martedì 5 luglio 2016

Recensione: La solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano

Erano uniti da un filo elastico e invisibile, sepolto sotto un mucchio di cose di poca importanza, un filo che poteva esistere soltanto fra due come loro: due che avevano riconosciuto la propria solitudine l'uno nell'altra.


Titolo: La solitudine dei numeri primi
Autore: Paolo Giordano
Editore: Mondadori
Numero di pagine: 304
Prezzo: € 14,00
Sinossi: Alice è una bambina obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci. È una mattina di nebbia fitta, lei non ha voglia, il latte della colazione le pesa sullo stomaco. Persa nella nebbia, staccata dai compagni, se la fa addosso. Umiliata, cerca di scendere, ma finisce fuori pista spezzandosi una gamba. Resta sola, incapace di muoversi, al fondo di un canale innevato, a domandarsi se i lupi ci sono anche in inverno. Mattia è un bambino molto intelligente, ma ha una gemella, Michela, ritardata. La presenza di Michela umilia Mattia di fronte ai suoi coetanei e per questo, la prima volta che un compagno di classe li invita entrambi alla sua festa, Mattia abbandona Michela nel parco, con la promessa che tornerà presto da lei. Questi due episodi iniziali, con le loro conseguenze irreversibili, saranno il marchio impresso a fuoco nelle vite di Alice e Mattia, adolescenti, giovani e infine adulti. Le loro esistenze si incroceranno, e si scopriranno strettamente uniti, eppure invincibilmente divisi. Come quei numeri speciali, che i matematici chiamano "primi gemelli": due numeri primi vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero. Un romanzo d'esordio che alterna momenti di durezza e spietata tensione a scene rarefatte e di trattenuta emozione, di sconsolata tenerezza e di tenace speranza.
                                             La recensione
Ricordo che, quando uscì, le mie compagne di liceo lo portavano stretto sotto il braccio, a ricreazione. Questo blog non c'era, ognuna ne aveva una copia e, ormai otto anni fa, non si faceva che parlarne. Ai romanzi di successo non ci stavo troppo appresso, però: figuriamoci agli esordi così premiati. Leggevo pochi italiani, mosso da quella presunzione degli adolescenti che, per partito preso, ritengono che americano sia bello, punto e basta, e il Premio Strega m'ispirava pesantezza infinita. Ecco, quello non è cambiato: la narrativa italiana, adesso, la leggo e la sostengo, però con lo Strega niente da fare: polemiche, prosa antiquata, tutti impegnatissimi. Quest'anno, però, sono tornato sui miei passi: prima con Acciaio, di Silvia Avallone, e poi con La solitudine dei numeri primi. Stessa fama, una trasposizione cinematografica ciascuno ma, nel caso di Paolo Giordano, il primato di essere stato il più giovane a stringerlo tra le mani, quel prezioso trofeo letterario di cui, eppure, generalmente poco m'interessa. Laureato in fisica, collagoratore in università, faceva il salto dal mondo accademico alla letteratura, e tutti – o quasi – ne erano conquistati. Il quasi, appunto, per le voci fuori dal coro: inevitabili, se il romanzo è un bestseller, lo scrittore è bollato come enfant prodige e la storia di Alice e Mattia, innamorati tristi, saltava di bocca in bocca, ingigantita o talora sminuita. Con imperdonabile ritardo, io che eppure per le tragedie umane ho un debole e che sento vicinissimi al mio sentire quei protagonisti “un po' così”, l'ho accolto in libreria e, in un giorno appena, portato a termine. Strano: lo immaginavo denso, intriso di cose, surreale, vagamente indigesto. Strano: nonostante il passaparola – e un film da cui, con la speranza di recuperare il romanzo, mi ero tenuto a distanza –, sapevo poco di una trama di cui è stato detto tanto, o forse tutto. Mi ha colpito prima per le immagini forti, la magrezza insana e i tagli sulle braccia, e poi per uno stile rapidissimo, quasi asettico, che spesso ammortizza gli urti e spesso brucia come sale in un graffio. 
Mi è piaciuto, all'inizio, e meno a metà. Pane per i miei denti, invece, una chiusa inevitabile, senza luce, in cui avrei preferito uno di quei rari sospiri di sollievo: per una volta, l'amante dei rapporti irrisolti e dei toni sospesi, avrebbe voluto, figuratevi, meno amarezza. Sin dal titolo, seppure nella sua impensata fruibilità, La solitudine dei numeri primi precisa la distanza incolmabile tra due figure doloranti, fragili, tribolate; sembra anticiparne il divario. Alice e Mattia sono coetanei, crescono nella stessa Torino senza connotati e, per un po', frequentano la stessa scuola. Lei zoppica, dopo un infortunio sugli sci e una notte piena di neve e lupi immaginari, e lo invita a una festa, spinta dall'ape regina della sua classe: Viola, però, punge davvero. Lui, colpevole nel profondo per la scomparsa della sorelle gemella, non si integra, parla per monosillabi e, con uno di quei monosillabi, le dice di sì: accetta il suo invito a una festa in cui, altrimenti, non vorrebbe andare. Più che piacersi, si fanno compagnia: sono complici. 
Entrambi nascondono un segreto. L'anoressia, l'autolesionismo: un modo come un altro per chiedere aiuto. Qualcosa li ha fatti riconoscere, qualcosa li farà separare: chiamasi vita, quell'ammasso caotico e imprevedibile di dottori premurosi, occasioni irrinunciabili, cartoline e jet lag, fisica e arte. Stando a Mattia, che ha l'intuito ma non la pazienza, loro sono come due numeri primi. E dispiace, allora, averla sempre ignorata, la matematica, perché c'è poesia in queste coppie di numeri gemelli che sono unici, ma non potranno mai essere vicini: giusto in mezzo, un insormontabile terzo incomodo. Ma si può essere felici, se lontani – ma di un passo appena? Giordano, con un linguaggio crudo e una filosofia presa in prestito da mondi a me sconosciuti, semplifica la matematica e complica i sentimenti: in trecento pagine, ai suoi protagonisti, fa tanto bene e tanto male. Il lettore, però, anche quello malinconico, avrebbe desiderato vederli meno sofferenti e, soprattutto, maggiormente in armonia. Sui due, la legge matematica, ineluttabile, fa carta straccia del libero arbitrio. E abbondano gli stomaci a digiuno, le ossa friabili, gli spigoli delle costole e dei gomiti, se la lettura vola, lo stile non affatica e il vuoto – nel cuore, nello stomaco: su una panchina in un parco – si fa strada, piano.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Tiromancino – Due destini

