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La terra dei figli, Gipi. Coconino Press. Fandango Editore, € 10, pp.
288 |
La
fine del mondo ha confini precisi. È cosa da metropoli americana, da
deserto del Nevada. In Italia nemmeno l'apocalisse si prende la briga
di fare tappa: il Vaticano, corsia preferenziale dell'Altissimo, ci
guarda le spalle; le ristrettezze economiche e politicanti senza
voglia di guerreggiare ci proteggono dalle armi batteriologiche,
dalle alleanze sbagliate, da meteore inghiottite in un sol boccone
dalle buche del manto stradale. Ma in un futuro post-apocalittico già
alle porte, a giudicare dai connotati familiari della
tragedia, è successo: noi, abitanti frustrati e rancorosi della
contraddittoria Terra dei Cachi, ci siamo estinti in massa. O quasi.
La
penisola è diventata una palude stagnante di acque fetide e
velenose. In nome della miseria ci si contende la pelliccia di un
cane ucciso a bastonate, pannocchie e carote come fossero beni di
lusso. Il cannibalismo è un tabù ormai sfatato, le rare donne fan gola
agli adepti di un Dio crudele, leggi inequivocabili regolano nel
dettaglio la routine delle comunità superstiti. I protagonisti
sono i membri di una famiglia di soli uomini: un padre severissimo,
che ha educato la propria prole all'atarassia, e i
suoi due figli. Fratelli opposti quanto il giorno e la notte – il
primogenito un po' matto, l'altro una roccia che osa urlare la
propria commozione soltanto sott'acqua –, con una mamma morta di
parto e un prima difficile da immaginare. Le case avevano il
riscaldamento centralizzato, il frigorifero pieno, animali domestici
accoccolati sui tappeti: possibile, si domandano increduli?
C'era
una volta un padre che voleva proteggere i figli. Renderli forti in
ogni modo possibile. Anche facendosi odiare.
Un
po' Hansel e Gretel, un po' eroi di un racconto pulp di Niccolò Ammaniti,
gli invincibili protagonisti devono cavarsela da soli quando viene meno la loro guida: quel genitore dal cuore segretamente fragile, che si
confessava spesso in un diario e condivideva qualche notte d'amore
con una donna ai margini ribattezzata la Strega. In che modo scoprire
i misteri di quel taccuino chiazzato di lacrime – illeggibile per
via dell'analfabetismo e dell'usura – se imparare a leggere non è
mai stato necessario? Cosa farsene di una terra derelitta che, sin dal titolo, spetta a bambini affamati di verità? Per venirne a
capo non basta inforcare un paio di occhiali rubati, persuadere il
prossimo con le cattive, torchiare un innocente fino ad annegarlo. È
questo infatti il motore di un viaggio che li porterà prima nella
fattoria di un'amorevole coppia di gemelli deformi, poi nelle grinfie
di una setta religiosa alla The Wicker Man: l'ossessione
divorante verso quel lascito da decifrare, che per tutto il tempo
simboleggia l'interiorità di un padre chiuso a riccio e la
cultura da salvaguardare. Fatto di picchi di umorismo beffardo, fughe
rocambolesche e comprimari impeccabili, La terra dei figli ha
una lingua che nello stile sovversivo di Patrick Ness mescola il
dialetto toscano all'inglese informatico; un immaginario super pop –
gli antagonisti, pensate, indossano T-Shirt degli Eagles o dei
Nirvana –; un milione di modi in cui uccidere o farsi uccidere,
sperimentare il brivido della vendetta o la quiete della pietà.
«Tu
da quanto tempo non ti fidi di qualcuno?»
«Da
un po', per questo sono ancora viva.»
I
silenzi contemplativi abbondano, al pari delle brutture sanguinarie e
della spossatezza fisica. E all'orizzonte si delinea uno scenario
acquitrinoso che non ha bisogno di effetti speciali, fuoco e fiamme, per inquietare nel profondo: la luna, nel cielo notturno, sembra la
bocca di un pozzo. Si lavora allora sui dettagli psicologici, sulle
linee frastagliate dei volti e delle ossa: si lavora a togliere. Si
imparano ad apprezzare pagina per pagina il clamore dei bianchi, il
graffio rabbioso dei neri, le perle racchiuse in baloon compilati a
mano libera. Si parla, sì, di graphic novel: eccezione alla regola
resa possibile dai prezzi vantaggiosi della Biblioteca della
Repubblica e dalla fama straordinaria di un artista arrivato perfino
al premio Strega. Come recensire Gipi, in questo periodo anche in sala con il suo secondo lungometraggio, io che eppure non ho mai scritto di
fumetti prima d'ora? Impressionato dalla potenza espressiva della
lettura, dalle suggestioni di un autore con la lettera maiuscola, non
mi sono posto affatto il problema. Ho scritto così come mi è venuto, a
gomito, di una scoperta bellissima e di un futuro post-apocalittico
già alle porte. Quello in cui la speranza è custodita nelle carezze
e nelle domande apprensive delle donne; nell'incertezza del guado.
Quello in cui poter ammettere con l'emozione in gola che la mia
prima volta con la nona arte – e con Gipi no, non sarà l'ultima:
in edicola ho preso a scatola chiusa già i volumi successivi – non
la scorderò mai.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: The National - About Today
Tentatissima anch'io dalle uscite in edicola, non frequentandola me n'ero dimenticata. Spero in un super recupero che, io che Gipi l'ho conosciuto per caso in sala, mi ci sono trovata davvero bene.
RispondiEliminaTi piacerà anche in questa veste, scommetto. 😉
EliminaNon ho mai letto nulla di questo autore, e sono sempre più tentata.
RispondiEliminaVa' a colpo sicuro!
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