[1977]
Dei classici del nostro cinema non parlo. Da una parte,
perché mi vergogno ad ammettere l'imperdonabile ritardo dei miei
recuperi; dall'altra, perché non so come scriverne. Certe scoperte,
quindi, sono gioielli che tengo solo e soltanto per me. All'indomani
della scomparsa di Ettore Scola, però, e del recupero del suo Una
giornata particolare, mi sono accorto che in tanti non l'hanno
mai visto: spaventati, forse, come me, da tutto ciò che è datato e
degno di fama. Faccio un'eccezione, allora, in nome di un tale
capolavoro di delicatezza e semplicità. Il giorno da rimarcare a cui
il titolo allude è quello in cui Hitler stringe la mano a Mussolini: l'Italietta tutta
festeggia, inconsapevole della guerra a un passo. I condomini si
svuotano, e a casa restano le donne: angeli del focolare senza
indipendenza, che mettono al mondo bambini su bambini per avere diritto al
premio delle famiglie numerose. Le donne, e i dissidenti. Antonietta
ha sei figli, un destino segnato e un marito traditore che le
promette un settimo bambino: le dice che si chiamerà Adolfo, in
onore di Hitler. Gabriele, suo dirimpettaio, è stato bandito dagli
studi Eiar, perché – sovversivo e omosessuale – è colpevole per
ben due volte. Lei segue il volo del suo pappagallo, che brama la
libertà; lui chiama un amico – un amante? - lontano, esiliato in
Sardegna, e sa che quella sarà la sua triste sorte. Un Mastroianni
discreto, elegantissimo, aspetta il destino facendo le valigie e il
caffè. Una Loren dimessa, matura, mai tanto bella e di sicuro mai
tanto grande, s'innamora di lui. Con la radio e i cinegiornali a fare
da indiscreta colonna sonora, due personaggi solitari e romantici
vivono la loro personale guerra: un conflitto che hanno in testa. Di
quelli misteriosi, che non fanno rumore: vittime, però, sì.
Ballano, si confessano i loro dolori, si baciano tra le lenzuola
appese in terrazza: si ingannano, tra nichilismo e sogno. Dal loro
impalpabile idillio, a tratti sottilmente erotico, viene fuori un
manifesto di dolcezza e disincanto a cui, banalmente, devono tanto i "miei" boy meets girl indie, intimi e parlatissimi.
Lui le dice che può riscattarsi dalla propria ignoranza, che merita
un amore alla sua altezza ma che, purtroppo, non può essere lui;
lei, inconsciamente, starà ad ascoltare, e imparerà dal suo
pappagallo, Rosamunda, l'attitudine alla libertà. Eccole, le parole,
e vengono da sé, senza timori reverenziali e incertezze, come se la
storia di queste due solitudini che s'incontrano, un giorno e basta,
fosse una di quelle che io amo tanto. Il progenitore, quasi, di Prima
dell'alba o Once. O, ancora, di quelle relazioni
alla I ponti di Madison County che sono parentesi
dai minuti contanti: brevi, eppure felici. (8)
[2012]
Guido, classicista doc, si esprime come un libro
stampato e ostenta, fiero, le sue origini toscane. Da umanista, inutile dirlo, possiede infinite nozioni, ha una
cultura e un cuore grandi e sbarca il lunario con un lavoro precario che non rispecchia le sue volontà.
Ammazza il tempo leggendo e esaudendo i capricci degli ospiti, torna
a casa in autobus e sveglia con la colazione a letto e un bacio la
sua lei: impiegata di giorno e cantante di notte, la
cadenza meridionale e un passato di sregolatezza. Conviventi da sei
anni, Guido e Antonia vogliono un figlio che non arriva. Fanno
l'amore, al mattino, e si danno il cambio. Si rincontrano per cena;
si amano davvero. Ma se questo benedetto bambino non volesse
arrivare, con il sesso che è diventato un dovere, i vicini coatti
che al contrario loro si moltiplicano, le fragilità che si fanno
manifeste e le famiglie che premono con
domande indiscrete? Cosa succede a un sentimento in vitro, a un bene
programmato, a una passione che deve rispettare la tabella di marcia?
