lunedì 21 maggio 2018

Recensione: Così crudele è la fine, di Mirko Zilahy

| Così crudele è la fine, di Mirko Zilahy. Longanesi, € 18,60, pp. 418 |

Se ogni romanzo è un viaggio, una trilogia è una vacanza di cui riconfermare anno dopo anno la meta. In fondo si ritorna sempre dove si è stati bene: perché cercare altro, oltre? Sono tornato a Roma, tra le pagine di Mirko Zilahy, per la terza primavera consecutiva: inizia a fare troppo caldo per i miei gusti, le giornate ad accorciarsi, ma lo scrittore – italianissimo, nonostante il cognome – ti sfida a sentire freddo, i brividi a fior di pelle, e a credere che le ore di buio siano inesorabili, per quanto brevi. Nella capitale in cui Brown cerca il folklorismo da esportazione facile e Carrisi i misfatti del Vaticano, Zilahy batte invece territori poco noti: scavi archeologici minori, ma non per questo indegni di interesse, e atti d'ordinaria follia che abbiamo già avuto il dispiacere di leggere sui giornali di cronaca – l'inquietante avvento di squadroni neonazisti alla caccia di minoranze alle strette e perfino le famigerate buche sull'asfalto, capaci di strappare qualche sorriso inaspettato negli accidentati inseguimenti in automobile.

C'è chi ci mangia, trafficando sulla mondezza di oggi e sui tumori di domani. Stessa gente, stessi cognomi, stessa storia. Sempre e per sempre, nella città eterna.

Su uno sfondo sempre scenografico, seguiamo i passi cauti del commissario Enrico Mancini: gli ultimi, spiace ricordarlo, se alla fine di una serie che ce l'ha mostrato disperato, furente, umano. Si è deciso a guarire dal lutto, complici la psicologa del distretto e il recente amore per una collega: via i guanti che lo separano dall'esterno, che lo proteggevano dal contatto fisico, ma ecco comparire una barba incolta ad alterarne i lineamenti. Come se stesse meglio, certo, ma non abbastanza da venire a patti con sé stesso: i sensi di colpa non vanno mai a dormire. Chi è Enrico Mancini? Senza mostri, senza guanti, senza gli oggetti appartenuti all'amata Marisa? Chi è quando questo capitolo si chiude, senza più mostri da stanare? Si parla di identità: la parola chiave. Quella che il protagonista cerca di ricostruire, nel suo piccolo, e quelle che un serial killer strappa alle vittime: mutilate, disseminate tra le rovine dell'antica Roma, guardate autoannientarsi con la sincera curiosità di un apprendista antropologo. Stando al profilo che ne tracciano: caucasico, di mezza età, all'apparenza irreprensibile, cresciuto nella scuola di vita di ogni psicopatico tra abusi fisici e privazioni. Gli indizi: nei disegni d'infanzia, nei fascicoli polverosi, in casi in cui la giustizia ha fatto cilecca. La squadra brancola in preda ai dubbi. Le vittime appaiono scollegate. La stampa, a causa delle soffiate di una misteriosa talpa, accusa Mancini di negligenza. Il profiler addestrato a Quantico ha forse perso i suoi sensi sopraffini, il tocco?

La discesa, la chiamo così. Una specie di immersione nella palude mentale dei miei assassini. E' una discesa che si fa con gli strumenti adatti e un salvagente, anzi, direi uno scafandro. Gli strumenti sono oggettivi. Sono le cose che conosciamo, come si muove, la sua firma, le tracce che lascia. Lo scafandro invece è una specie di corazza che ogni profiler indossa quando deve calarsi nell'inferno interiore di quei soggetti.

