma speri di scoprirlo strada facendo. Non sai definirli, eppure i ringraziamenti conclusivi, saggiamente, ti avvertono. Sei arrivato alla fine della storia. Quello è il definitivo capolinea. Se chiedi al vento di restare è uno di quei libri “che non so”. La definizione - approssimativa, strana, giusta - calza che è una meraviglia, almeno per me. Almeno questa volta. L'ho iniziato in treno, con il sole. L'ho finito in treno, qualche giorno dopo, sempre con il sole. Un'andata e un ritorno. Una partenza e un arrivo. Una scoperta, un viaggio. La valigia piena e pesante mi sbattacchiava contro le ginocchia, la musica e le parole mi avevano portato lontano, via. La musica delle parole. Con una partitura, un timbro, un ritmo, un colore tutto loro. Paola Cereda - un nome che non conoscevo, scritto in cima a una copertina che racchiude di tutto e di più e che illumina l'anima con tutto l'azzurro possibile. Un'Italia selvaggia, calda, distante, meravigliosa, circondata da isole e spiagge bianche disseminate in giro come stelle del cielo. In un mare che, tanto, è blu, come lo stesso cielo indolente che lo contempla dall'alto, chiuso in un silenzio che va avanti dalla prima estate dei primi abitanti del cosmo. L'Italia è il continente, per gli isolani. Un altro mondo, oltre la soglia dell'orizzonte. L'attualità, nell'isola senza nome, arriva a sprazzi: la portano i rari turisti, la annunciano le trasmissioni radio, passa dai giornali alle tavole delle locande: di bocca in bocca. Il mondo non fa rumore, la guerra è iniziata e finita senza far troppi danni. Chilometri di acque a proteggere gli abitanti del posto dai tedeschi, la quiete dell'anonimato ad assicurare loro sonno, vino, cibo e speranza. Agata nasce, cresce e probabilmente muore lì: non ha mai il desiderio di spostarsi, di poggiare i piedi sulla terra ferma e di restare. Cammina scalza, vive senza far rumore. Le ditina tozze e sporche di terriccio affondate nella sua terra madre come radici legnose. Lei è un arbusto piccino e irto di nodi, diventato bello senza acqua. Adulto senza tenerezze. Scuro, spontaneo, libero. E' la protagonsita di una di quelle vecchie storie che, a tutti i costi, la società vuole sconsolata e triste. Ho pensato alle fiabe senza lieto fine, con zie arcigne, vicini sospettosi, padri anaffettivi, mamme ormai morte e sepolte. Agata è nata nel sospetto, con una colpa covata nella culla: la sua nascita ha segnato la morte di una madre di cui non sa il nome, ma che le ha lasciato ricette segrete bisbigliate quando era ancora nel ventre, la passione per la cucina, un vestito cobalto nel fondo dell'armadio. Il Fabbro è un papà che parla poco e pretende poco. Una frittata con le cipolle – alta, dorata, croccante – ogni giorno, alle undici in punto. Guai a sgarrare: né un minuto dopo, né un minuto prima! Frittata sempre. Ieri, oggi, domani. Come da tradizione. Se chiedi al vento di restare racconta di un paradosso bello e buono. Perché Agata troverà la libertà cercata, rincorsa, rinnegata in un carcere che, finalmente, ha la parvenza di una casa. Un orticello, pareti dipinte con vernice fresca e chiara, fuochi artificiali contemplati dalle sbarre, carpre, formaggio, vino, miele. Un elegante direttore - sospettano gli isolani, un po' “femminiello” - che legge Maupassant, coi pantaloni a sigaretta, un cappello di ottima foggia, scarpe troppo buone per le asperità dell'isola, l'audacia di portare il circo in città.