Succede che, se si è guidati dal Virzì che mancava all'appello,
quello più indie e più vero, forse il mio preferito, si sorride e
ci si commuove, in compagnia di due personaggi adorabili, canzoni
emozionanti, sentimenti da maneggiare, e dosare, con cura. Tutti
i santi giorni, a sorpresa, è una bellissima commedia nostrana,
che bellissima lo era ancora prima che il nostro cinema conoscesse
una nuova giovinezza: ha un'ora e trenta che vola, una coppia a cui
ho voluto molto bene e il solo difetto di averlo rivalutato a quattro
anni di distanza. Quando Luca Marinelli, ormai premiato e conteso, è
già notoriamente ottimo; quando la sexy Thony, cantante dal piglio londinese e
protagonista di un esordio che più spontaneo non si può, era una
giovane sconosciuta su cui avrei puntato. Paolo Virzì piace e mi piace:
sempre in pole position ai David, fa film che posso soltanto definire
“nostri”. Questo, sottovalutato, è senz'altro il più mio.
Romcom singolare, alternativamente romantica, che sembra rifarsi al modello delle
produzioni americane di un certo tipo – 500 Giorni
insieme, Begin Again – e, allo stesso tempo,
fragile e piena di colori, con accenti del nord e accenti del sud,
passati dimenticati e futuri in forse, somiglia solo a se stessa.
Ripeto, accadeva quattro anni fa: quando il cinema indie non lo
conoscevo e sarei stato stranito, ma contento nello scoprirlo girato
da un livornese, ambientato nella Capitale, interpretato da un romano
che si finge alla perfezione settentrionale e da una “cantantessa”
che, con la chitarra in braccio, perde magicamente la parlata sicula
e appare, come le giura Guido al primo appuntamento, bella come non mai. (7,5)
[2010]
Recuperi: a otto anni dal romanzo, a sei dal film. In un caso come
nell’altro, dalla Solitudine dei numeri primi mi aspettavo pesantezza e
sprazzi onirici, tanta inquietudine esistenziale e nessun sollievo.
La prosa essenziale di Giordano, il suo piglio chirurgico, lenivano
la sofferenza e davano un taglio al carico di dolori di Alice e
Mattia: a quattordici anni, più suscettibile, mi sarei fatto
coinvolgere di più – addolorare, perfino, dall’incomunicabilità
tra loro due. D’altra parte, al cinema, c’è la lettura tra le
righe secondo Saverio Costanzo: e lui, regista sperimentale, di
nicchia, già apprezzatissimo con il suo ultimo Hungry Hearts,
non mi avrebbe coinvolto, da adolescente. Il bestseller
vincitore di un Premio Strega sulla bocca di tutti racconta la storia di due anime malinconiche fatte l’una
per l’altra o, forse, per nessuno in particolare: condannate alla
solitudine, s’incontrano e si scontrano per vent’anni.
Inevitabilmente, si perdono. Da lontano, somigliano quasi ai
protagonisti di quelle vicende di gente testarda e sentimenti
duraturi alla One Day, ma sono più doloranti e, tra sé e sé,
propensi all’abbandono. Cos’è infatti La solitudine dei
numeri primi se non una storia d’amore – e, parafrasando
Marquez, altri demoni? In libreria, lo scrittore torinese usava il
linguaggio della matematica, per raccontartela e non farla suonare
uguale a mille altre; la trasposizione cinematografica, invece,
approccia il mèlo come fosse un ipnotico e asfissiante horror.
Quando il cinema italiano era in coma, Costanzo prendeva un caso editoriale, una manciata di
attori promettenti e suggestioni kitsch a piene mani: dall’altra
parte, però, trovava più di qualche perplessità. Oggi, invece, nel
classico confronto libro-film, il dramma di Costanzo, con le sue
punte visionarie e la colonna sonora agghiacciante, mi ha
positivamente impressionato e, fino alla fine, coinvolto.