Assieme a lui, volti e nomi che abbiamo imparato a conoscere: Caterina e Walter, in crisi per il desiderio di lei di adottare il piccolo Niko, bambino rom inverisimilmente propenso a cacciarsi nei guai; Antonio e Alexandra, personaggio femminile che ancora una volta mi è parso ininfluente, che fanno i conti con il coinvolgimento della Nigro nel caso precedente; il professor Biga, incapace di rassegnarsi all'inoperosità della sua triste situazione clinica; l'infido Gugliotti, già proiettato verso la pensione e roso dalla gelosia per una relazione – quella tra Enrico e Giulia – nata come uno sgarbo nei suoi riguardi. Cosa manca a tutti loro, mi sono domandato nell'arco di una lettura cinematografica che eppure convinceva meno del previsto? Gli spazi personali, il privato: continuamente squillano i cellulari, le ricetrasmittenti gracchiano, le soffiate anonime interrompono qualsiasi tentativo di intimità – tralasciando la coppia Caterina-Walter, Mancini e la Foderà in quattrocento pagine avranno appena pochi passaggi fianco a fianco, evitando i silenzi parlanti, la loro stessa relazione, casa. Zilahy in precedenza li ha scavati, ha approfondito i loro talloni d'Achille, per poi farne cosa? Restano gli omicidi suggestivi (il più coreografico implica la mummificazione con del gesso liquido), i parallelismi affascinanti tra il boia e un investigatore quanto mai indolente, una scrittura bella ma diversa. Concitatissimo, questo Zilahy taglia, sfoltisce, aguzza gli spigoli e toglie quel che era superfluo solo a un'occhiata superficiale – il lirismo consueto, quel gusto barocco tanto atipico per un thriller, è riservato alle pagine in corsivo che descrivono in soggettiva i punti di vista di assassino e vittime – e che, in verità, sul lungo tratto era la sua grande forza.

E' un momento di passaggio. Una lunga mezzanotte sociale. E quando cala il sole gli animali sordidi e vigliacchi emergono dal nulla in cui vivono le loro esistenze.

Questo puntuale congedo si legge da sé, ma non mi è parso poi così crudele, così memorabile. Per arrivarci, tuttavia, è necessario prima passare dai capitoli precedenti: la conoscenza di uno scrittore impareggiabile – professionalmente, umanamente – allora vi ripagherà dall'attesa, e da colpi di scena a volte assestati più debolmente di altri. Così crudele è la fine ricorda ai lettori l'importanza vitale del buio. Essenziale per contrapporlo alla pace del giorno. Per affannarsi strenuamente a cacciarlo e, nel mezzo della ricerca, scoprirsi vivi. E scoprirne magari il senso che sfugge, nel riflesso di uno specchio in frantumi.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Linkin Park - In The End 


19 commenti:

  1. il libro non sarà memorabile, ma la foto sì!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quando è cattivo tempo, la luce è pessima e non puoi uscire a scattare fotografie fuori di casa... Chi lo avrebbe detto? :)

      Elimina
  2. Bellissima cover! Ho appena iniziato la lettura del romanzo e Roma mi affascina con la sua luce e l'ombra del Male sempre vigile e pronta a inglobare ogni cosa :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Passerò a leggerti sicuramente, e spero che piaccia più a te. :)

      Elimina
  3. Dovrei recuperare il primo. Per me tre stelle sono poche, non valgono la fatica.
    Bellissima foto.
    Lea

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il primo merita (uscito a cinque euro da poco, con la Tea), e anche il secondo. Questo ha fretta, ecco il punto, e io, da lettore, non la avevo...

      Elimina
  4. Ne abbiamo parlato a lungo... ti dirò appena riuscirò a leggerlo! ;)

    RispondiElimina
  5. beautiful blog! I really like how you write
    and what you give photos. wonderful!
    I have a question, you will agree to follow for follow?
    I like to be in touch with inspirational blogs.
    Greetings from Poland!
    ayuna-chan.blogspot.com

    RispondiElimina
  6. Autore che devo recuperare, cosa che l’uscita in Tea agevola! Morirò travolta da una pila di libri, ma felice

    RispondiElimina
  7. Terzo capitolo di una trilogia?
    Mi sa che il recupero potrebbe necessitare di tempi lunghi e non credo faccia nemmeno troppo al caso mio...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questa volta, non posso convincerti del contrario.

      Elimina
  8. A me ha convinto, invece. Le trilogie o le serie in generale non fanno sempre per me e di questo terzo capitolo avevo un po' di paura, ma Zilahy si è confermato. A questo punto sono curiosa di scoprire cosa ci riserverà lontano dal Commissario Mancini e la sua squadra.

    RispondiElimina