venerdì 1 luglio 2016

I ♥ Telefilm: Penny Dreadful III | Wolf Creek

Io, che patisco il sole e vorrei l'inverno tutto l'anno, sottratto forse al sogno della cupissima Londra vittoriana, in Penny Dreadful avevo trovato infinite suggestioni, tanto fascino, troppa letteratura – mi ci ero ritrovato, non so come. Otto episodi lunghi, lenti, introduttivi e un prosieguo, invece, che mi era piaciuto, sì, ma senza entusiasmarmi: la serie in costume Showtime guadagnava ritmo, puntate e sottotrame. Non c'era il rischio che si perdesse e ci perdesse, soprattutto quando lontana dalla presenza irresistibile della dama in nero, Vanessa Ives? Con meno Eva Green di quanto sperassi, già nella seconda stagione Penny Dreadful restava lo stesso Penny Dreadful? Ci eravamo lasciati, la scorsa estate, con queste precise domande e personaggi in viaggio, avventurosi, sparsi per il mondo. Eccoci, in presenza degli stessi “ma”, di un po' di malinconia e del più grande difetto: i giochi, all'improvviso, finiscono qui. La cancellazione sorprende Vanessa e gli altri nel bel mezzo di storyline quanto mai frastagliate e, negli ultimi episodi, ci si affretta perciò a chiudere le imposte, a tirare su i ponti levatoi del castello, a non lasciare nulla in sospeso. Il deserto, però, non ha lo stesso appeal della piovosa Inghilterra; e Hartnett, al solito, non ha il carisma necessario. Victor Frankenstein, in accoppiata con un Jekyll che si stenta a riconoscere, ricerca cavie per perfezionarsi. E per cercare di guarire quella Lily che, nel frattempo, spadroneggia nei salotti di Dorian Gray. Reeve Carney, messo in un angolo, conserva immutata la sua bellezza efebica, la sua gioventù maledetta, ma la sua ospite insorge – da prostituta abusata a raffinata presidente di un clan di femministe assassine. La Creatura, invece, già poetica e piena di bontà, ricorda qui il suo nome di battesimo e i suoi familiari: lo accetteranno ancora?, si domanda.Vanessa, infine, cerca risposte: rievoca il soggiorno forzato in una clinica psichiatrica e  l'abbandono di Ethan; prende parte a sedute d'ipnosi con la psicologa impersonata da un'ottima Lupone; vive nuovi amori (un baldante curatore) e nuovi orrori (il demone che la perseguita in tutte le sue vite ha un nome, Dracula, e vuole renderla la sua infernale consorte). C'è chi la considera folle; chi le dà della strega. E chi, con un bacio, può liberare la sua natura sanguinaria e miracolosa, e compiacersene: imbrigliata nei corsetti, rimpicciolita dal giudizio altrui, indipendente a tutti i costi. Ci sono episodi dispersivi a metà e, nella chiusa, che è però definitiva, preoccupazione e sbrigatività. Per fortuna, non mancano i momenti da brivido, che fanno di Penny Dreadful un prodotto d'alta qualità e sconfinata classe – forse, visti i gusti del pubblico generalista, anche troppo? I monologhi strazianti – la maestosa e fragile Billie Piper, che si commuove ricordando la sua esistenza precedente; Reeve Carney che, circondato dalle sue tele, promette che aspetterà, aspetterà e aspetterà – e un capolavoro d'episodio: il quarto. Eva Green e Rory Kinnear, straordinari. Quando erano sono una povera ragazza matta e un inserviente senza cicatrici. Un colloquio cuore a cuore, un trionfo di poesia, in una camera con le pareti imbottite: tra amicizia, seduzione e confessione. Lì, in cinquanta minuti appena, una perfetta storia di senso compiuto, e due prove attoriali indescrivili. Mai come quest'anno, una stagione di squisitezze, bestialità e grandi personaggi femminili, capaci di toni magniloquenti, gesti enfatici, significative orazioni. Magnifiche le donne, tutte, in questa cornice sempre finemente intarsiata. I difetti: gli uomini, non alla loro altezza, e gli episodi che li vogliono protagonisti. Un andamento ondivago, poi, spezzettato, che prevede trame più numerose e ambienti più vasti – dalla ghost story si giunge, qui, al western – a discapito dell'organicità e di una Green che tutto può. Da metà in poi, però, si va in cerca di equilibrio. Anche se ci sono spinte, qualche forzatura di troppo, per riunirli. Sparsi come sono ai quattro venti, ma insieme – fortunatamente - per un gran finale che, nonostante tutto, soddisfa a modo suo. (7+)

