Avevo
sedici anni, John Green era il migliore autore dell’universo ed ero
perdutamente innamorato di Alaska Young. Una che accumula libri usati
come fossero gioielli. Una che beve, fuma, impreca. Una che la dà a
tutti ma non si concede mai a nessuno. Uno di quei personaggi che a
una certa età, insomma, segnano l’immaginario: dieci anni dopo non l’ho scordata. Anche se nel frattempo John Green ha scritto
altro, superando il successo del suo esordio indie. Anche se non
sempre l’ho apprezzato, in salute o in malattia. Ho scoperto una
cosa: che la cotta per Alaska è rimasta incorrotta anche sul piccolo
schermo. Oggetto di una miniserie Hulu senza una distribuzione
italiana, il romanzo di formazione ambientato agli inizi del Duemila
funziona alla perfezione anche a episodi con i suoi primi baci, primi
strusciamenti, primi dolori. Purtroppo passata sotto silenzio, la
trasposizione – un gioiellino di scrittura e recitazione – si è
rivelata un impensato terremoto emotivo, capace dal nulla di riaprire
vecchie ferite: a volte erano i segni dei dardi di Cupido, infatti,
altre traumi insuperati. Pur senza meriti stilistici,
Looking for Alaska conquista subito grazie a un’irriverente anima da
canaglia, ma con il procedere della
visione si rivela infine struggente. Quanti prodotti per ragazzi
hanno il coraggio di mettere in scena l’assoluta centralità del
dolore? Quanti sanno trattarlo senza l’intromissione del
politicamente corretto, ma affrontandolo ora da una prospettiva
religiosa, ora da una filosofica? Tutti all’inseguimento di un
Grande Forse, i protagonisti fanno a gara di sbronze e sensi di colpa
– e se sceneggia il veterano Josh Schwartz, piccole e
grandi aggiunte daranno profondità anche ai comprimari: tralasciando
un Charlie Plummer non all’altezza del ruolo di protagonista,
gli applausi sono per Denny Love (uno straordinario Colonnello),
Sofia Vassilieva (la dolcissima Lara), Ron Cephas Jones (il professor
Hyde, qui con un amore omosessuale che emoziona). Tra grasse
risate e pianti torrenziali, ho ricordato perché all’epoca ne
avessi consigliato la lettura in lungo e in largo. E come mai alla
protagonista del mio romanzo, più tardi, avrei dato i tratti dello
sfuggente sogno erotico di Miles, qui interpretata da Kristine
Froseth: bella come Margot Robbie, e per di più già bravissima,
farà strada marciando su nuovi cuori infranti mentre il deejay passa
Fix You. Lo spettatore, proprio come la matricola
protagonista, la osserva e la venera, spaventato da un inquietante
conto alla rovescia che avanza. Alaska Young resterà sempre il
mistero della mia gioventù. E il giallo dei suoi spericolati anni
alla Cobain, tutt’ora, sfavilla fino a farmi lacrimare. (8)
Lo
abbiamo visto sia con The Handmaid’s Tale, sia con Big Little Lies. Pessima idea cavalcare l’onda del successo, se
significa superare a piè pari l’intento originario dell’autore.
Entrambe tratte da bestseller, le due serie TV
hanno guadagnato stagioni aggiunte e perso infinita credibilità.
Quando un romanzo viene annacquato per allungare il proverbiale
brodo, infatti, difficile confidare in buoni risultati. Il
pregiudizio è toccato anche alla seconda stagione di The End of
the F***ing World: ispirata a un fumetto destinato a chiudersi
con una scioccante tragedia finale, la fuga dei due sociopatici più
amati di Netflix poteva forse avere un degno prosieguo? Al di sopra
delle aspettative – pensati senza grandi forzature, ma
assolutamente pretestuosi nello svolgimento – i nuovi otto episodi
risultano sì superflui, ma hanno il merito di non
snaturare la personalità dei personaggi e di allinearsi allo stile della prima stagione. I trascorsi
di Alyssa e James, infatti, li hanno resi più buoni, più umani, più
cresciuti. Purtroppo, anche meno spassosi. Lei,
vestita di bianco, è una sposa in fuga il giorno delle nozze. Lui,
impettito dentro un brutto abito elegante, porta un’urna
sottobraccio di cui non svelerò il contenuto. Bravissimi e subito
iconici, Jessica Barden e Alex Lawther sono diventati
tutt’uno con i loro ruoli: tanto algida lei quanto adorabile lui,
costituiscono una coppia tenera e mal assortita come poche. Per
questo gli si vuol bene. Soprattutto in una stagione a corto di
svolte, che gira in tondo e poi torna sui luoghi della prima, retta soltanto dall’innegabile alchimia del duo. Insieme,
così, superano le incertezze e le lungaggini di una scrittura che
vorrebbe stare al passo ma non può: non abbastanza caustica, non
abbastanza memorabile. Brava altrettanto, qui, è colei che vorrebbe
farli scoppiare: pazza d’amore, Naomi Ackie viaggia
sul sedile posteriore e semina pallottole con incise promesse di morte. Poteva andare meglio. Poteva andare peggio. La
decorosa via di mezzo accontenterà comunque i fan, sempre attratti
dalla ricercata colonna sonora rètro, dalla regia hipster e dalla
promessa di uno spasimatissimo lieto fine. Quest’ultimo non
scontenterà nessuno, giuro. Neanche chi, vagamente deluso, non vorrà
perdonare alla serie di non essere stata di nuovo la fine del mondo. (7)
Devo dire che io invece non amo proprio per niente John Green, ma non nascondo che mi piacerebbe vedere Looking for Alaska ☺️☺️
RispondiEliminaIl romanzo lo hai letto? Penso che lo troverei ottimo anche da adulto.
