Ho
sempre ritenuto sopravvalutata la serie Cloverfield. Un primo
capitolo che si perdeva quasi fra gli horror a basso budget di
telecamere tremolanti così in voga nei primi anni Duemila. Un seguito con un ambiente unico e un paio di attori – ricordiamo il
bravissimo John Goodman – con una tensione, un'ambiguità,
smascherate però da un titolo che dava indizi sostanziali e indicava
l'appartenenza del film al filone di Abrams. Non facevo il conto alla
rovescia per il terzo capitolo – ce n'è già un quarto, Overlord,
atteso in sala il prossimo ottobre. Non l'hanno fatto, questa volta,
neanche gli estimatori, trovandolo sul menu Netflix il giorno stesso
del rilascio. The Cloverfield Paradox non
passa in sala, ma per effetti speciali e cast non ha nulla da
invidiare ai film del genere. Ma non convince, leggo, e chi ero io
per dirmi invece positivamente sorpreso se questo mondo – anzi,
mondi – non mi ha mai fatto suo? Nessun mostro, nessun aguzzino
farneticante, nessuna città a ferro e fuoco. Il terzo capitolo della
saga – forse un prequel, forse ambientato in un altro angolo del
multiverso – si svolge su un'astronave, all'indomani di una crisi
energetica che ha messo il futuro in ginocchio. Per scongiurare la
terza guerra mondiale c'è un'unica soluzione, un acceleratore di
particelle, ma usarlo rischia di fare uno strappo nel velo della
nostra realtà: facendo sì che, da un'altra dimensione, si rovescino
demoni e caos. A bordo, quando la Terra scompare dai radar,
misteriosi guasti, tradimenti, paradossi temporali e qualche morto
ammazzato; Bruhl, Oyelowo, O'Dowd, l'enigmatica Elizabeth Debicki e
l'ormai onnipresente Gugu Mbatha-Raw, mamma addolorata con la
tentazione e la paura di scoprirsi più felice in una dimensione
alternativa. Al nuovo Cloverfield fanno
male l'alto budget e, dopo i flop recenti di Life e
Covenant, la solita astronave
alla deriva con un equipaggio in preda all'ansia.
La mitologia, anziché complicarsi, viene liquidata in fretta,
assieme a uno spunto appena accennato e immediatamente riposto:
lasciandosi decifrare, sezionare, da fanatici della rete che tentano
invano di intrecciarne i fili, nonostante appaia oggettivamente un
inservibile e incandescente garbuglio a rischio di corto circuito.
Anche Onah, alla regia, perde la bussola. E il suo sci-fi, incerto e
rattoppato com'è, probabilmente risulterebbe brutto in qualsiasi
dimensione possibile. (4,5)
Si
incontrano raramente ma con puntualità, scoprendosi ogni volta invecchiati. Questa volta, in un pub fra tanti, fantasticano di concedersi una vacanza tutti insieme – Ibiza o Las Vegas, magari,
anche se non sono più giovanissimi. La sera stessa, una rapina
finita nel sangue sottrae loro un elemento fondamentale.
Rafe Spall, protagonista intenso e amico codardo,
ha assistito all'omicidio dell'ex compagno di scuola nascosto dietro
uno scaffale di vini. Commemorare il defunto, venire a patti con se
stessi, grazie a un viaggio – non più soltanto una fantasia fuori
tempo, un'innocua ipotesi alcolica, ma un modo per rendere grazie,
ricordare. C'è questo gruppo di inglesi di mezza età, insomma, che si mette alla prova con il trekking
sui monti fra la Svezia e la Norvegia. Terre di miti e leggende, di
paesaggi mozzafiato, che ispirano incubi – a occhi aperti e chiusi
– e una sentita elaborazione. Quel
viaggio fuori porta si rivela una pessima idea. Come pessima è l'idea di imboccare scorciatoie, se tagliano
in due una foresta popolata da misteri e presenze millenarie. Da
idilliaco, il luogo diventa presto spettrale: animali impalati ai
rami, simboli antichi, fantocci di paglia. Preoccupate
domande sui culti locali, discordie interne. A metà strada fra The
Blair Witch Project e The Wicker Man –
strada pericolosa in ogni caso, sì, ma qui in salsa indie –,
Il rituale è un
horror d'atmosfera piccolo e ben diretto dal promettente David
Bruckner, con scenari inesplorati, protagonisti che fan simpatia
perché lontanissimi dai classici adolescenti in vena di
trasgressione, un dramma umano alla base. Avremmo preferito, tuttavia, fare a
meno della computer grafica, per quanto usata con parsimonia. Non
sapere che faccia avessero la paura, il mostro, se il mistero di quel
vedo-non vedo bastava. Riuscito nella prima ora soprattutto,
quando fruscii e alterchi alimentano la suggestione, il film del
regista che piace a Flanagan e Del Torto potrebbe fare tanto
con poco. Rischia di rovinarsi nel mentre, volendo mostrare troppo.