Una famiglia in vacanza: quadretto felice, estivo, se non fosse per una figlia adolescente che, problematica e scontrosa, a volte rovina i piani e, spesso, coi suoi musi lunghi e le risposte sarcastiche, toglie loro la voglia di festeggiare. Se non fosse, soprattutto, per la destinazione scelta: i Thorogood, canadesi, percorrono l’Australia su ruote. Paese di dingo, deserti e ospiti scontrosi; terreno di caccia indiscusso, se ami l’horror un po’ di nicchia, di Mick Taylor. La camicia a quadri, il fucile imbracciato, il coltello negli anfibi. Hobby: la caccia spietata agli yankee. Segni particolari: aria sorniona e risata catarrosa, familiari per chi Wolf Creek lo aveva visto e apprezzato. Ispirato a una storia realmente accaduta, giunto in sala nell’inverno di dieci anni fa, aveva avuto un secondo capitolo – di gran lunga superiore al primo: caso raro – a sorpresa, con un ritardo notevole, ma che non si percepiva. A fare da leitmotiv, un contesto misterioso, omicidi sanguinosissimi e, talora, giochi alla Saw, pensati da un villain cult, che a me ricordava per piglio e presenza scenica il leggendario Robert Englund. Una miniserie in sei episodi, e poi con lo stesso accattivante John Jaratt a bordo: che bell’idea. Perché, con un killer così, con un attore così, c’era tanto da indagare, tanto da capire, tanto da vedere. Dispiace sin dall’inizio, però, trovarlo molto poco in scena. La serie ha come protagonista indiscussa la giovane Eve – diciannovenne scontrosa introdotta poco fa – che, sopravvissuta alla strage della sua famiglia per mano di Mick, si mette sulle sue tracce. Missione suicida, uno dice: ma la tensione si diluisce troppo, in sei episodi, e il cattivo appare assente, o comunque ammorbidito. In vista di un finale inglorioso, soprattutto, che ne sottovaluta il potenziale. Grossomodo, questo nuovo Wolf Creek risulta, e con grande dispiacere, il solito horror che passa e va. Che si scorda e, nel mentre, si deride un po’. La geografia non è il mio forte ma, a occhio e croce, l’Australia mi sembra immensa: su questo palcoscenico sconfinato e polveroso, per coincidenze inverosimili e svolte troppo accidentali, s’incrociano sempre le stesse figure e ci si imbatte, rigorosamente per caso, sempre in nuovi guai. Da una parte, la faida tra Eve e il cattivo è elementare e prevedibilissima; dall’altra,  negli episodi, c’è un inutile affollamento di motociclisti, galeotti, saggi sciamani e forzati dei ex machina. La trama è macchinosa, il brodo allungato e, per quanto sia valida la nostra scream queen – un incrocio tra Emilia Clarke e Shailene Woodley: una bellezza – non c’è gara con questo mostro messo, non si sa come, alle corde. In un angolo. Si lasciano apprezzare la fotografia impeccabile, la fattura cinematografica ma, per gli sceneggiatori, solo insulti. Ho perso il conto delle coincidenze, infatti, e alzato gli occhi al cielo per il tentativo pedestre, nel finale, di cercare di spiegare il passato del cacciatore. Non resta che la terra bruciata, insomma, dopo una conoscenza iniziata sotto i migliori (o, be', peggiori?) auspici. (5,5)

11 commenti:

  1. Io non ero riuscita a finire la prima stagione di Penny Dreadful, proprio non mi prendeva.

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    1. Shame on you! :-P
      (Purtroppo) siete in tanti, sai?

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  2. Ciao è la prima volta che commento, anche se ti seguo da un po'!
    Io avevo iniziato Penny Dreadful, ma all'epoca ero in piena stesura della tesi e ho dovuto rinunciare a proseguire, richiedeva troppa attenzione. Ora che è conclusa, e mi pare di aver capito che abbia anche un finale sensato, la devo recuperare per forza!

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    1. Ciao!
      Sì, finale che chiude un cerchio come può e che, nonostante la fretta, soddisfa gli appassionati. Su Facebook, in questi giorni, sono pieno di amici che fanno le maratone; buona visione! :)

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  3. pennydreadful mi è piaciuta, grande atmosfera regia ed eva green... non ho patito il deserto ma ho patito le parentesi drammatiche del redivivo ( che non ricordo il nome )... l'altra ne avevo sentito parlare bene sono confuso cmq non era tra le mie visioni... :-)

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    1. Un po' da libro cuore le parentesi familiari del Mostro, sì, però l'attore è di una discrezione straordinaria; che bravo. Wolf Creek so che è piaciuto - all'affidabilissima Bolla, ad esempio - ma io, purtroppo, l'ho trovato scritto male male male. :)

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  4. Con Penny Dreadful mi sono fermato dopo la prima stagione, che tra l'altro mi era pure piaciuta. Vedrò di riprendere e il fatto che non l'abbiano tirata per le lunghe mi incoraggia.

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    1. Sì, recupera. Ha, ancora una volta, grandi picchi.
      E che Green!

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  5. Pensavo ti avrebbero entusiasmato di più...
    Io le ho abbandonate entrambe per noia.

    La protagonista di Wolf Creek ha del potenziale, anche se al momento non possiede ancora il fascino di Emilia o Shailene. Per il resto già al secondo episodio la serie mi ha stufato.

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  6. Dopo la delusione e la noia della prima stagione, Penny Dreadful ha saputo conquistarmi poco a poco, e anche con questo finale, ce l'ha fatta.
    Certo, la parte americana è piuttosto inutile, alcune sottotrame vengono lasciate a metà (perchè introdurre Jeckyl?) ma Eva Green, dialoghi e monologhi pazzeschi e quel quarto episodio di un'intensità unica, spazzano via questi difetti.
    Finale frettoloso e con pochissima Green, ma comunque conclusivo, mi mancheranno.

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  7. Ho quasi terminato Penny Dreadful e dopo alti e bassi sono contenta si sia conclusa. Vediamo questo atteso finale spettacolare ma purtroppo come serie non ha saputo entrarmi nel cuore..

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