Io, che patisco il sole e vorrei
l'inverno tutto l'anno, sottratto forse al sogno della cupissima
Londra vittoriana, in Penny Dreadful avevo trovato infinite
suggestioni, tanto fascino, troppa letteratura – mi ci ero
ritrovato, non so come. Otto episodi lunghi, lenti, introduttivi e un
prosieguo, invece, che mi era piaciuto, sì, ma senza entusiasmarmi:
la serie in costume Showtime guadagnava ritmo, puntate e sottotrame.
Non c'era il rischio che si perdesse e ci perdesse, soprattutto
quando lontana dalla presenza irresistibile della dama
in nero, Vanessa Ives? Con meno Eva Green di quanto sperassi, già
nella seconda stagione Penny Dreadful restava lo stesso Penny
Dreadful? Ci eravamo lasciati, la scorsa estate, con queste
precise domande e personaggi in viaggio, avventurosi, sparsi per il
mondo. Eccoci, in presenza degli stessi “ma”, di un po' di
malinconia e del più grande difetto: i giochi,
all'improvviso, finiscono qui. La cancellazione sorprende Vanessa e
gli altri nel bel mezzo di storyline quanto mai frastagliate e, negli
ultimi episodi, ci si affretta perciò a chiudere le imposte, a
tirare su i ponti levatoi del castello, a non lasciare nulla in
sospeso. Il deserto, però, non ha lo stesso appeal della piovosa
Inghilterra; e Hartnett, al solito, non ha il carisma necessario.
Victor Frankenstein, in accoppiata con un Jekyll che si stenta a
riconoscere, ricerca cavie per perfezionarsi. E per cercare di
guarire quella Lily che, nel frattempo, spadroneggia nei salotti di
Dorian Gray. Reeve Carney, messo in un angolo, conserva immutata la
sua bellezza efebica, la sua gioventù maledetta, ma la sua ospite
insorge – da prostituta abusata a raffinata presidente di un clan
di femministe assassine. La Creatura, invece, già poetica e piena di
bontà, ricorda qui il suo nome di battesimo e i suoi familiari: lo
accetteranno ancora?, si domanda.Vanessa, infine, cerca risposte:
rievoca il soggiorno forzato in una clinica psichiatrica e
l'abbandono di Ethan; prende parte a sedute d'ipnosi con la psicologa
impersonata da un'ottima Lupone; vive nuovi amori (un baldante
curatore) e nuovi orrori (il demone che la perseguita in tutte le sue
vite ha un nome, Dracula, e vuole renderla la sua infernale
consorte). C'è chi la considera folle; chi le dà della strega. E
chi, con un bacio, può liberare la sua natura sanguinaria e
miracolosa, e compiacersene: imbrigliata nei corsetti, rimpicciolita
dal giudizio altrui, indipendente a tutti i costi. Ci sono episodi
dispersivi a metà e, nella chiusa, che è però definitiva,
preoccupazione e sbrigatività. Per fortuna, non mancano i momenti da
brivido, che fanno di Penny Dreadful un prodotto d'alta
qualità e sconfinata classe – forse, visti i gusti del pubblico
generalista, anche troppo? I monologhi strazianti – la maestosa e
fragile Billie Piper, che si commuove ricordando la sua
esistenza precedente; Reeve Carney che, circondato
dalle sue tele, promette che aspetterà, aspetterà e aspetterà –
e un capolavoro d'episodio: il quarto. Eva Green e Rory Kinnear,
straordinari. Quando erano sono una povera ragazza matta e un
inserviente senza cicatrici. Un colloquio cuore a cuore, un trionfo
di poesia, in una camera con le pareti imbottite: tra amicizia,
seduzione e confessione. Lì, in cinquanta minuti appena, una
perfetta storia di senso compiuto, e due prove attoriali
indescrivili. Mai come quest'anno, una stagione di squisitezze,
bestialità e grandi personaggi femminili, capaci di toni
magniloquenti, gesti enfatici, significative orazioni. Magnifiche le
donne, tutte, in questa cornice sempre finemente intarsiata. I
difetti: gli uomini, non alla loro altezza, e gli episodi che li
vogliono protagonisti. Un andamento ondivago, poi, spezzettato, che
prevede trame più numerose e ambienti più vasti – dalla ghost
story si giunge, qui, al western – a discapito
dell'organicità e di una Green che tutto può. Da metà in poi,
però, si va in cerca di equilibrio. Anche se ci sono spinte, qualche
forzatura di troppo, per riunirli. Sparsi come sono ai quattro venti,
ma insieme – fortunatamente - per un gran finale che, nonostante tutto, soddisfa a modo suo. (7+)
Una
famiglia in vacanza: quadretto felice, estivo, se non fosse per una
figlia adolescente che, problematica e scontrosa, a volte rovina i
piani e, spesso, coi suoi musi lunghi e le risposte sarcastiche,
toglie loro la voglia di festeggiare. Se non fosse, soprattutto, per
la destinazione scelta: i Thorogood, canadesi, percorrono l’Australia
su ruote. Paese di dingo, deserti e ospiti scontrosi; terreno di
caccia indiscusso, se ami l’horror un po’ di nicchia, di Mick
Taylor. La camicia a quadri, il fucile imbracciato, il coltello negli
anfibi. Hobby: la caccia spietata agli yankee. Segni particolari:
aria sorniona e risata catarrosa, familiari per chi Wolf Creek lo
aveva visto e apprezzato. Ispirato a una storia realmente accaduta,