EliminaOk, mi hai convinto: a questa Alaska darò una chance. La credevo più adolescenziale, meno curata, ma nonostante i titoloni che ho in lista prima della fine dell'anno gli troverò posto!
RispondiEliminaAlyssa e James potevano lasciarci lo scorso anno senza troppi problemi. Storia non all'altezza delle aspettative e ruoli che gli stanno stretti. Un bel ritrovarsi, ma così forzato da non avere lo stesso impatto.
Alaska oggettivamente è molto televisiva, non a caso gli sceneggiatori sono quelli di The OC e Gossip Girl, ma per chi tiene più alla sostanza che alla forma, per chi vuole affezionarsi a dei personaggi delineati benissimo, è una grande emozione.
EliminaAlaska va conosciuta.
Alaska me l'hai venduta, spero di riuscire a ritagliargli un po' di spazio al momento occupato da altre serie, sulla seconda sono d'accordo con te, la serie si è rammollita e quindi sono contento che sia arrivata subito al traguardo, ma empaticamente mi ha preso e sono contento di quel finale.
RispondiEliminaLa pensiamo uguale su tutta la linea, insomma. A questo punto spero che amerai anche tu Alaska, anche a scoppio ritardato.
EliminaLooking for Alaska è probabilmente ancora oggi il mio romanzo preferito di John Green - ma non nego di avere un debole anche per Paper Towns.
RispondiEliminaLa trasposizione non l'ho ancora vista, ma rimedierò - ricordo ancora passaggi interi di quel libro e la mia gatta si chiama Alaska proprio a causa del personaggio creato da Green.
Anche a me piace molto Città di carta, che di questo è un po' la controparte più lieta, no?
EliminaComunque Alaska è un nome bellissimo, io ci chiamerei pure una figlia. :)
Il primo non l'ho visto, sul secondo siamo molto d'accordo: il terzo personaggio ha aiutato molto tra l'altro. I racconti dell'ancella metaforizza al meglio quanto premetti: la seconda stagione già calava notevolmente, con la terza sono rimasta ferma a metà e non mi riesce proprio di continuare a vederlo perché davvero ho cominciato a trovarlo irritante. Un po' meglio con Big Little Lies, la cui seconda stagione è sicuramente inferiore alla prima, ma che secondo me ha retto abbastanza bene la botta.
RispondiEliminaTi consiglio vivamente il recupero della serie Hulu, troppo sottovalutata.
EliminaBonnie piacevolissima sorpresa, e a questa seconda stagione si vuole comunque più bene che all'Ancella (che noia) o a Big Little Lies (grande cast, ma per me non parla letteralmente di niente).
Ma Looking for Alska l'avevano annunciata ieri, quando è uscita?!
RispondiEliminaScherzi a parte, un'altra serie nella lista infinita di serie da recuperare. Come minimo la vedrà tra sei anni XD
Il 18 ottobre. E nessuno lo sapeva. :(
EliminaOk forse è arrivato veramente il momento di recuperare qualche lettura di John Green :-)
RispondiEliminaSe pensi che il buon proposito resterà tale, rimedia con la miniserie. Fedelissima. ;)
EliminaLooking for Alaska, già sai, l'ho amata anche io. D'altra parte, come non farlo?
RispondiEliminaNonostante io sia cresciuto nella generazione del post-Kurt Cobain, anche nel punto di domanda rappresentato da questa Alaska Young mi sono ritrovato decisamente. Sia su carta che in tv.
La seconda stagione di The End of the F###ing World invece l'ho del tutto detestata. Inutile come poche e con personaggi che da semplicemente apatici si sono trasformati in semplicemente fastidiosi.
Nonostante la breve durata, qua e là è riuscita persino ad annoiarmi.
Per me è meglio pensare che questa stagione non sia mai esistita e ricordare solo quanto di buono mostrato dalla prima. :)
Alaska è così bella che mette d'accordo generazioni vicine e lontane. ;)
Elimina