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Mio assoluto amore, di Gabriel Tallent. Rizzoli, € 20, pp. 413
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C'erano
una volta un papà, una figlia e un bosco. Altri, di nuovo, dopo i
personaggi immersi nella natura selvaggia del thriller La casa del padre. Non mancano nemmeno qui le violenze aberranti – fisiche,
psicologiche e, questa volta, sessuali. Non manca l'ambiguità,
in un rapporto di amore e odio fatto a momenti alterni di tenerezza e
dominio, fuga disperata e voglia di restare. C'era una volta il
mondo: lasciato fuori, ai margini della radura.
Julia,
detta Turtle, ha quattordici anni. Pesca, caccia, incassa e dà.
Mangia le uova spaccandosele direttamente in bocca, al mattino,
mentre Martin stappa per colazione la prima birra della giornata. Nei
riti di iniziazione che spesso si autoimpone, fra piccoli naufragi e
campeggi lunghi settimane, la ragazzina si forza a mangiare perfino
uno scorpione guizzante in un sol boccone. Ha modi barbari, una
corazza di cicatrici e, a scuola, grosse lacune. Sì, perché nel
loro ricercato isolamente c'è spazio per la cultura: precisa volontà
di un capofamiglia colto e fascinoso, che legge i filosofi
spiritualisti in veranda (la camicia di flanella sbottonata sul petto
forte, un'arma da fuoco che sbuca dai Levi's) e farnetica di
cospirazioni da fine del mondo. A un passo dall'inizio del liceo, la
sua Turtle si scopre attratta da un coetaneo salvato in fondo al
bosco; parla al nonno reduce di guerra, tutto poker e coltellacci,
del vestito per il ballo di fine anno; invogliata da un'insegnante,
inizia a sentire la mancanza di una guida femminile. Turtle osa
crescere. Abbastanza da rendersi conto, a un certo punto, che suo
padre potrebbe intrufolarsi anche nel lettino dell'indifesa Cayenne,
vagabonda salvata dalla strada non soltanto per generosità d'animo.
Le lezioni di vita, in casa Alveston, ti insegnano a prenderti cura
delle tue lame e a leccarti le ferite. A camminare a piedi nudi. A
vedere al buio. I gesti parlano più delle parole: volgari, impastate
dall'alcol, biascicate. Le loro conseguenze, mai lasciate al caso: si
percepisce perciò la fatica dell'elaborazione e delle scelte, il
dolore dei corpi che si apprestano a guarire – ma i
cuori no, ferite sempre aperte.
Tu
sei la cosa più bella che c’è. In te tutto è perfetto, Crocchetta, ogni dettaglio. Sei l’ideale platonico di te stessa.
Ogni tuo graffio, ogni piccola spellatura è l’inimitabile
elaborazione della tua bellezza e del tuo essere selvaggia. Sei come
una naiade, come una ragazza cresciuta dai lupi. Tu sei la mia cosa
numinosa in un mondo profano, di tenebra.
Mio
assoluto amore, storia di vite al limite e d'infanzie mostruose,
racconta con piglio verista il gioco dell'evitare gli assistenti
sociali, i dubbi dell'emanciparsi e il sentirsi al sicuro soltando
quando abbandonati a sé stessi. In balia degli eventi, degli agenti
atmosferici, della curiosità adolescenziale. Liberi, però.
Diffido
da chi definisce un romanzo capolavoro. Diffido, ancora, da chi
definisce un romanzo noioso. Diffiderei da Stephen King, questa
volta: narratore di infinita maestria, ma recensore spesso soggetto a
un ingiustificato entusiasmo. Diffiderei, soprattutto, da me stesso.
Se mi chiedeste di definire in poche parole il romanzo di Tallent,
gli aggettivi parlerebbero al posto mio di una lettura durata pochi
giorni appena eppure molto patita nel mentre. Ho i peli sul petto, lo
stomaco forte, e le mie difficoltà poco hanno avuto a che fare con
la barbarie del tema, l'incesto, o il bagno di sangue della seconda
metà (quella che ho preferito: sporca, cattiva, senza presunzioni
inutili). La colpa è stata delle descrizioni naturali, inutilmente
particolareggiate. Dello stile ridondante di quei
romanzi che vorrebbero raccontare il profondo Sud restituendone la
grettezza morale, le atmosfere sonnolente, risultando purtroppo
sonnolenti per il rovescio della medaglia.
I
suoi errori non sono errori tuoi. Tu non sarai mai come lui. Mai.
Mi
sono piaciuti i personaggi sfuggenti, dai confini imprecisi, né
buoni né cattivi: tutti vittime di loro stessi, tutti complici, con
una protagonista che ovviamene giganteggia facile – per qualche
amico nerd è una ninja che salverà l'umanità dall'apocalisse
zombie, per i compaesani il frutto dell'unione carnale fra una donna
e un leone di montagna, ma a me è parsa l'anello di congiunzione non
così impensato fra le geniali orfane di Dahl e le eroine
bad-ass dei survival horror. Mi è piaciuto il modo di raccontare gli
abusi senza peli sulla lingua, con la volgarità e la rabbia di chi
li subisce e, suo malgrado, ne è dipendente; il turpe, brutto da
dire, quando il disgusto ridestava l'attenzione facendo strizzare gli
occhi stanchi. Mi è piaciuto il lento protrarsi del
finale, che di quella violenza è l'apoteosi, ma anche dei pregi
diffusi. Peccato ci si arrivi già provati, già stanchi.
Smarriti fra pagine di troppo, facciamo pure un centinaio, e gli insidiosi garbugli della vegetazione – ortica, cardi, sonagli, avena selvatica, festuche, tarassaco. In un romanzo con sprezzo del pericolo che risulta pesante, ma per le ragioni sbagliate.
Smarriti fra pagine di troppo, facciamo pure un centinaio, e gli insidiosi garbugli della vegetazione – ortica, cardi, sonagli, avena selvatica, festuche, tarassaco. In un romanzo con sprezzo del pericolo che risulta pesante, ma per le ragioni sbagliate.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Sia – Elastic Heart
Un pochino mi attrae, molto mi impaurisce, questo romanzo. Forse, leggendoti, in realtà non fa per me. Ci penso su. Baci.
RispondiEliminaImpaurisce, ma per quelle pagine che non sempre scorrono, che non sempre servono.
EliminaPeccato, perché la protagonista non si scorda.
proverei a leggerlo, anche se mi pare di capire che sia un po' "forte" nei temi; magari aspetto un altro po'... :D
RispondiEliminaTemi fortissimi, ma così diluiti che ti direi che non c'è rischio di traumi o fastidi duraturi.
EliminaUno di quei romanzi che non saprei se consigliare, proprio no.
Tra natura selvaggia, pesca, caccia e quant'altro, sembra una roba molto fordiana. :(
RispondiEliminaSembra però esserci una protagonista perfetta per una giovane Jennifer Lawrence, a metà strada tra Un gelido inverno e Katniss Everdeen. :)
Per quanto mi riguarda, potrei essere dalle parti di quelli che lo definiscono un romanzo noioso, mi sa.
La Lawrence ragazzina, infatti, ci sarebbe stata non bene: di più. Peccato che anche in questo caso, La casa del padre arrivi prima al cinema: dirige Tyldum, ma dopo Passengers abbandona Jennifer per Alicia Vikander (e chi lo biasima).
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