mercoledì 6 novembre 2019

Recensione: Un altro candore, di Giacomo Verri

Un altro candore, di Giacomo Verri. Nutrimenti, € 18, pp. 255 |

Lo scorso aprile mi sono laureato con una tesi su Beppe Fenoglio, scrittore dalla vita breve riscoperto dai filologi italiani del secondo Novecento. Di un autore famoso soprattutto per il successo tardivo di Una questione privata e per un carattere ai limiti della misantropia ho scelto di indagare aspetti meno conosciuti: l’educazione scolastica e sentimentale,  per mostrarlo eccezionalmente irrequieto alle prese con lo sport, le prime cotte non corrisposte, l’imprinting verso la letteratura anglosassone; la sparuta produzione drammaturgica – punto d’arrivo e d’approdo della sua sfortunata carriera –, inscindibile dai capolavori della prosa. Storie d’amore e Resistenza struggenti, inscenate sullo sfondo nebbioso delle Langhe, le opere di Fenoglio mostravano il conflitto armato da una doppia prospettiva: quella dei partigiani e quella dei civili, concentrandosi sugli strascichi della violenza e sull’intimità della dimensione quotidiana.
Un altro candore ha fatto sua la lezione dell’autore partigiano, nonché il desiderio condiviso di mediare tra narrativa italiana e americana nel solco della short story. Giacomo Verri, classe 1978, conosce a menadito la tematica – il suo romanzo d’esordio s’intitola proprio Partigiano inverno – e in esergo cita un passaggio di Tom Drury, di cui ho letto La fine dei vandalismi senza la spinta necessaria per recuperare, però, i restanti capitoli della trilogia.

Non sapeva parlarmi d’amore se non dicendomi cose grandi e infelici. Così avevo paura che innamorarsi significasse diventare tristi.
Ambientato in un paese del Nord, sotto un monte che ricorda un panettone, Un altro candore è uno spaccato sommesso della provincia italiana. Persone perbene, occupazioni umili, episodi giustapposti di rapporti di lavoro e matrimoni, famiglie felici e famiglie infelici. Generazioni lontane. Come sono cambiati gli abitanti di Giava in cinquant’anni? Alla ricerca di gradi di parentela e legami, il lettore ha tre personaggi per orientarsi: Claudio, Franco e Cristina. Inseparabili ai tempi della guerra, costituivano un triangolo destinato a sfaldarsi. I due uomini si amavano in segreto, infatti, e la ragazza era a sua volta innamorata di uno dei due: l’impossibilità dei loro sentimenti amareggia e commuove, soprattutto all’indomani della Liberazione. Il venticinque aprile segna la dispersione dei tre, che coltivano a distanza i loro rimpianti. In amore si stava meglio quando si stava peggio? 
Il romanzo prende avvio negli anni Novanta e si dirama in lunghi flashback, per me non sempre necessari. L’anziano Claudio ha represso la sua sessualità, ha sposato Dora, e i coniugi si fanno reciproca compagnia guardando I segreti di Twin Peaks sul divano. E c’è un segreto anche tra di loro – l’ombra dell'amato Franco, tornato in mente in periodo di bilanci – con cui venire finalmente a patti dopo quarant’anni di matrimonio. 
Mentre Cristina sceglieva invece la via della prostituzione, dopo il sogno infranto di una carriera al cinema, qualcun altro ne seguiva per tutto il tempo le mosse da lontano: Sebastiano – appena un bambino all’epoca dei fatti, con le mani tuttavia già macchiate del sangue dei fascisti – è cresciuto nell’adorazione della sfrontata partigiana, al punto da mandare a monte ogni relazione in nome del colpo di fulmine.

