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Così crudele è la fine, di Mirko Zilahy. Longanesi, € 18,60,
pp. 418 |
Se
ogni romanzo è un viaggio, una trilogia è una vacanza di cui
riconfermare anno dopo anno la meta. In fondo si ritorna sempre dove
si è stati bene: perché cercare altro, oltre? Sono tornato a Roma,
tra le pagine di Mirko Zilahy, per la terza primavera consecutiva:
inizia a fare troppo caldo per i miei gusti, le giornate ad
accorciarsi, ma lo scrittore – italianissimo, nonostante il cognome
– ti sfida a sentire freddo, i brividi a fior di pelle, e a credere
che le ore di buio siano inesorabili, per quanto brevi. Nella
capitale in cui Brown cerca il folklorismo da esportazione facile e
Carrisi i misfatti del Vaticano, Zilahy batte invece territori poco
noti: scavi archeologici minori, ma non per questo indegni di
interesse, e atti d'ordinaria follia che abbiamo già avuto il
dispiacere di leggere sui giornali di cronaca – l'inquietante
avvento di squadroni neonazisti alla caccia di minoranze alle strette
e perfino le famigerate buche sull'asfalto, capaci di strappare
qualche sorriso inaspettato negli accidentati inseguimenti in
automobile.
C'è
chi ci mangia, trafficando sulla mondezza di oggi e sui tumori di
domani. Stessa gente, stessi cognomi, stessa storia. Sempre e per
sempre, nella città eterna.
Su
uno sfondo sempre scenografico, seguiamo i passi cauti del
commissario Enrico Mancini: gli ultimi, spiace ricordarlo, se alla
fine di una serie che ce l'ha mostrato disperato, furente, umano. Si
è deciso a guarire dal lutto, complici la psicologa del distretto e
il recente amore per una collega: via i guanti che lo separano
dall'esterno, che lo proteggevano dal contatto fisico, ma ecco
comparire una barba incolta ad alterarne i lineamenti. Come se stesse
meglio, certo, ma non abbastanza da venire a patti con sé stesso: i
sensi di colpa non vanno mai a dormire. Chi è Enrico Mancini? Senza
mostri, senza guanti, senza gli oggetti appartenuti all'amata Marisa?
Chi è quando questo capitolo si chiude, senza più mostri da
stanare? Si parla di identità: la parola chiave. Quella che il
protagonista cerca di ricostruire, nel suo piccolo, e quelle che un
serial killer strappa alle vittime: mutilate, disseminate tra le
rovine dell'antica Roma, guardate autoannientarsi con la sincera
curiosità di un apprendista antropologo. Stando al profilo che ne
tracciano: caucasico, di mezza età, all'apparenza irreprensibile,
cresciuto nella scuola di vita di ogni psicopatico tra abusi fisici e
privazioni. Gli indizi: nei disegni d'infanzia, nei fascicoli
polverosi, in casi in cui la giustizia ha fatto cilecca. La squadra
brancola in preda ai dubbi. Le vittime appaiono scollegate. La
stampa, a causa delle soffiate di una misteriosa talpa, accusa
Mancini di negligenza. Il profiler addestrato a Quantico ha forse
perso i suoi sensi sopraffini, il tocco?
La
discesa, la chiamo così. Una specie di immersione nella palude
mentale dei miei assassini. E' una discesa che si fa con gli
strumenti adatti e un salvagente, anzi, direi uno scafandro. Gli
strumenti sono oggettivi. Sono le cose che conosciamo, come si muove,
la sua firma, le tracce che lascia. Lo scafandro invece è una specie
di corazza che ogni profiler indossa quando deve calarsi nell'inferno
interiore di quei soggetti.
