|Notte inquieta, di Albrecht Goes. Marcos y Marcos, € 15, pp.
110 |
Ucraina,
ottobre 1942. Dopo un mattino insolitamente clemente, di quelli che
ti infondono nelle scarpe il desiderio di passeggiare all'aria
aperta, l'avvicinarsi della sera porta la tempesta sul fronte di
guerra. Fulmini, saette, e la consapevolezza che la disfatta è
ormai vicina. Si è eccezionalmente nelle fila dell'antagonista, del nemico crucco. Dalla parte di chi, di lì
a qualche tempo, sarà vinto. Nevicano cristalli e
svastiche sulla bellissima copertina illustrata da Laura Fanelli. In
una locanda di Proskurov, in una fragile bomboniera di vetro, un comò
allestito a tavolino – sopra: cioccolato, tè, vino rosso, caffè
forte – e due letti, due questioni private costrette a una
convivenza forzata. La luce della lampada a petrolio brilla sui
segreti militari e gli incartamenti, sull'amarezza del salutarsi per
sempre: più forte ancora, la scrittura di Albrecht Goes, scomparso
diciotto anni fa. Prima pastore protestante, poi scrittore, presta sensibilità e vocazione all'occupante di uno dei letti: il
narratore è infatti un cappellano militare. Il suo compito,
raccogliere l'ultima confessione di uno sfortunato destinato al
patibolo: il soldato Baranowski ha rinunciato alla divisa, ha
disertato per amore di una donna con un viso «per
cui vale la pena di rischiare qualcosa».
Non c'è un paravanento a separarlo dall'altro ospite, il capitano
Brentano: l'indomani volerà a Stalingrado e, probabilmente, il suo è
un viaggio senza ritorno. Sarebbe sconveniente imporre a quello
sconosciuto – un uomo di chiesa, tra l'altro: con i suoi tabù, con
il suo decoro – la presenza in camera dell'infermiera Melanie, la
fidanzata a cui prepararsi a dire addio?
Non
c'era bisogno di parlare. In cima ai monti e nell'abisso tacciono le
conversazioni; e quanto sia grande la distanza fra quelle e questi,
solo Iddio lo sa. Iddio e coloro che si amano. Dunque è così,
pensa Brentano. E Melanie: dunque avrebbe potuto essere così, per
tutta la vita. E tutti e due: ma una volta lo è stato. Qualche
volta. E l'ultima volta è ora, a Proskurov, nella notte. E poi: è
ancora.
Ore
turbolente, le loro. Ore in cui ricercare l'incanto delle piccole
cose, le gioie del condividire. Ore in cui dispensare illusioni e
farsi compagnia in una zona franca, nell'attesa di un destino triste
rimandato finché è stato possibile rimandare. Ore brevi, dense,
come breve e denso è questo romanzo. Gli antichi spiriti dei
guerrieri caduti battagliano nel cielo. L'alba, nell'immaginario
collettivo un forziere di promesse, è invece uno squallido miraggio da
scongiurare. Ci si prende a cuore a vicenda, casi umani dalle ore
contate. E inevitabilmente li si prende a cuore a nostra volta. Ci
sono sconsiderati che nelle armi hanno ricercato lo sfavillìo delle
medaglie e del successo facile, comandanti improvvisati, rari
veterani degni di gloria. Se la guerra è un mercato di corpi e
speranze infrante, se il disonore ti mette in una posizione scomoda
precludendoti scelte alternative, come fare la differenza? Nelle
linee nemiche, dalla parte del torto, si può restare in coscienza
brave persone?
Bisogna
sconsacrare la guerra. Toglierle ogni incanto. Bisogna inculcare
nella coscienza umana la certezza di come sia banale e laido questo
mestiere di soldato. Che l'Iliade rimanga l'Iliade e il Canto dei
Nibelunghi quel che è; ma noi dobbiamo sapere che lavorare con una
pala e una zappa è più onorevole che andare a caccia di
decorazioni. Dobbiamo dire che la guerra è sudore, pus, orina.
Dopodomani lo sopranno tutti e lo sapranno per qualche anno. Ma lasci
che passi un decennio e vedremo di nuovo crescere i miti, come
gramigna. E allora ciascuno di noi dovrà essere al suo posto, con
una buona falce.
Dove
i sogni e i giovani hanno vita breve, quando gli altri non fanno che
intimarti di mantenere la calma morendo da soldato, regali graditi
possono essere allora parole in grado di confortare davvero, bugie
comprese, o un colpo di proiettile bene assestato. A Goes, «capace
di contenere tutto un uomo come lo sono le braccia di coloro che si
amano», non trema la mano. Non fallisce. Il suo sparo centra il
cuore, ed è così che intanto ti grazia.
In una notte di carta che porta consiglio, e la commozione.
In una notte di carta che porta consiglio, e la commozione.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Gino Paoli – Il cielo in una stanza
Non l'avevo mai sentito nominare, questo libro, ma come fin troppo spesso accade mi fai desiderare libri che non conoscevo assolutamente. Anche se sembra veramente malinconico, nella migliore delle ipotesi.
RispondiEliminaNeanche io, Kate, nonostante le ristampe e qualche trasposizione BBC, tra piccolo e grande schermo.
EliminaMalinconico, sì, ma una piuma...
Mi ha incuriosita da subito questo titolo! La tua recensione aumenta ancora di più la voglia di leggerlo.
RispondiEliminaTi ringrazio, Sara!
EliminaSolitamente evito i libri storici, e soprattutto quelli di guerra, ma mi hai incuriosito, e il titolo sembra quello giusto per far pace con il genere.
RispondiEliminaStesso problema, Lisa, ma qui di guerra si parla, ma non se ne fa. Nessuna strategia, nessuna battaglia, nessun cenno alla politica. Ha un'umanità, una delicatezza, che amerai.
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