La gente mormora. I circensi sono zingari, gente di malaffare. Rubano i bambini, corrompono i puri di spirito: sono seduttori, ladri, prostitute. Sarà. Ma è un circense senza radici, con un nome ruvido e forte, a portare la magia. Dumitru danza con le bestie feroci. Parla con i cavalli e i cavalli rispondono. Dumitru è lo scoppio della femminilità nella volitiva Agata: un paio di tacchi di vernice rossa che battono sul pavimento della chiesa locale, passi a due sul balcone di domenica mattina, una misteriosa bambina che ha il nome dell'isola e i poteri delle divinità. Il nuovo romanzo di Paola Cereda ha un'anima latina. L'autrice, che ha raggiunto notorietà e riconoscimenti con Dalla vita di Alfredo, ha passato gli ultimi anni in Argentina, tra tanghi, attori, esotismo. La nostalgia per quella terra converge in questo libro, che ne è pieno, con risultati originalissimi. L'isola "immaginaria" che galleggia placida e inamovibile al largo delle nostre coste è nutrita per endovena di cose buone e una flebo di aghi, proteine vitali e belle parole lascia che sangue caliente, dolce, spagnolo si mescoli ad acqua e sale. Il risultato è particolare. Unico. Nel bene, come nel male. Un vino rosato, sanguigno, con riflessi color ambra, che apre lo stomaco alla fame, il cuore all'amore, l'estate alle danze sul bagnasciuga, le spose alle attese. La storia di Agata e Dumitru vive di accostamenti netti, che collidono e si fondono. Fanno storcere il naso, ma devono essere sperimentati, per scoprisi irresistibile. Assaggiati: come un gelato limone-cioccolato. Io voglio asseggiate la salsa di Agata, adesso. C'è la ricetta all'ultima pagina. Voglio capire che c'entrano le cotogne con lo scalogno, il succo di limone con il timo e il latte, lo yogurt con la ricotta e le scorzette di limone e arancia. 
Ma che c'entrano, poi, i popolani e i circensi, i fermi e i girovaghi, la pancia piena e il buonumore? Tutto, forse niente. Tutto e niente. La Cereda addolcisce gli animi con uno stile delicatissimo, vivace, garbato. Descrive episodi meravigliosi e altri che, lì per lì, ti lasciano dubbi da perderci il sonno. E' un mistero. Un alone miracoloso abbraccia il tutto e i miracoli, anche i più bislacchi, accadono e basta. Non te li spieghi mica, i miracoli. I trapezisti volano, i leoni si lasciano morire di fame, le star sono ragazze comuni che, con lustrini, rossetto e parrucca, diventano dive di Hollywood. Il circo, che meraviglia! Trovarlo in un libro è sintomo di una mente iperattiva, garanzia di incanto, certezza di economico intrattenimento. Che poi, a me, nella realtà, mette una tristezza assurda. Maleducato, chiassoso, sporco, lascia tracce di carovane in giro, rumori nel cuore della notte, bestie mezze agonizzanti. In letteratura è poesia, e nel romanzo di Paola non fa eccezione. Incantevole. Suggestivo. Questa è una storia che parte come una favola della buonanotte e che, andando avanti, acquisisce un sapore vagamente acre; le tinte grottesche di un film sperimentale. A metà tra Il seme delle discordia, di Pappi Corsicato, e Il profumo del mosto selvatico, un Chocolat tutto mediterraneo, che preferisce il salato al dolce e chiede all'impetuoso vento di Carnevale che apriva il romanzo di Joanne Harris di restare per tutto l'anno. Tutto l'anno, per tutti gli anni. Per imparare a leggerlo. E per imparare a convivere con un mare assassino e santo che prende, ma poi ridà. Se chiedi al vento di restare è un pensiero fisso che ha un buon sapore. Una suggestiva e romantica locanda su un porto di mare, che ti insegna il piacere di gustare la vita boccone dopo boccone; di sederti a un tavolo, col tovagliolo sulle gambe e i gomiti dritti dritti, e tentare una roulette russa di portate senza eguali, miracoli inspiegabili, immacolate concezioni, morti e resurrezioni. Tutto rigorosamente in salsa Agata, non dimentichiamolo. E' omaggio della casa.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Vanessa Paradis – Tu si na cosa grande (Versione originale: Domenico Modugno)