giunto in sala nell’inverno di dieci anni fa, aveva avuto un
secondo capitolo – di gran lunga superiore al primo: caso raro –
a sorpresa, con un ritardo notevole, ma che non si percepiva. A fare
da leitmotiv, un contesto misterioso, omicidi sanguinosissimi e,
talora, giochi alla Saw, pensati da un villain cult, che a me
ricordava per piglio e presenza scenica il leggendario Robert
Englund. Una miniserie in sei episodi, e poi con lo stesso
accattivante John Jaratt a bordo: che bell’idea. Perché, con un
killer così, con un attore così, c’era tanto da indagare, tanto
da capire, tanto da vedere. Dispiace sin dall’inizio, però, trovarlo molto poco in scena. La serie ha come protagonista indiscussa
la giovane Eve – diciannovenne scontrosa introdotta poco fa –
che, sopravvissuta alla strage della sua famiglia per mano di Mick,
si mette sulle sue tracce. Missione suicida, uno dice: ma la tensione
si diluisce troppo, in sei episodi, e il cattivo appare assente, o
comunque ammorbidito. In vista di un finale inglorioso, soprattutto,
che ne sottovaluta il potenziale. Grossomodo, questo nuovo Wolf
Creek risulta, e con grande dispiacere, il solito horror che
passa e va. Che si scorda e, nel mentre, si deride un po’. La
geografia non è il mio forte ma, a occhio e croce, l’Australia mi
sembra immensa: su questo palcoscenico sconfinato e polveroso, per
coincidenze inverosimili e svolte troppo accidentali,
s’incrociano sempre le stesse figure e ci si imbatte, rigorosamente
per caso, sempre in nuovi guai. Da una parte, la faida tra Eve e il
cattivo è elementare e prevedibilissima; dall’altra, negli
episodi, c’è un inutile affollamento di motociclisti, galeotti,
saggi sciamani e forzati dei ex machina. La trama è macchinosa, il
brodo allungato e, per quanto sia valida la nostra scream queen –
un incrocio tra Emilia Clarke e Shailene Woodley: una bellezza –
non c’è gara con questo mostro messo, non si sa come, alle corde.
In un angolo. Si lasciano apprezzare la fotografia impeccabile, la
fattura cinematografica ma, per gli sceneggiatori, solo insulti. Ho perso il conto delle coincidenze, infatti, e alzato gli
occhi al cielo per il tentativo pedestre, nel finale, di cercare di spiegare il
passato del cacciatore. Non resta che la terra bruciata, insomma,
dopo una conoscenza iniziata sotto i migliori (o, be', peggiori?) auspici. (5,5)
Io non ero riuscita a finire la prima stagione di Penny Dreadful, proprio non mi prendeva.
RispondiEliminaShame on you! :-P
Elimina(Purtroppo) siete in tanti, sai?
Ciao è la prima volta che commento, anche se ti seguo da un po'!
RispondiEliminaIo avevo iniziato Penny Dreadful, ma all'epoca ero in piena stesura della tesi e ho dovuto rinunciare a proseguire, richiedeva troppa attenzione. Ora che è conclusa, e mi pare di aver capito che abbia anche un finale sensato, la devo recuperare per forza!
Ciao!
EliminaSì, finale che chiude un cerchio come può e che, nonostante la fretta, soddisfa gli appassionati. Su Facebook, in questi giorni, sono pieno di amici che fanno le maratone; buona visione! :)
pennydreadful mi è piaciuta, grande atmosfera regia ed eva green... non ho patito il deserto ma ho patito le parentesi drammatiche del redivivo ( che non ricordo il nome )... l'altra ne avevo sentito parlare bene sono confuso cmq non era tra le mie visioni... :-)
RispondiEliminaUn po' da libro cuore le parentesi familiari del Mostro, sì, però l'attore è di una discrezione straordinaria; che bravo. Wolf Creek so che è piaciuto - all'affidabilissima Bolla, ad esempio - ma io, purtroppo, l'ho trovato scritto male male male. :)
EliminaCon Penny Dreadful mi sono fermato dopo la prima stagione, che tra l'altro mi era pure piaciuta. Vedrò di riprendere e il fatto che non l'abbiano tirata per le lunghe mi incoraggia.
RispondiEliminaSì, recupera. Ha, ancora una volta, grandi picchi.
EliminaE che Green!
Pensavo ti avrebbero entusiasmato di più...
RispondiEliminaIo le ho abbandonate entrambe per noia.
La protagonista di Wolf Creek ha del potenziale, anche se al momento non possiede ancora il fascino di Emilia o Shailene. Per il resto già al secondo episodio la serie mi ha stufato.
Dopo la delusione e la noia della prima stagione, Penny Dreadful ha saputo conquistarmi poco a poco, e anche con questo finale, ce l'ha fatta.
RispondiEliminaCerto, la parte americana è piuttosto inutile, alcune sottotrame vengono lasciate a metà (perchè introdurre Jeckyl?) ma Eva Green, dialoghi e monologhi pazzeschi e quel quarto episodio di un'intensità unica, spazzano via questi difetti.
Finale frettoloso e con pochissima Green, ma comunque conclusivo, mi mancheranno.
Ho quasi terminato Penny Dreadful e dopo alti e bassi sono contenta si sia conclusa. Vediamo questo atteso finale spettacolare ma purtroppo come serie non ha saputo entrarmi nel cuore..
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