Esteticamente impeccabile, stranisce nei suoi momenti bui – gli
angusti corridoi di Shining, le aguzzine di Carrie, i
clown poco raccomandabili di It: insomma, tutto il King che
c’è – e fa sospirare quando Marinelli e la Rohrwacher, perfetti,
si guardano in quel modo lì. Il montaggio disordinato
conferisce mistero alle loro infanzie – cos’è successo sulla
neve, cosa nel parco? – e la forma, incontenibile, a volte vorrebbe
prevalere sul contenuto. La trasposizione osa guizzi degni di nota, e
inquieta e ipnotizza meglio e di più: le gelosie di Viola, simili a
quelle di un’amante dimenticata; la magrezza insana di lei e i
tagli di lui; il simbolismo che, all’improvviso, avvolge un parco
comunale e una pista da sci. I Goblin si curano del commento
musicale, e si è in allerta e a occhi sbarrati, e le sequenze
slegate sono Lego da ricomporre. Alice e Mattia, nonostante ci siano
mostrati bambini, adolescenti e adulti, si conoscono molto
superficialmente, però, perché troppo tra le nuvole, troppo a modo
loro, e il loro timido legame non sta al passo con tracce che
s’impennano, in cuffia, e registi coraggiosi. Glielo si perdona,
tuttavia, per un epilogo che i lettori ricorderanno diverso ma che,
più lieto, li lascia in bilico, con tutto il tempo del mondo per
rimediare agli sbagli e al silenzio. La speranza è
sempre una buona idea, e in matematica, in amore, ci sono eccezioni. (7)
[2012]
Jesse, trentacinque anni e l'instancabile utopia che vivere di
cultura si può, torna nel campus che l'ha visto matricola in occasione del pensionamento del suo
mentore. In una festa un po' tristanzuola e in passeggiate
rinvigorenti, tra studenti e studentesse di altre generazioni,
conosce l'adorabile e colta Zibby: tanta fretta di perdere la
verginità, crescere, varcare la soglia del mondo dei grandi. Come
spiegarle che, sul finire della gioventù, il bicchiere del proverbio
sembra sempre mezzo vuoto? Come raggirare quei quindici anni di
differenza, che li aprono ai confronti e li irrigidiscono davanti
alla prospettiva del rapporto fisico? Cercano le risposte a
passeggio e diventano protagonisti di una fitta
corrispondenza, se lontani. Sproloquiano di Infinite Jest e
dei romanzi sui vampiri; si domandano se leggere libri brutti, e
uscire con le persone sbagliate, sia tempo sprecato, o puro
disimpegno. Crescono, nel mentre, anche se lui dovrebbe essere più
adulto e saggio di lei, ed è finito il tempo di dormire sulle corone
d'alloro. Tutt'intorno, il rinnovo generazionale sembra ignorare
loro: un docente che non si rassegna all'inattività; una prof che
commenta gli autori romantici e, al contrario, è il trionfo del
disamore; un giovane autodistruttivo che insegue miti sbagliati; un
hippy con la faccia di un simpaticissimo Zac Efron che compare sulle
panchine, a distribuire perle di saggezza e sorsi da una fiaschetta
assai sospetta. Liberal Arts, visto a conclusione di una
giornata no, è una di quelle commedie indie, logorroiche e
alternativamente romantiche che, da queste parti, troveranno sempre
la più calorosa delle accoglienze. Perché retti su bei dialoghi e
belle coppie – la splendida Elizabeth Olsen e un Josh Radnor,
qui attore e regista, che mi somiglia un po' – e, questa volta,
ambientati in campus universitari che non sono meno stimolanti delle
città d'arte a cui, con un Linklater, siamo abituati. Questione
d'orgoglio personale, anche, parlandosi all'infinito di libri
(librerie, libraie e dintorni), soprattutto se stimolati da un'accesa
passione per humanae litterae che un giorno ci renderanno
malinconici, barbuti e disoccupati, sì, ma inclini alla poesia.