sabato 24 maggio 2014

Qui pro cover #6

Cover tutte uguali? Mamma mia, che spavento!
Bentrovati, amici, con un nuovo appuntamento di Qui Pro Cover – la rubrica, nata senza alcun intento polemico, dedicata a cover gemelle, sorelle, lontanamente imparentate. Dopo qualche settimana di assenza, ritorno con un appuntamento da paura. E prendetemi alla lettera. Le copertine di oggi, divise in quattro gruppi da due, appartenegono al genere letterario più inquietante che ci sia: il thriller. Degli otto romanzi, purtroppo, ne ho letti solo due, ma la vostra domanda la conosco. Voi non volete sapere di che parlano, voi non volete conoscere chi è l'assassino, volete sapere... perchè? E' un misterioso mistero: neanche Dan Brown può risolverlo. O scriveci un nuovo best-seller sopra. Procediamo con (dis)ordine. Spicca per ben due volte, notate, il nome del re del thriller tedesco: Wulf Dorn. Nel caso della scelta della cover per la ristampa del Superstite, affiancata dalla somigliante copertina del thriller del nostro Massimo Lugli, aveva... le mani legate. L'avete capita?! Oggi mi sono calato troppo nella parte. Voglio essere agghiacciante, in mezzo a questi loschi figuri. Testa dura, Wuuulf – a cuccia! Meno dura, invece, quella della modella di Non tornerai mai più, che ce l'ha in frantumi: tipo uovo sodo. Posso dirvi che il libro di Koppel è piuttosto bello (leggete qui, leggete), ma non so dirvi a cosa corrisponda il melodioso Waanzin di Dorn. Che suono dolce! Una poesia... Nel dubbio, a soreta, eh. La ragazza della porta accanto ha una nuova veste (grafica): nubi tempestose alle spalle, titolo giallognolo, capelli in faccia alla The Ring a mascherare un elegante: “Sto vento demmerda! Proprio oggi che m'ero fatta la piastra!”. Similissima quella di Underworld, solo più sobria: colori nitidi, font elegante quanto la modella cultrice della buona educazione, sfondo boscoso. Mi piace. Ultima, ma non ultima zia Ro: Il richiamo del cuculo (qui) che ricorda molto Every Contact leaves a trace. Non c'è paragone. La copertina con la firma della Salani, al centro, è un altro mondo: suggestiva, dettagliata. E poi ho già detto che il romanzo è della mia amata Rowling, o no? Non devo spiegazioni a questa Eleanor Dymott. Shhh. Volendo essere proprio puntigliosi, ma proprio parecchio, quest'ombra in nero non vi ricorda quella dell'ennesimo Dorn, qui?! Ditemi un po'. Buon weekend a tutti, M.