18 commenti:

  1. Storia complicata fra me e questo libro: raro regalo libresco Natalizio di un amico di famiglia che probabilmente non conosceva la letteratura per ragazzi (ancora non esistevano gli YA, altrimenti avrebbe potuto capitarmi After tra le mani, brr), letto troppo presto, nonostante la fascetta dello Strega m'intimidisse, per capire appieno i vari riferimenti a un mondo del quale anch'io sono grandemente ignorante.
    Probabilmente è da ritrovarsi in questo libro la scarsa affinità con i titoli da Premio, con le dovute eccezioni.
    Non ho recuperato nemmeno il film, che pure aveva suscitato grandi polemiche all'uscita, né altre opere di Giordano; insomma un no su tutta la linea che momento resta tale ma io finisco spesso col farmi intenerire dando una seconda chance e non escludo di riprovarci, prima o poi.

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    1. P.S. Bellissimo consiglio musicale, è tra le mie preferite.

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    2. I Tiromancino sono sempre un'ottima scelta, ti ringrazio!
      Sul romanzo: a me è piaciuto più che a te, ho intuito, ma forse quest'amico di famiglia te l'ha regalato quand'era troppo presto. Lettura semplice ed essenziale, per carità, ma già può risultare crudele a vent'anni e passa. Però Giordano mi piace, o così penso. Complice la Lettrice Rampante, ho prenotato l'ultimo - mi sfugge il titolo, uscito per la Einaudi - in biblioteca. ;)

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  2. L'ho letto anch'io, come le tue compagne di classe, otto anni fa. Pur non avendo aspettative altissime (nonostante il clamore) ricordo che non mi convinse a pieno: il dolore, la sofferenza, i traumi rimasero un po' così, sospesi tra il romanzo e me, senza colpirmi davvero.

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    1. Mi incuriosisce molto il film, che ha la colonna sonora dei Goblin e l'aria da film dell'orrore. Costanzo, già con l'ultimo, Hungry Hearts, mi era piaciuto parecchio.
      Poi c'è anche un Marinelli pre-Jeeg!