(6)
Abbie
e Sam, eterni fidanzati, fanno coppia da quando sono bambini e, in
gita, lei morse lui davanti a un acquario: restano ancora la
cicatrici per i cinque punti di sutura, un amore sincero. Immaginarsi
in dolce attesa è la scusa perfetta per dirsi di sì. A crescerle
dentro è però qualcos'altro, qualcosa di brutto. Morire a
trent'anni per un tumore all'utero. E lasciarsi indietro un trentenne
tenero e impacciato che non sa cucinare il pollo, fare la lavatrice,
parlare con donne che non siano lei. Sono stati infatti l'uno la
prima volta dell'altra. Come andare oltre, se si può? Come
assicurarsi che Sam resti in compagnia, in buone mani? In L'unica
non si cerca una cura, il tempo
perduto, ma la donna che amerà Sam dopo di Abbie. Rifargli il
guardaroba, iscriverlo di nascosto a Tinder, chiamare le prescelte
per un colloquio. A rischio di sottovalutare la forza di lui, e di
allontanarsi. Di non goderselo fino all'ultimo, nutrendo in anticipo
rimpianti che confinano con l'ossessione. La lanciatissima Gugu
Mbatha-Raw, incantevole e sorridente, interpreta una malata terminale
che non apprezza i pietismi, l'uncinetto e la retorica dei gruppi
d'ascolto – anche se lì puoi incontrare Coogan, la McKinnon e un
esilarante Walken. Michiel Huisman, irriconoscibile perché
trasformato dall'adone svestito di Games of Thrones a
un goffo nerd che mi somiglia moltissimo, fra gli occhiali a fondo di
bottiglia e i calzini spaiati, non ha nessuna voglia di dimenticare
la sua lei finché gli sta accanto. Brillante commedia sentimentale,
l'esordio della Laing ha un appuntamento galante con la morte e un
futuro che non vedremo mai. Si sorride più del previsto. Si apprezza
una storia d'amore e perdita, la solita, ma che a sorpresa sa ridere
con leggerezza di se stessa. Non è 50 e 50, non
è Miss You Already. Nonostante
le belle facce dei protagonisti e il romanticismo diffuso, per
fortuna, non è neanche la copia di un Nicholas Sparks a caso. Ben
recitato, emozionante con discrezione, il film Netflix non rischia di
diventare il migliore del filone, ma il cuore – rinfrancato, preso
in giro come gli piace qualche volta – ringrazia
ugualmente. Come dicono le frasi fatte, non è mai troppo tardi.
Soprattutto, nell'Unica,
non è mai troppo presto. (6,5)
La
ragazza perfetta, un incontro indimenticabile a Halloween, e poi?
Adam DeVine, vittima della regola dell'amico, resta al suo posto:
spalla su cui piangere, confidente, compagno fraterno perdutamente
innamorato. Alexandra Daddario, spiritosa e con due occhi (ma sì,
chiamiamoli così) grandissimi, si sposa con un perfetto impiastro
tutto muscoli. Sabotare le nozze? Per fortuna si può fare di meglio,
se il soprannaturale, gli espedienti di Big, permettono al
protagonista di tornare a piacimento indietro nel tempo. Si possono
cambiare le cose? Si può creare il colpo di fulmine a tavolino?