mercoledì 21 maggio 2014

Recensione: Gray, di Francesco Falconi

Ciao a tutti, amici! Come state? Io sono tornato all'università, anche se in un lunedì posticipato di due giorni, per la fine dei corsi. Manca poco e, ehi, manca poco anche alla fine del secondo libro della temibile Storia della Lingua. Qualche oretta gliel'ho sottratta, mi siete testimoni, ma non ditelo in giro. Ho lavorato, questa mattina, alla recensione dell'ultimo romanzo che ho letto: il chiacchierato Gray. Vi lascio con le mie riflessioni personali e ringrazio personalmente Francesco per aver voluto che lo leggessi. Sì, quella metà faccia nella prima foto è la mia: è vero che dovevano scegliere me per la copertina?! Imperdonabile. Avrei avuto una perfetta faccia da... cover. Già. Scherzando scherzando, vi abbandono anche oggi. M.
Siamo cuori in fiamme soffocati in un'anima nera.

Titolo: Gray
Autore: Francesco Falconi
Editore: Mondadori “Chrysalide”
Numero di pagine: 372
Prezzo: € 17,00
Sinossi: Dorian osserva l'Anima Nera strisciare sulla sua pelle come un tatuaggio, avvolgersi alla spalla e raggiungere la sua schiena. È il serpente oscuro che l'ha condannato a un inferno in terra: l'immortalità. Cent'anni prima, di fronte a un ritratto che esaltava la sua bellezza, Dorian ha osato desiderare di rimanere giovane e seducente per sempre: il suo desiderio è stato esaudito, ma il prezzo da pagare è un baratro infinito di estasi e perdizione. Layla è tormentata da un demone che le toglie il respiro, la ragione e la volontà. È prigioniera di un corpo che sente disarmonico e deforme. Il suo rifugio è l'arte, e quel ritratto di ragazzo che da sempre disegna con precisione maniacale, occhi di ghiaccio e corpo perfetto, pur non avendolo mai conosciuto. In una Roma incantevole e superba, Dorian e Layla stanno per incontrarsi e i loro destini si allineano come tessere del domino in attesa di essere sfiorate.
                                                 La recensione
Vissi d'arte, vissi d'amore.”  Il sogno di un'epoca lontana, di un'altra vita. La speranza di divorare il mondo con gli occhi, di metterlo a posto con le proprie mani, e di riempirlo fino all'orlo di cose belle. Un vaso di Pandora finalmente libero dai mostri della notte, una coppa di splendore. L'appello al passato remoto che una Tosca con la voce di Maria Callas intonava a Dio. Tosca, l'infelice Tosca. La chimera, il melodramma, la tragedia in tre atti. Un salto nel vuoto, in cerca dell'eternità sul fondo buio del baratro. Anche Dorian Gray visse così. D'arte, d'amore. Nelle parole ispirate di Oscar Wilde, tra i salotti di una tetra Londra vittoriana e case del piacere. E morì, così. Una cornice squarciata per privarsi dell'arte, un pugnale nel petto per condannare l'amore. La pace, alla fine, ritrovata nell'unico spiragio che c'è d'eterno: la morte. Francesco Falconi ci ha stupiti spesso con un'originalità fuori dal comune. Con uno stile duttile, malleabile come metallo. La sua immaginazione è la fucina in cui la trasformazione diviene possibile. Il ferro battuto diventa spranga, spada, lancia, oro. In Muses aveva illustrato le strategie e le insidie di un mondo complesso: le dee delle arti scendevano sulla terra, camminavano su tacchi alti o sulle suole di un paio di scarpe da ginnastiche, si sporcavano, si uccidevano, risorgevano dalle ceneri. Anche il suo Dorian lo è. Una musa. Ispirazione per uomini ossessionato dal suo viso, dal suo corpo, da pennellate che riescono a immortalare solo i lineamenti prodigiosi di chi non è mai invecchiato. Di chi non è mai morto, perché semplicemente non poteva. Gray è l'ipotetica risposta a una domanda lanciata all'aria. E se... Se, in quella stanza umida di tanto tempo fa, la creatura di Wilde non avesse conosciuto il gusto del riscatto, la soddisfazione di una definitiva disfatta, il riposo agognato? Se il seduttore, la musa, il demonio racchiusi nella sua unica persona fossero giunti alle soglie della modernità, in questa nostra era tecnologica e dissipata? Come scontare, allora, il prezzo del per sempre? L'originalità è insita nell'idea stessa. Usare un personaggio iconico, leggendario, come protagonista di una storia nuova. Un doppelganger: sì. Un doppelganer: no. L'autore non si lava le mani sulla scia di un Pilato qualsiasi. Dorian è Dorian. Una responsabilità, una certezza. Ha cambiato nomi, paesi, identità; ha incontrato le copie riflesse di Henry e Basil e, per istinto, si è avvicanto a quelle esistente sottratte al passato, in misteriose vite parallele e rinascite inspiegate. Un surrogato del padre, il primo. Un rimpiazzo del pittore che lo dipinse e lo amò di un amore insano, il secondo. Remake entrambi. Déjà vu. Il protagonista ha messo a distanza la noia, a bada il desiderio di una casa. Ha visto crescere i semi delle Avanguardie Storiche, ha conversato con Dalì, è stato gallerista in Europa e gigolò in ogni altro luogo. Roma, Firenze, Venezia, Siena, Praga: il suo corpo sempre uguale come bagaglio e unico lasciapassare, il richiamo dell'arte a influenzarne le tendenze e le infinite traiettorie. Layla Vanni è una studentessa universitaria con la stanza piena di ritratti di Dorian Gray: il suo Charming Prince. Non lo conosce, non sa se sia reale oppure no, ma è una passione intensa. Un hobby strano, un lavoro di immaginazione. Lei non si vede. Non sa descriversi, non sa disegnare il suo stesso profilo. Le sue mani abili disegnano linee comuni, il carboncino gratta il bianco della carta per formare l'ombra di un naso, la sfumatura di un labbro, una palpebra, una voglia a forma di fiore. Ombre fitte e nere. Come quella che la perseguita. 