Quant'è bella la scena in cui, con l'opera lirica in cuffia, si
cancellano i rumori della modernità e New York
appare diversa? Quanto frena, però, non sollevare
il naso dai libri, studiare il “carpe diem” ma non applicarlo
alla lettera? A tratti, ci sono i sorrisi, la riflessione, l'aforisma
da appuntarsi. E, ovunque, all'incirca, ci sono anch'io. (7)
Liberal Arts è pronto per la visione, perfetto com'è per queste serate alle ricerca della romcom giusta, un po' come lo è Tutti i santi giorni, quanto l'ho amato!
RispondiEliminaSu Una giornata particolare abbiamo già parlato, e prima o poi devo decidermi a riempire lacune così fondamentali.
Infine, il mio dogma "se hai amato il libro, non guardare il film" non mi permette di vedere la trasposizione di Costanzo, senza troppi rimpianti anche.
E invece, secondo me, Costanzo piacerebbe anche a te, adesso. Al tempo dell'uscita, forse, più no che sì.
EliminaTi dirò: ho preferito il film. Più inquietudine, anche più tristezza, ma un mezzo lieto fine (ma mezzo mezzo), che concilia. :)
Di questi film ho visto soltanto quello di Scola quando uscì nelle sale,tanti anni fa.
RispondiEliminaUn film bello ma di una tristezza quasi insopportabile.
Virzì mi piace,venire cercherò di recuperare questo film.
Sugli altri passo.
Fammi sapere su Virzì, per me originalissimo e diverso dai suoi soliti - e anche i suoi soliti, va be', sono ottimi.
EliminaTutti i santi giorni è l'unico film di Virzì che non mi è piaciuto e anche La solitudine dei numeri primi l'avevo abbastanza detestato...
RispondiEliminaIl mio primo impatto con Luca Marinelli quindi non è stato molto positivo. :)
Una giornata particolare colpevolmente mi manca. Chissà se prima o poi farò come te e lo recupererò con ancor più ritardo? ;)
Di Liberal Arts credo sia la prima volta che ne sento parlare. Potrebbe piacermi...
Ma come, Virzì è adorabile. Avrai visto il film sbagliato: mi pare chiaro! Recupera gli altri (anche Scola, che è datato, ma assolutamente non si vede). ;)
EliminaMa perché non continuare a parlare anche dei classici? Non te la sei mica cavata male, anzi hai catturato lo spirito di un film che ritengo bellissimo e mahistralmente interpretato. Di riflesso si sente parlare anche della mia dimenticata terra, allora ancora più distante e luogo dove confinare prigionieri.
RispondiEliminaMi intrigano anche gli altri film che hai cosigliato. ;)
Oh, ti ringrazio, e sono felicissimo di parlarne con qualcuno che l'ha già visto. :)
EliminaHo amato la coppia che tutti i santi giorni fa l'amore al mattino e aspetta un bambino che non arriva; Guidopedia e la tenerezza da spezzare perfino un cuore cinico; l'accento acuto del mio sud nelle parole di Antonia e la sua instancabile determinazione. Un Virzì che, concordo, sfida i suoi record e ne esce vincitore. Ti dirò, mi era piaciuto molto anche in quel Capitale che, se non sbaglio, tu non avevi particolarmente amato. Mi aveva catturata già da Tutta la vita davanti e La prima cosa bella, ma Ovosodo è stato il mio primo amore. Di Giordano ho visto il film, solo quello e, forse, è stato meglio così: sono passati un po' di anni ma ne ricordo ancora tutte le sensazioni. Per il resto, perché no? Concordo nel dire che riesci a parlare anche di classici e anch'io, come te, riesco ogni tanto a recuperarne qualcuno tra un esame e l'altro. Una giornata particolare, fortunatamente, è stato recuperato tra infiniti altri.
RispondiEliminaTi ringrazio per i commenti di oggi, Otiumentis: mi dai sempre nuovi spunti :)
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