Assieme
a lui, volti e nomi che abbiamo imparato a conoscere: Caterina e
Walter, in crisi per il desiderio di lei di adottare il piccolo Niko,
bambino rom inverisimilmente propenso a cacciarsi nei guai; Antonio e
Alexandra, personaggio femminile che ancora una volta mi è parso
ininfluente, che fanno i conti con il coinvolgimento della Nigro nel
caso precedente; il professor Biga, incapace di rassegnarsi
all'inoperosità della sua triste situazione clinica; l'infido
Gugliotti, già proiettato verso la pensione e roso dalla gelosia
per una relazione – quella tra Enrico e Giulia – nata come uno
sgarbo nei suoi riguardi. Cosa manca a tutti loro, mi sono domandato
nell'arco di una lettura cinematografica che eppure convinceva meno
del previsto? Gli spazi personali, il privato: continuamente
squillano i cellulari, le ricetrasmittenti gracchiano, le soffiate
anonime interrompono qualsiasi tentativo di intimità –
tralasciando la coppia Caterina-Walter, Mancini e la Foderà in
quattrocento pagine avranno appena pochi passaggi fianco a fianco,
evitando i silenzi parlanti, la loro stessa relazione, casa. Zilahy
in precedenza li ha scavati, ha approfondito i loro talloni
d'Achille, per poi farne cosa? Restano gli omicidi suggestivi (il più
coreografico implica la mummificazione con del gesso liquido), i
parallelismi affascinanti tra il boia e un investigatore quanto mai
indolente, una scrittura bella ma diversa. Concitatissimo, questo
Zilahy taglia, sfoltisce, aguzza gli spigoli e toglie quel che era
superfluo solo a un'occhiata superficiale – il lirismo consueto,
quel gusto barocco tanto atipico per un thriller, è riservato alle
pagine in corsivo che descrivono in soggettiva i punti di vista di
assassino e vittime – e che, in verità, sul lungo tratto era la sua
grande forza.
E'
un momento di passaggio. Una lunga mezzanotte sociale. E quando cala
il sole gli animali sordidi e vigliacchi emergono dal nulla in cui
vivono le loro esistenze.
Questo
puntuale congedo si legge da sé, ma non mi è parso poi così crudele, così
memorabile. Per arrivarci, tuttavia, è necessario prima passare dai
capitoli precedenti: la conoscenza di uno scrittore impareggiabile –
professionalmente, umanamente – allora vi ripagherà dall'attesa, e
da colpi di scena a volte assestati più debolmente di altri. Così
crudele è la fine ricorda ai lettori l'importanza vitale del
buio. Essenziale per contrapporlo alla pace del giorno. Per
affannarsi strenuamente a cacciarlo e, nel mezzo della ricerca,
scoprirsi vivi. E scoprirne magari il senso che sfugge, nel
riflesso di uno specchio in frantumi.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Linkin Park - In The End
il libro non sarà memorabile, ma la foto sì!
RispondiEliminaQuando è cattivo tempo, la luce è pessima e non puoi uscire a scattare fotografie fuori di casa... Chi lo avrebbe detto? :)
Eliminaahah concordo!:D
RispondiEliminaGrazie!
EliminaConcordo con Silvia e Saya ;P
RispondiEliminaAhahahah, vi siete messe d'accordo?
EliminaBellissima cover! Ho appena iniziato la lettura del romanzo e Roma mi affascina con la sua luce e l'ombra del Male sempre vigile e pronta a inglobare ogni cosa :)
RispondiEliminaPasserò a leggerti sicuramente, e spero che piaccia più a te. :)
EliminaDovrei recuperare il primo. Per me tre stelle sono poche, non valgono la fatica.
RispondiEliminaBellissima foto.
Lea
Il primo merita (uscito a cinque euro da poco, con la Tea), e anche il secondo. Questo ha fretta, ecco il punto, e io, da lettore, non la avevo...
EliminaNe abbiamo parlato a lungo... ti dirò appena riuscirò a leggerlo! ;)
RispondiEliminaTi aspetto in chat: spoiler ammessi!
Eliminabeautiful blog! I really like how you write
RispondiEliminaand what you give photos. wonderful!
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Greetings from Poland!
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Thanks, Ayuna!
EliminaOf course. ;)
Autore che devo recuperare, cosa che l’uscita in Tea agevola! Morirò travolta da una pila di libri, ma felice
RispondiEliminaFelicissima!
EliminaTerzo capitolo di una trilogia?
RispondiEliminaMi sa che il recupero potrebbe necessitare di tempi lunghi e non credo faccia nemmeno troppo al caso mio...
Questa volta, non posso convincerti del contrario.
EliminaA me ha convinto, invece. Le trilogie o le serie in generale non fanno sempre per me e di questo terzo capitolo avevo un po' di paura, ma Zilahy si è confermato. A questo punto sono curiosa di scoprire cosa ci riserverà lontano dal Commissario Mancini e la sua squadra.
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