Un mostro, per lei che si percepisce mostro. Evita di specchiarsi, odia il chiasso, adora Frida Kahlo. Osessionata, come lei, da un corpo ostile che le si è rivoltato contro. La bellezza era anche il suo demone. L'entrata di Dorian nella sua vita è trionfale. Teatrale, queer. Ballerini sui tacchi a spillo, calze a rete, costumi succinti color carne. Monaci seduttori, chiese sconsacrate, una Roma chiesa e bordello come in Sorrentino. Gaga, Madonna, Adam Lambert, la regia di un Almodovar. Mucca assassina. Eternità assassina. Vacca sacra, Nirvana, limbo. Purgatorio e inferno. Layla è la sua sfida, l'ennesima vittima. La più difficile. Divorerà a morsi la sua innocenza. Lui è una tela da riempire in cui si incontrano e si scontrano i tratti del Bel Ami di Maupassant, la spigolosità del Conte di Valmont; le Cruel Intensions – dunque – dei fratellastri incestuosi Sarah Michelle Gellar e Ryan Philippe. Ho bramato quei rari flashback come l'acqua: assolutamente intriganti, ben inseriti. Il Dorian che si muove all'interno di quei ricordi – spietato, calcolatore, egocentrico – è quello che ho preferito. E' bello, ma il fascino, secondo me, è slegato dalla perfezione di un viso, dalla solidità dei muscoli, dal bianco di denti drittissimi. Lui ha forme troppo nette e precise. Terreno, ultraterreno. Il Dorian che ho sempre immaginato io è un Peter Pan guidato da una fata nera. Un bambino col volto pulito, il fisico asciutto, la fronte spianata. Gli uomini e le donne vogliono possederlo per quell'innocenza astratta, per il suo corpo da angelo in terra. Fragile, pallido, efebico. Il protagonista di Falconi è più aitante del Ben Barnes che gli diede il viso nella libera trasposizione cinematografica del 2009, meno comune del Reeve Carney della serie rivelazione Penny Dreaful
La bellezza la vedi, la vuoi, la fai tua. Il carisma è qualcosa di più sottile, sotteso, vago, però. E' un tarlo. E' saper persuadere con la nuda parola. L'estetica di Oscar Wilde viveva dell'arte per il gusto dell'arte. E il coerente Dorian Gray dei giorni nostri vive del bello per il gusto del bello. E' un modello, un ballerino, una creatura notturna. Io, tuttavia, se rileggessi il capolavoro dell'autore ottocentesco, penserei – ora - al Dane DeHaan di Giovani Ribelli. Al Lucien Carr del movimento Beat, vale a dire; al Lucignolo del Pinocchio Allen Ginsberg. Un metro e settanta, sessanta chili, faccia nella media, occhi blu. E' tutta questione di atteggiamento: un languore inespresso, dato da una consapevolezza non palesata. Qualcosa che si muove nel profondo; dietro le palpebre, sotto la stoffa della camicia. Figlio della Pop Culture, Gray parla di redenzione. La storia di una Bestia che, in un frammento stroboscopico di infinità, guarda la sua rosa nera spogliarsi di tutti i petali. Una delle stonature che, personalmente, ho rintracciato, è legata giusto al cambiamento del protagonista: troppo concreto. A dialoghi finali che mantenevano una parvenza troppo da favola. Più che dolci, dolciastri: momenti romantici ritagliati in altri apparentemente pieni di disperazione; inscatolati nella speranza di non far danni. Poi, salvifica, una scena grandiosa a liberarmi da quella smorfia venuta per caso: un zoom puntato nella squallida stanzetta di una persona che ama morbosamente. Chi non dovrebbe, come non dovrebbe. Quell'alone fiabesco accoltellato con brutalità e coraggio, quel sentimentalismo zuccheroso – almeno per chi, come me, il caffé lo prende amaro – stordito dai pesticidi. Per protagonisti interessanti, ma insieme un po' meno, in una cornice ordinaria che aggiunge realismo alla vita di Laya e sottrae perdizione a quella di Dorian. Falconi è una specie di kamikaze. E' bravo, ma fino a che punto ne era consapevole? Ha una bella prosa – secca, personale, con una musicalità ricercata, quasi tribale. Ma una bella pagina, una penna affilata, un'idea buona servono a farti capire che ciò che fai è giusto? Che quella è la strada? Lui procede: sfrontato, sicuro, audace. Chat su Facebook comprese di faccine sorridenti, messaggi, spogliarelli. Come fare qualcosa di simile e capire che non è troppo – grottesca, adolescenziale, trash? Non lo so Francesco come lo sapeva. Ma aveva indovinato. Un esordiente non credo l'avrebbe fatto con una simile sicurezza. E parlo della pazzia dell'impresa, del folle volo, non esclusivamente della gestione di una trama, senz'altro più semplice di quella di Muses, che, in quegli sporadici momenti noir, sfodera a pieno la sua bestiale potenza. Questo Gray è una statua bianca che invece qualche segno del tempo lo conosce. Ha un neo sulla guancia, un molare scheggiato, qualche sbavatura perdonabile nel nero della prosa. Ma divertete per il suo desiderio di divertirsi e macchiarsi: è l'importante. Sguazza nel torbido. Gli schizzi di nero sono più belli. Il petrolio delle industrie nell'acqua del mare fa più vero il mondo. Elementi di distrazione, tinte forti e malate che generano un erotismo convulso da elettropop. L'ambiguità di cui è punteggiato il tutto, una coinvolgente scena di sesso descritta nel dettaglio, il sospetto cattivo dell'incesto... La volgarità, in una scrittura simile, non esiste mai. Vietato porsi il problema. La collana Chrysalide dà fiducia al Falconi pioniere e, in una trama che oscilla di tanto in tanto sul limite del classico young adult e del moderno retelling, ma senza mai cadere, lascia entrare chili di sporco, senza il bisogno di nasconderlo sotto il tappeto, subito dopo. Su un post-it giallo, all'interno del libro, ho una freccia stilizzata che collega il nome di Francesco Falconi a quello di Baz Luhrmann. Feste sensazionali, musica assordante, kitsh-non kitsh, perdizione in bicchiere, gocce di assenzio incendiario. C'è un disegno anche nella confusione. Una coreografia anche in questo seducente caos stroboscopico.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Jack White - Love is Blindness


