L'odio
mi mette in ginocchio, l'amore mi fa alzare in piedi.
Autore:
Andre Agassi
Editore:
Einaudi
Numero
di pagine: 502
Prezzo:
€ 14,00
Sinossi:
Costretto
ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico
ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi
cresce con un sentimento fortissimo: l'odio smisurato per il tennis.
Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza
di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una
pulsione verso l'autodistruzione e la ricerca della perfezione che si
svolgerà la sua incredibile carriera sportiva. Con i capelli
ossigenati, l'orecchino e una tenuta più da musicista punk che da
tennista, Agassi ha sconvolto l'austero mondo del tennis,
raggiungendo una serie di successi mai vista prima.
La recensione
Lo
sport non m'interessa. Mi tengo in forma con il mio
passo veloce, limitando gli spostamenti
in auto e affrontando la routine sempre di fretta. Sono pigro e poco
portato. Trovo sempre di meglio da fare: leggere, ad esempio. E in
televisione, tranne in periodo di Mondiali, sempre di meglio da
guardare: anche quelli, però, li seguo più per dovere che per patriottismo. Sono un orecchiante del calcio, lo sport nazionale, quindi
immaginate quanto poco ne sappia di tennis: le regole base,
la rivalità tra Federer e Nadal, i gemiti equivoci delle
Williams quando sono in un'altra stanza e ridendo mi domando cosa
stia andando in onda, nel frattempo, su Studio Sport. Andre Agassi è
un nome sentito non ricordo dove in tempi recenti. All'epoca di
questa autobiografia apprezzatissima, non soltanto dai sostenitori
del campione, con l'inequivocabile impronta di un autore
premio Pulitzer – il tennista si confessa senza filtri, ma a
prenderne nota è lo straordinario J.R. Moehringer, debitamente
ringraziato in chiusura. Mi dicevano tante cose, ma ci è voluto l'incentivo del solito Libraccio. Il
momento migliore per vincere la mia ritrosia. Open
come il quarto torneo
del Grande Slam. Open come
cuore aperto, messo su una bilancia: succeda quel che succeda. Si
parte dall'ultima sfida prima dell'abbandono, nell'estate del 2006.
Se il tennis è la vita, infatti, il ritiro a cosa somiglia?
L'incipit gioca sporco. Il campione ci confessa
fuori dai denti che il tennis l'ha odiato con tutte le sue forze sin
dall'infanzia. A trentasei anni, a un passo dal pensionamento, si
accorge però di non poterne fare a meno. Senza sarebbe
perso. Questo Agassi si muove come un vecchio: è un relitto umano, è
tutto un dolore. Di notte scivola sul pavimento per raddrizzare le
vertebre, e lì trova pace. Lo tengono insieme la famiglia,
l'adrenalina, il cortisone in circolo.
Il tennis è guerra di logoramento, uno sport solitario. Dagli spogliatoi agli spalti, passando per un sottopasso che nei giorni peggiori sembra interminabile, il narratore vede scorrere davanti a sé tutti i momenti – e tutte le preziose comparse – della sua vita al massimo. Un'infanza di sacrifici e privazioni a Las Vegas, condivisa con un padre iraniano a cui deve il successo e i complessi di inferiorità. Un imprinting obbligatorio, forzato, che l'ha presto messo faccia a faccia con il “drago” – un marchingegno sputapalle, assemblato nel cortile dietro casa – e con l'impossibilità di scegliere strade alternative all'oro. Il trasferimento presso una rigorosa accademia in Florida e, da lì, i primi trionfi in giovane età. Agassi cresce sul campo. Combattutto tra flirt dati in pasto ai rotocalchi e grandi amori – il galante corteggiamento via fax alla Shields e le scenate di gelosia sul set di Friends, il ben più fortunato matrimonio con la collega Steffi Graf –, essere e apparire. L'enfant terrible dal look punk è un Sansone irrequieto, in crisi di identità. Gioca in jeans e, cosa assurda, senza mutande. Mangia e beve troppo, e la metanfetamina lo tenta per qualche tempo. Si tinge i capelli, li taglia alla mohicana e, prima di gettare maschere e parrucche, nasconde la stempiatura con un toupè che gli dà da penare.