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  3. "Mi è piaciuto, all'inizio, e meno a metà. Pane per i miei denti, invece, una chiusa inevitabile, senza luce, in cui avrei preferito uno di quei rari sospiri di sollievo: per una volta, l'amante dei rapporti irrisolti e dei toni sospesi, avrebbe voluto, figuratevi, meno amarezza." Condivido al 100%. Io mi sono anche arrabbiato un po, come con "ti prendo e ti porto via" di Ammaniti, finale da crisi di nervi! Ciao

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    1. Ciao Claudio!
      Il finale di Ti prendo e ti porto via, un fulmine a ciel sereno, mi ha colto in contropiede ma mi è piaciuto moltissimo. Questo, sarà perché annunciato, lo avrei voluto con un briciolo di speranza in più. Nel film, nonostante i toni cupissimi, so che Alice e Mattia hanno una mezza chance...

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  4. L'ho detestato con tutto il cuore. Forse l'ho letto troppo da adulta per identificarmi con i personaggi, in particolare Viola, che mi sono parsi irrimediabilmente stereotipati. Il film l'ho lasciato perdere.

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    1. Io, invece, otto anni fa sono sicuro che lo avrei apprezzato di più. In effetti, molto adolescenziale la prima parte.
      Sul film ho belle sensazioni; ti dirò.

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  5. Non l'ho letto quando è stato pubblicato, ma ho recuperato qualche anno fa. E mi sono innamorata di questa storia. Peccato che l'autore non sia stato in grado di ripetersi con il secondo romanzo

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    1. Dicono che il terzo, però, sia il più maturo, nonostante le poche pagine... Vedremo. :)

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  6. Allergica anch'io al successo di massa di certi libri, me n'ero tenuta a distanza finchè mia mamma non lo ha "suggerito" come suo regalo per Natale. Rimasto in libreria per mesi, in un periodo non certo felice l'ho aperto, e divorato. Tutta quella malinconia, quella solitudine, paradossalmente mi ha fatto bene.

    E tu, quanto bene ne hai scritto :)?!

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    1. Ti ringrazio, Lisa! :)
      In realtà, sai bene che mi vanno a genio queste storie di coppie scoppiate e tipi con la tesa altrove, però Giordano, poveri Alice e Mattia, li aveva appesantiti già così tanto di dolori e traumi infanti che tifavo, in questo caso, per una nota positiva, nel finale. Sto impazzendo per recuperare il film, intanto...

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  7. Ciao Michele, tu ogni tanto, con le tue letture, mi riporti alla mia esperienza lavorativa in libreria. Letto appena pubblicato, direttamente il libreria nei momenti in cui nessuno aveva intenzione di comprare nulla e tutto il lavoro grosso era passato, ricordo che mi era piaciuto molto, per i protagonisti così sofferenti e secondo me veri, per l'epilogo non scontato, per la scrittura senza fronzoli. Lo consigliavo e lo consiglierei anche oggi, ma non a tutti.

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    1. Ciao Nunzia! Concordiamo quasi su tutta la linea, direi.
      Qualche anno fa, probabilmente, un finale così, però, mi avrebbe più dato da pensare.

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  8. Credo senza esagerare che sia uno dei libri più ammorbanti e brutti mai letti nella mia esistenza. E lo dico nonostante la prima parte della storia mi avesse interessata ed intrigata, poi quell'accozzaglia di personaggi molli e senza spina dorsale ha fiaccato il mio animo più di quanto credessi possibile. Se l'intento era deprimere, l'autore ci è riuscito benissimo però, quindi forse è un bel libro? o__O

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    1. Non l'ho trovato così catastrofico, sinceramente, ma ho letto tanti pareri simili al tuo.
      Anche in quei new adult di recente foggia, però, dove trombano e festeggiano, ci sono protagonisti altrettanto tribolati, vissuti similmente penosi... Giordano non mi è sembrato né più leggero né più pesante (ma senza gente che si consola con tipi tatuati e fanciulle fatali, ecco)

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  9. Letto anch'io appena pubblicato e anch'io in libreria tra un cliente e l'altro, come Nunzia (collega all'epoca ^-^). Allora mi piacque molto, anche se ricordo che il finale mi lasciò una sensazione di vuoto per giorni. Ad oggi l'epilogo mi appare molto più accettabile, quasi ineluttabile. A presto :*

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