martedì 20 maggio 2014

Coming This Fall #7

Lo so. Lo so che Coming This Fall significa Prossimamente in Autunno e che, con giugno alle porte, ho un tantino sbagliato stagione. Avevo intitolato una serie di post dedicati alle anteprime e alle novità in questo modo, la scorsa estate, e il titolo è rimasto. Per non dovermi scervellare, ogni volta, per un titolo tutto nuovo e tutto scemo. Per andare sul sicuro. So anche un'altra cosa. Che non organizzo un post del genere da Natale, tipo, e che vedere tutti questi titoli in uscita potrebbe crearvi traumi seri. Calma! Il post è lungo lungo, ma vi parlo di titoli di genere vario – che, a volte, non ispirano nemmeno il sottoscritto. Li ho inseriti perché li ho scoperti per caso o, semplicemente, perché sono il primo a parlarne. Magari li aspettavate e non sapevate che erano in stampa, o magari no. Iniziamo. In uscita a breve, l'originalissimo I bambini del crepuscolo: autore dal nome impronunciabile, trama accattivante, copertina da brivido, storia da mettere in wishlist; dalla DeA il teen thriller L'estate dei segreti perduti con una media di 4.04 su Goodreads e un intrigante titolo originale, We were liars – e il curioso Alter Ego; per la Piemme, L'estate di Ulisse Mele (che dev'essere mio) e l'ironico urban fantasy I segreti di Nightshade, parte di una serie che conta la bellezza di otto volumi (!); il nuovo thriller del maestoso Wulf Dorn (il booktrailer qui, in cui potete dare una sbirciata anche alla cover); per la fortunata collana Chrysalide, il gotico Doll Bones, il sequel del carinissimo Stay, l'ennesimo new adult che non m'ispira ma di cui ho letto belle cosette – Il tuo meraviglioso silenzio, il primo libro da “solista” dell'adorabile Kami Garcia della saga Beautiful Creatures, la distopia di Mystic City. In realtà, di questi potrei rinunciare giusto a due o tre. Ma proprio dovendo. E voi, quali aspettavate? Ditemi. Un salutone, M.

Titolo: I bambini del crepuscolo
Autore: Thorbjor O. Amundsen
Editore: Salani
Numero di pagine: 450
Prezzo: € 16,90
Data di pubblicazione: 22 Maggio 2014
Sinossi: Domani, come sempre, Arthur morirà e si sveglierà nel corpo di un neonato da qualche parte nel mondo. Ha un’intelligenza e una memoria prodigiose e ha accumulato un sapere smisurato in settemila anni di reincarnazioni. È uno dei ‘Bambini’, individui che non diventano mai adulti, ma migrano da un corpo all’altro ogni quattordici anni. Sono sparsi in tutto il pianeta e comunicano attraverso un network segreto e altamente tecnologico. Il loro sapere è custodito in una biblioteca che raccoglie decine di migliaia di libri e si trova in un luogo segreto a Parigi. Nathaniel, un brillante studente universitario americano, ha elaborato un algoritmo che permette di individuare i Bambini, e da ora in poi la sua vita non sarà mai più la stessa. Ben presto, infatti, si trova catapultato insieme ad Arthur dalla Norvegia a Parigi, dal Galles al Parco di Yellowstone, per cercare di fermare Paolo, un Bambino capace di un odio divorante e deciso a distruggere il mondo.

Titolo: Noi siamo grandi come la vita
Autrice: Ava Dellaira
Editore: Sperling & Kupfer
Prezzo: € 16,90
Data di pubblicazione: 3 Giugno 2014
Sinossi: Tutto comincia con un compito in classe. «Scrivi una lettera a una persona famosa che non c’è più.» Per Laurel è il primo giorno in una nuova scuola, e si sente trepidante, spaventata, e con tanta voglia e paura di cominciare. Si sente anche vuota: quel vuoto gigantesco che si chiama May, la sorella più grande che se n’è andata silenziosamente durante l’estate, lasciandole un dolore esterrefatto e incredulo. Laurel scrive a Kurt Cobain, perché era il cantante preferito di May. E poi scrive a Amy Winehouse, Elizabeth Bishop, River Phoenix. Tutte persone che sua sorella amava. E che, come May, sono morte. Persone che possono ascoltare ciò che Laurel ha da raccontare – il suo primo anno di liceo, le cotte, le amicizie, l’emozione di crescere – e aiutarla a comprendere, e superare, un dolore troppo grande per i suoi quindici anni.
 
Titolo: L'estate dei segreti perduti
Autrice: Emily Lockhart
Editore: DeAgostini
Prezzo: € 12,90
Data di pubblicazione: Giugno 2014
Sinossi: Da sempre la famiglia Sinclair si riunisce per le vacanze estive su una piccola isola privata al largo delle coste del Massachusetts. I Sinclair sono belli, ricchi, spensierati. E Cady, l'erede di tutta la fortuna e di tutte le speranze, non fa eccezione. Ma l'estate in cui la giovane Sinclair compie sedici anni le cose cambiano. Cady si innamora del ragazzo sbagliato e ha un incidente. Un incidente di cui crede di sapere tutto, ma di cui in realtà non sa nulla. Finché, due anni dopo, torna sull'isola e scopre che niente è come sembra nella bellissima famiglia Sinclair.