Non ti annoierai, signor Benetti, disse lei scherzando. Io ci sono ancora e tu non scapperai.  Mi vuoi bene. E lui, chissà, sarà sposato o vedovo o solo. Parlerete, racconterete delle cose. Tutto qui. Sarà come rinfrescarsi la memoria, riabbracciare un vecchio amico. Alla nostra età l’amore assomiglia troppo all’affetto. Se tu ne hai provato e ne provi ancora per lui, o per il ricordo che hai di lui, dimostraglielo. Non farai del male a nessuno.
Presentato a torto come la storia di un amore omosessuale, Un altro candore trova un’inattesa dimensione corale mentre si passa dal color seppia della guerra mondiale ai colori degli anni Novanta, con il rischio che in una struttura accorata ma un po’ confusionaria si perdano di vista i personaggi che, da sinossi, stavano più a cuore. 
Perfino la Resistenza – i ripari di fortuna, il freddo, le fughe, le liti con il comandante Vladimir – appare una breve parentesi in mezzo a pagine in cui si mescolano discorsi diretti liberi, descrizioni paesaggistiche, nomi all’inizio difficili da identificare. 
Partito sotto i migliori auspici, con uno spunto toccante e una scrittura ricercata, il bravo Verri finisce a volte per perdere di vista il punto della situazione, confondendo le acque con sottotrame poco fondamentali ai fini del romanzo – quella del giovane Marco, ad esempio, manovale di Claudio innamorato della figlia di Cristina – e un epilogo che potrebbe lasciare delusi gli amanti dei finali netti. Abbondano i figuranti, i gradi di parentela, le cose non dette; i frammenti sparsi di un puzzle che, soprattutto a una lettura distratta, potrebbero fare fatica a incastrarsi. Ma i toni sono per fortuna di quelli bellissimi, da ballata country, e non tutte le letture diverse dal previsto vengono per nuocere.
Sospeso nei «forse» e nei «se», Un altro candore lascia in dubbio le sorti degli abitanti di Giava: nel bene e nel male, esseri umani così palpabili, così veri, che andranno avanti anche senza di noi. A libro terminato.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale:  Motta – Verranno a chiederti del nostro amore

10 commenti:

  1. Ciao.
    È un po' che lo occhieggio, ma i romanzi con i partigiani e la guerra mi lasciano sempre un po' dubbiosa...
    Trovo questa tua recensione strepitosa.
    Verri resterà x me una spina nel fianco... ma ora dopo averti letto, mi si avvicina molto.
    Grazie Michele. E una buona giornata 🤗

    RispondiElimina
  2. Devo dire che se non fosse stato per te non credo avrei mai saputo dell'esistenza di questo romanzo ☺️☺️ sembra interessante, nonostante le premesse. Sarà una eventuale lettura ☺️☺️

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Felice di averti incuriosita. Anch'io, non ce ne voglia Giacomo, non ne ero attirato, ma la passione dell'addetta stampa mi ha convinto. Viva le letture fuori porto.

      Elimina
  3. Salve Marylou! Perché una spina nel fianco?

    RispondiElimina
  4. Salve Giacomo...
    Perchè La seguo da un po' tramite i Suoi invii 1/2 email.
    Lei parla di cose che a me ricordano troppo la scuola, con argomenti obbligati.
    E avere Verri, Fenoglio, Calvino, Vittorini... che ti si appressano, è pesante, soprattutto se non hai una preparazione adeguata.
    Epperò... la tentazione è sempre lì pronta a pugnalare a tradimento.
    Sicché ora che anche Michele è tentatore, raccontando la Sua opera con le parole che ha usato...
    Magari non subito, ma presto, "nonostante le premesse", come ha dichiarato anche l'altra lettrice.
    Buona serata

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Oddio, cara Marylou, non voglio diventare un mostro :) Questo Candore dovrebbe essere molto più abbordabile dei grandissimi a cui vengo - senza averne le qualità - accostato!

      Elimina
  5. Sinceramente mi hai fatto venire voglia di leggere più la tua tesi di laurea, che non questo libro.
    Era un effetto voluto? ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahahahah, non so, ma ne sono onorato in ogni caso!

      Elimina