Sbagliare, ricominciare, sbagliare ancora. Rifare. A volte vedersi
come l'amico di letto, altre il promesso sposo tradito, scoprisi e
riscoprirsi continuamente con occhi nuovi. Piacevole ma stancante a
lungo andare, diretto dal regista di quel mezzo gioiellino
adolescenziale che fu The Duff, la commedia di Ari Sandel è
una di quelle senza meriti né demeriti particolari. Nella norma,
tipicamente estiva. Purtroppo, vero grande difetto, arriva tardi alla festa. Giorni rivissuti daccapo prima con Before I Fall,
poi con Ricomincio da nudo, infine con Auguri per la tua morte, in un'annata – la scorsa – che deve avere molto amato
Bill Murray e avuto scarsissima fantasia. Se ci conoscessimo oggi. Se
lo avessi visto ieri. Sempre per scordarlo, poi, l'indomani. (5,5)
Anche a questo giro l'interesse è invertito: se le commediole romantiche potrebbero essere pane per i miei denti, mi confermi una certa mancanza di originalità che mi tiene a distanza, mi attira molto di più l'horror rituale. Dici che per la settimana horror estiva può cavarsela o c'è di meglio in giro?
RispondiEliminaQuanto a Cloverfield, da fan della saga mi aspettavo altro, da Doctor Who in poi le missioni nello spazio paiono sempre tutte uguali...
Il Rituale, per la settimana a tema, puoi metterlo tranquillamente in lista: ha i suoi difetti, ma merita.
EliminaE occhio a Huisman in versione nerd. L'ho visto ormai mesi fa, e ne conservo un buon ricordo.
Anch'io avrei preferito che The Ritual mostrasse meno, anche perché la prima parte funziona moolto più della seconda. Se non altro mi ha entusiasmata più dell'ultimo Blair Witch, ma non è che ci volesse molto.
RispondiEliminaPer il prossimo Metti una sera su Netflix tieni conto di Véronica e de I simili, sono davvero belli!
Già in lista, ti ringrazio! ;)
EliminaParadox è una stronzatona (mi si perdoni il francesismo) al cubo ma mi ha abbastanza divertito, ammetto e mi vergogno...Il Rituale funziona bene fino a una ventina di minuti dalla fine e la creatura avrebbe fatto meglio a starsene nascosta.Le commedie romantiche le ho baypassate non sono molto in vena ultimamente...
RispondiEliminaSe ritorni in vena, poi, dicci.
EliminaLa mia allergia per DeVine mi tiene lontanissima dal suo lavoro per Netflix nonostante sembri perfetto per una serata di svago completo. L'unica è salvato ne "La mia lista" e con Gugu Mbatha-Raw promette decisamente bene: sicuramente meglio delle ultime serie tra cui mi sono avventurata (vedi il deludentissimo Collateral). Incrocio le dita! :D
RispondiEliminaPasserò a leggerti, quando e se lo vedrai. ;)
EliminaLa saga di Cloverfield a me invece mi era piaciuta parecchio. Finora. Questo terzo capitolo l'ho abbandonato a metà. Solita storia ambientata su un'astronave... non ce l'ho proprio fatta ad arrivare alla fine.
RispondiEliminaIl rituale non mi ispira per niente. Altrove l'hanno esaltato quasi tutti. A me potrebbe lasciare piuttosto indifferente come te...
L'unica mi è sembrato un film poco unico. Caruccio e guardabile, ma tutt'altro che memorabile.
When We First Met, per quanto anch'esso ben poco originale, invece l'ho adorato. E' una scemata che mi ha fatto ridere come uno scemo. :)
Pensa che il peggio del peggio arriva proprio allora, alla fine...
EliminaSul Rituale saremmo d'accordo, e anche sull'Unica. Recupera, non ti dispiacerebbe affatto.
Ho riso anch'io, eh, DeVine mi sta molto simpatico, però che palle questo spunto. Netflix, per favore, basta. :)