Titolo: L'estate di Ulisse Mele
Autore: Roberto Alba
Editore: Piemme
Prezzo: € 13,50
Data di pubblicazione: Giugno 2014
Sinossi: Una casa in cima a una collina, nel cuore della Sardegna rurale. È qui che Ulisse vive insieme alla sua famiglia. Ha quasi nove anni e non sopporta la parola che la gente usa per spiegare il suo problema: sordomuto. Lo fa sembrare handicappato, invece lui capisce tutto benissimo e a scuola è il più bravo. E infatti suo papà non lo prende mai a cinghiate come invece fa con Betta e Checco, che saranno anche più grandi, ma si comportano sempre da stupidi. Neppure lui però immagina che andare al mare di nascosto in una torrida mattina di luglio possa essere la cosa più stupida che quei due abbiano mai fatto. Fino a quando Checco torna a casa da solo, e di Betta non c'è più traccia. Da quel momento la vita di quella famiglia è sconvolta. E mentre gli adulti cercano risposte, Ulisse ha occhi ben aperti su quel che gli accade intorno. Per lui, la scoperta della verità sarà un ingresso forzato nel mondo dei grandi.

Titolo: Away – Il nostro amore oltre il tempo
Autrice: Tamara Ireland Stone
Editore: Mondadori “Chrysalide”
Numero di pagine: 240
Data di pubblicazione: 3 Giugno 2014
Sinossi: San Francisco 2012: Bennett Cooper ha diciassette anni e un destino tanto meraviglioso quanto crudele: può viaggiare nel tempo. Il suo unico desiderio è di poter amare la sua fidanzata, Anna Greene, conosciuta a Evanston nel 1995. Ma i due riescono a incontrarsi solo una volta al mese, forzando, all'insaputa dei genitori, il fragile margine della quarta dimensione. Andare e venire fra passato e presente non è, però, privo di effetti collaterali e la vita di Bennett pare dipanarsi in due luoghi e in nessun luogo: infatti, lui non si sente al suo posto né a Evanston, nel 1995, né a San Francisco, nel 2012. E, a complicare gli eventi, un misterioso sconosciuto compare nella vita di Anna...

Titolo: Mystic City
Autore: Theo Lawrence
Editore: Mondadori “Chrysalide”
Numero di pagine: 400
Data di pubblicazione: Giugno 2014
Sinossi: Manhattan è stata sommersa dall'acqua. In una New York del futuro, vittima del riscaldamento globale, i quartieri sono rigidamente divisi: la zona più elevata è abitata dai ricchi, mentre la classe inferiore è costretta a vivere nello squallore delle Profondità, ai livelli più bassi. I capi corrotti della città ricca sopravvivono grazie all'energia generata dai mistici, rappresentanti della classe inferiore dotati di capacità magiche. Come nella tragedia di Shakespeare, accade l'impensabile: Aria, figlia di un ricco criminale, si innamora di Hunter, un mistico ribelle e rivoluzionario, determinato a cambiare il destino del suo popolo. Un amore proibito tra due famiglie nemiche è destinato a portare lutti e dolore, ma anche a cambiare per sempre la vita di Aria e del suo mondo.

Titolo: Doll Bones – La bambola di ossa
Autrice: Holly Black
Editore: Mondadori
Prezzo: € 17,00
Data di pubblicazione: 27 Maggio 2014
Sinossi: A dodici anni, Zach passa i pomeriggi a inventare storie con le sue due migliori amiche, Poppy e Alice: i tre hanno affidato il dominio del loro regno immaginario all'enigmatica Regina, una bambola di porcellana così perfetta da sembrare viva. Un brutto giorno il padre affronta Zach intimandogli di crescere e di cominciare a interessarsi a cose "da grandi". Il mondo di Zach sembra andare in frantumi, finché una notte la Regina compare in sogno a Poppy, rivelandole di essere stata una bambina in carne e ossa di nome Eleanor, le cui ceneri si trovano ora all'interno della bambola; Eleanor non avrà pace finché non sarà seppellita nella sua tomba, in una lontana cittadina dall'altra parte degli Stati Uniti...

Titolo: Phobia
Autore: Wulf Dorn
Editore: Corbaccio
Numero di pagine: 398
Prezzo: € 17,60
Data di pubblicazione: Settembre 2014
Sinossi: La paura trova una nuova casa in una notte di dicembre a Forest Hill di Londra. Sarah Bridgewater si sveglia quando sente il marito tornare inaspettamente da un viaggio di lavoro, ma l'uomo che incontra in cucina, non è Stephen. Tuttavia, egli porta il vestito del marito, ha la sua valigia, ed è tornato a casa con la sua auto; lo straniero afferma di essere Stephen, e sa cose che può sapere solo il marito di Sarah. Per Sarah inizia il peggior incubo della loro vita, perché lo straniero improvvisamente scompare nuovamente, e nessuno vuole crederle. Solo il suo amico d'infanzia, lo psichiatra Mark Behrendt, decide di aiutarla, così ha inizio un duello psicologico con l'ignoto. E di Stephen Bridgewater non c'è ancora traccia.

