venerdì 28 aprile 2017

Recensione: Le cose che abbiamo perso nel fuoco, di Mariana Enriquez

Sono gli uomini a fare i roghi, piccola. Ci hanno sempre bruciato. Ora ci bruciamo da sole. Non per morire, ma per mostrare le nostre cicatrici.

Titolo: Le cose che abbiamo perso nel fuoco
Autrice: Mariana Enriquez
Editore: Marsilio – Farfalle
Numero di pagine: 208
Prezzo: 16, 50
Sinossi: Piccoli capolavori di realismo macabro che mescolano amore e sofferenza, superstizione e apatia, compassione e rimpianto, le storie di Mariana Enriquez prendono forma in una Buenos Aires nerissima e crudele, vengono direttamente dalle cronache dei suoi ghetti e dei quartieri equivoci. Sono storie che emozionano e feriscono, conducendo il lettore in uno scenario all’apparenza familiare che si rivela popolato da creature inquietanti. Vicini che osservano a distanza, gente che sparisce, bambini assassini, donne che s’immolano per protesta. Quello di Mariana Enriquez è un mondo dove la realtà accoglie le componenti più bizzarre e indecifrabili della natura umana, e dove il mistero e la violenza convivono con la poesia. Sullo sfondo di un’Argentina oscura e infestata dai fantasmi, con la sua brillante mescolanza di horror, suspense e ironia, Le cose che abbiamo perso nel fuoco ha fatto di Mariana Enriquez la risposta contemporanea a Edgar Allan Poe e Julio Cortázar, la voce più interessante della nuova letteratura sudamericana. Una voce intensa e diretta, che racconta di personaggi brutali e talvolta buffi trascinando il lettore in una spirale fascinosa e disturbante, cui è difficile resistere.
                                                  La recensione
Mi vengono in mentre The Babadook, A Girl Walks Home Alone at Night, Under the Shadow. Tre film del circuito indipendente, di donne o sulle donne, a riprova di come l'horror contemporaneo abbia smesso di essere un genere declinato soltanto al maschile. Si affermano registe e scrittrici di talento. Prendono piede storie dallo sguardo profondo, femminile, che portano l'orrore a un livello diverso. Fatta eccezione per la bellissima opera prima di Jennifer Kent, australiana che scandagliava i demoni della perdita, non ho trovato le parole per parlarvi delle vampire in bianco e nero venute dall'Iran o dei soffitti sbrindellati a Teheran. Mi sono piaciuti, ma qualcosa sfuggiva. Una simbologia sconosciuta, un contesto lontano, la politica tra le righe.
Spostandoci dal Medio Oriente a Buenos Aires, potrei dire lo stesso della raccolta di Mariana Enriquez. Le cose che abbiamo perso nel fuoco prende il titolo dall'ultimo di dodici racconti brevi e brevissimi – a mio dire, il migliore. Troviamo, in ordine sparso, mendicanti ridotti a carne da macello; case abbandonate; le spaventose allucinazioni indotte dalle droghe, dalla stanchezza di un neonato che non smette di frignare, da un licenziamento che ci ha lasciato gli psicofarmaci al posto della buona uscita; gli amici che si barricano in casa e dicono addio al mondo, le amiche che si perdono e le conoscenze superficiali che ci traviano; i segreti dell'acqua stagnante e di fiamme che divampano da sé, per opporsi a alla caccia alle streghe. Con parole di fuoco la Enriquez descrive gli altarini ai bordi delle strade, le chiese profanate, gli orfani cresciuti nella deformità. 
C'è un sole rosso in cielo. Nella raccolta, ville decadenti e mercati coperti, fantasmi vendicativi e divinità pagane. Le cose che abbiamo perso nel fuoco è crudele, altero, nero. Fastidiosissimo, con immagini scabrose e dettagliate, ma mai insostenibile. Sarà che ha una prosa che affascina intimamente. E i mostri marini di Lovecraft, e i bambini curiosi del primo King, e la psicologia di Allan Poe. Si beve tutto d'un fiato, con il rischio che possa strozzarti – spaccato autentico di un Paese amorale, che ha vissuto più dittature che giorni di pace. Restano i teschi ornati di lucine, le donne sfregiate con l'acido, militari dal pugno di ferro che molestano le cameriere nell'indifferenza generale. Alcuni episodi sono miratissimi, di altri ho fatto fatica a capire il messaggio. Ho sussultato e mi sono detto sì, e allora? Qual è il prosieguo? Qual era il punto, ché forse mi sono distratto un attimo? A volte, come nei film citati, manca la chiave di lettura; altre, invece, la si intuisce a colpo d'occhio. La curiosità non viene appagata in quei racconti che finiscono coi punti di sospensione e una pagina bianca. Allora non restano che la suggestione e l'inquietudine della sirena Enriquez – una che denuncia, divide, terrorizza. E, del fuoco delle pire della sua Argentina, la bellezza sinistra delle cicatrici.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Johnny Cash – Ring of Fire 


3 commenti:

  1. Mi sembra una lettura troppo angosciante e pesante per l'estate che arriva...
    The Babadook, A Girl Walks Home Alone at Night, Under the Shadow poi sono film che pure io ho apprezzato solo in parte, anche se il preferito tra i tre nel mio caso è l'ultimo.

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    1. Sì, decisamente angosciante.
      Under The Shadow mi è piaciuto con il senno di poi, ma lì per lì l'ho trovato troppo sonnacchioso. Capisco che non è il classico horror, che dietro c'è dell'altro, ma non sono abbastanza sensibile per i fantasmi col burqa. Voglio quelli vecchio stile, col lenzuolo bucato. :-P

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  2. Mi sta piacendo! La fatidica domanda "è allora? adesso che succede?" me la faccio spesso anch'io, ma forse sono poco avvezza ai racconti, si vede che la fase dei "perché?" non l'ho ancora superata xD

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