In Open, abbandonato il machismo che ci si aspetterebbe, appare come un atleta che ha più da perdere che da guadagnare. Lo si capisce da quel primo piano che non lascia scampo. Le rughe, il pizzetto ingrigito, la calvizie tanto vituperata. Gli occhi umidi, soprattutto, di un uomo dolce, vulnerabile e profondamente buono. Il solitario che degli altri aveva un bisogno matto e disperato. Il ribelle filantropo, diplomatosi per grazia di Dio, che sceglie di investire nell'istruzione. Il campione che il tennis, le medaglie, le detestava. Leggere di lui è stato come viaggiare accanto a una persona che non vedrai mai più in vita tua. Il fatto di essere sconosciuti favorisce l'onestà. Andre Agassi era per me una faccia nota a malapena, con un borsone di palestra sulle ginocchia e una storia lunga vent'anni da snocciolare. Attacca bottone, un po' per noia e un po' per necessità, e tu non sei propriamente l'interlocutore ideale. Ti danno fastidio gli estranei amichevoli sui mezzi pubblici. Se tutti ti credono a torto un grande ascoltatore, in realtà, è perché parli poco di tuo. Figuriamoci se ti si siede accanto uno che del contatto fisico, del dialogo, ha sempre avuto un bisogno viscerale. Figuriamoci se è uno sportivo di cui non hai quasi sentito parlare e, per presunzione, ritieni ignorante e strapagata l'intera categoria. All'inizio ti domandi: ma quando si arriva, ma quando scendo da qui sopra. Non presti ascolto, ma poi ti ci appassioni. Ogni tanto ti perdi - nelle meticolose dinamiche di match che capisci nelle linee generali, nella conta delle sconfitte colossali e delle rimonte clamorose -, ma ti ritrovi commosso dagli squarci di vita vissuta che ti lascia cogliere. Tu non sei tipo da tennis. Da abbracci, probabilmente, meno ancora. Ma prima di scendere ricambi la stretta di Andre, ci metti tutto il calore e la forza che possiedi. Ringrazi per l'onestà spassionata, non dovuta.
E dici tra te e te: che storia, che partita, che vita.
Il tennis è guerra di logoramento, uno sport solitario. Dagli spogliatoi agli spalti, passando per un sottopasso che nei giorni peggiori sembra interminabile, il narratore vede scorrere davanti a sé tutti i momenti – e tutte le preziose comparse – della sua vita al massimo. Un'infanza di sacrifici e privazioni a Las Vegas, condivisa con un padre iraniano a cui deve il successo e i complessi di inferiorità. Un imprinting obbligatorio, forzato, che l'ha presto messo faccia a faccia con il “drago” – un marchingegno sputapalle, assemblato nel cortile dietro casa – e con l'impossibilità di scegliere strade alternative all'oro. Il trasferimento presso una rigorosa accademia in Florida e, da lì, i primi trionfi in giovane età. Agassi cresce sul campo. Combattutto tra flirt dati in pasto ai rotocalchi e grandi amori – il galante corteggiamento via fax alla Shields e le scenate di gelosia sul set di Friends, il ben più fortunato matrimonio con la collega Steffi Graf –, essere e apparire. L'enfant terrible dal look punk è un Sansone irrequieto, in crisi di identità. Gioca in jeans e, cosa assurda, senza mutande. Mangia e beve troppo, e la metanfetamina lo tenta per qualche tempo. Si tinge i capelli, li taglia alla mohicana e, prima di gettare maschere e parrucche, nasconde la stempiatura con un toupè che gli dà da penare.
In Open, abbandonato il machismo che ci si aspetterebbe, appare come un atleta che ha più da perdere che da guadagnare. Lo si capisce da quel primo piano che non lascia scampo. Le rughe, il pizzetto ingrigito, la calvizie tanto vituperata. Gli occhi umidi, soprattutto, di un uomo dolce, vulnerabile e profondamente buono. Il solitario che degli altri aveva un bisogno matto e disperato. Il ribelle filantropo, diplomatosi per grazia di Dio, che sceglie di investire nell'istruzione. Il campione che il tennis, le medaglie, le detestava. Leggere di lui è stato come viaggiare accanto a una persona che non vedrai mai più in vita tua. Il fatto di essere sconosciuti favorisce l'onestà. Andre Agassi era per me una faccia nota a malapena, con un borsone di palestra sulle ginocchia e una storia lunga vent'anni da snocciolare. Attacca bottone, un po' per noia e un po' per necessità, e tu non sei propriamente l'interlocutore ideale. Ti danno fastidio gli estranei amichevoli sui mezzi pubblici. Se tutti ti credono a torto un grande ascoltatore, in realtà, è perché parli poco di tuo. Figuriamoci se ti si siede accanto uno che del contatto fisico, del dialogo, ha sempre avuto un bisogno viscerale. Figuriamoci se è uno sportivo di cui non hai quasi sentito parlare e, per presunzione, ritieni ignorante e strapagata l'intera categoria. All'inizio ti domandi: ma quando si arriva, ma quando scendo da qui sopra. Non presti ascolto, ma poi ti ci appassioni. Ogni tanto ti perdi - nelle meticolose dinamiche di match che capisci nelle linee generali, nella conta delle sconfitte colossali e delle rimonte clamorose -, ma ti ritrovi commosso dagli squarci di vita vissuta che ti lascia cogliere. Tu non sei tipo da tennis. Da abbracci, probabilmente, meno ancora. Ma prima di scendere ricambi la stretta di Andre, ci metti tutto il calore e la forza che possiedi. Ringrazi per l'onestà spassionata, non dovuta.