Titolo: I segreti di Nightshade
Autrice: Marlene Perez
Editore: Piemme “Freeway”
Prezzo: € 14,00
Data di pubblicazione: Luglio 2014
Sinossi: Nella famiglia Giordano tutti hanno poteri da medium, tutti tranne Daisy. E quando sua madre chiede alla sorella maggiore di aiutarla a indagare sul misterioso omicidio di una ragazza per conto della polizia, Daisy si sente definitivamente inutile. Ma presto si accorge che diverse ragazze della scuola sono state aggredite e che il responsabile sembra essere un vampiro, anzi... una vampira! Daisy così inizia a sospettare di Samantha Devereaux, la ricchissima e snobbissima diva della scuola che è tornata dalle vacanze estive con un look tutto nuovo: pelle candida, rossetto vermiglio e abiti neri...

Titolo: Il tuo meraviglioso silenzio
Autrice: Katja Millay
Editore: Mondadori “Chrysalide”
Prezzo: € 14,90
Data di pubblicazione: Settembre 2014
Sinossi: L’ex prodigio del pianoforte Nastya Kashnikov desidera due cose: finire la scuola senza che nessuno venga a conoscenza del suo passato e farla pagare al ragazzo che le ha tolto tutto, la sua identità, il suo spirito, la voglia di vivere. La storia di Josh Bennett non è un segreto: ogni persona che ama è stata strappata dalla sua vita finchè, all’età di diciassette anni, non è rimasto più nessuno. Ora ciò che vuole è essere lasciato solo e la gente glielo permette perché quando il tuo nome è sinonimo di morte, tutti tendono a lasciarti il tuo spazio. Tutti tranne Nastya, la misteriosa nuova ragazza che frequenta la scuola che inizia a presentarsi e non ha intenzione di andarsene finché non si sarà insinuata in ogni aspetto delle sua vita. Ma più la conosce, più diventa un enigma. Quando la loro relazione raggiunge un livello più profondo e si accumulano le domande senza risposta, Josh inizia a chiedersi se mai verrà a sapere i suoi segreti o se lo vuole.

Titolo: Alter Ego
Autrice: Susan Winnacker
Editore: De Agostini
Prezzo: € 12,90
Data di pubblicazione: Luglio 2014
Sinossi: Tessa ha 16 anni e l'incredibile capacità di assumere le sembianze di chiunque tocchi. È un'allieva dell'AFE (Agenzia Forze Eccezionali), una divisione dell'FBI che addestra i giovani mutanti, affinché imparino a gestire i propri poteri e usarli nelle missioni di spionaggio. L'unicità e la versatilità del potere di Tessa la catapultano in una missione delicata prima ancora che il suo addestramento sia concluso. In Oregon, infatti, un serial killer ha strangolato tre persone, lasciando come firma una "A" incisa sull'addome. La quarta vittima, Madison Chambers, è in ospedale in fin di vita. Tessa dovrà assumerne l'identità e sostituirla, per scoprire chi è il suo assassino prima che colpisca di nuovo. Ad affiancarla c'è Alec, giovane mutante che con Tessa condivide un'infanzia dura, un'amicizia molto intensa e qualcosa di più...

Titolo: Unbreakable
Autrice: Kami Garcia
Editore: Mondadori “Chrysalide”
Prezzo: € 17,00
Data di pubblicazione: Settembre 2014
Sinossi: TRAMA TRADOTTA DA ME. Quando Kennedy Waters trova sua madre senza vita, il suo mondo inizia a cadere a pezzi. Lei non sa che le forze paranormali, in un mondo molto più oscuro, sono le uniche a tirare i fili. Non fino a quando i gemelli Jared e Lucas Lockhart irrompono nella stanza di Kennedy e distruggono uno spirito pericolosissimo inviato lì per ucciderla. I due fratelli le rivelano che sua madre era parte di un'antica società responsabile di proteggere il mondo da un demone vendicativo – una società i cui i cinque, unici membri sono stati assassinati nel corso della stessa notte. Ora Kennedy deve prendere il posto della madre all'interno della Legione, se è ancora disposta a scoprire la verità e a rimanere viva. Insieme a Priest e Alara, nuovi membri della Legione, i ragazzi gareggiano per trovare l'unica arma in grado di distruggere il demone– combattendo gli spiriti letali che lui controlla passo dopo passo.