E dici tra te e te: che storia, che partita, che vita.
Il
mio voto: ★★★★½
Il
mio consiglio musicale: Imagine Dragons – Believer
Questo libro mi sono ripromessa di leggerlo prima o poi :D
RispondiEliminaSembra uno di quelli capaci di mettere d'accordo tutti tutti, ma proprio tutti! Ancora ricordo con affetto una giornata in libreria a Bologna, un paio di anni fa, con Bianca e Monica che, vedendolo sugli scaffali, ne parlavano con tanta nostalgia e si ricordavano a vicenda di alcuni degli aneddoti raccontati! Mi hanno incuriosita un sacco :P come ha fatto anche la tua recensione da anti-sportivo!
Ah e Mik, fattelo dire, beato tu che ti mantieni in forma col passo veloce Y-Y
Ahahahah, immagino, mi sarei sentito anch'io un pesce fuor d'acqua. Io, davvero davvero, di tennis non so niente. Mai visto Agassi, se non sulla copertina - okay che non è della nostra generazione, quindi siamo in parte giustificati. Ma è una scoperta e, tra una pagina e l'altra, gli si vuole molto bene. Leggere per credere. :)
EliminaPs. Continuerò a non fare sport e a ignorare il tennis in tivù.
Ahhaahah LOL io invece a tennis ci gioco da un paio d'anni e ho anche visto qualche match *o* adoravo Murray ancora prima che facesse successone di recente (l'ho amabilmente soprannominato il deperito perché è così magro che mi dà sempre l'impressione di avere fame) :D e va be' mi piace un sacco particolarmente anche Federer! Diciamo che un minimo di cultura tennistica ce l'ho, ma nemmeno io Agassi lo avevo mai sentito nominare prima di quel giorno in libreria :P ma come hai detto anche tu, non è della nostra generazione, siamo giustificati!
EliminaPer il libro sono proprio curiosa comunque :D
Questa biografia gira da anni nelle liste di parenti più affezionati al tennis, di cui mai capirò le regole o il punteggio. Di leggerla, avrei una gran voglia, anche perchè mi confermi che non serve essere sportivi per apprezzarla, ché il passo veloce o i cani da portar fuori sono gli unici movimenti che mi concedo fuori dal divano ;)
RispondiEliminaIo mi porto a spasso da me, ma solo perché il divano mi annoia ultimamente. Non c'è niente di interessante da seguire, l'estate sembra arrivata in anticipo, perciò meglio passeggiare finché non si muore di caldo. Ah, ho preso Libertà su Ebay!
EliminaTornando a Open: scommetto che ti piacerebbe molto. Ci sono aneddotti buffissimi - anche sul cameo della discordia di Brooke Shields in Friends, che onestamente non ho presente - e, che lo abbia scritto lui oppure no, invidio tanto il coraggio di mettersi così a nudo. Con, appunto, tutto da perdere.
Anch'io non sono granché interessato allo sport in generale, né in particolare al tennis.
RispondiEliminaQuesto tuo parere particolarmente positivo quindi mi mette una notevole curiosità. Potrebbe piacere pure a me, chissà...
Penso di sì, Marco.
EliminaE' davvero la (auto)biografia che, da uno sportivo, non ti aspetteresti. Me l'hanno detto per anni e anni, ma non ci credevo.
Non sono amante di tutto ciò che ha a che fare con sport e sportivi. anche se in generale leggo volentieri le biografie, soprattutto di personaggi storici.
RispondiEliminaMa questo libro mi ha colpito tantissimo e mi ha fatto conosce un grande uomo e un grande campione!
agassi e moehringer son riusciti a farmi leggere le parti relative agli incontri di tennis,cosa che mai avrei pensato :-D
Stessa cosa, Angela!
EliminaSpiegare il tennis ai profani, e renderlo interessante, non è cosa da tutti. :)
Bellissima recensione per una delle biografie che, da lettore ed appassionato di racconti "di cuore", ho amato di più.
RispondiEliminaSe ci metti, poi, che pur non essendo un fan accanito di tennis Agassi era il mio preferito ai tempi, il gioco è fatto.
Ti ringrazio, Ford! ;)
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