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Spontaneous, di Aaron Starmer. Dana, € 18,90, pp. 302 |
C'è
qualcosa che non va in quel di Covington. C'è qualcosa che non va
negli iscritti all'ultimo anno del liceo pubblico, pronti come Icaro
a spiccare il volo e a bruciarsi. Letteralmente. Succede un giorno
qualsiasi, all'ora di matematica. Qualcuno messaggia, qualcuno
sonnecchia e qualcuno esplode come se niente fosse, schizzando in
classe sangue, urla e domande esistenziali a proposito della vita,
della morte e di quello che c'è in mezzo. Il motivo:
l'autocombustione. Non è una leggenda metropolitana. Soprattutto,
non è un caso isolato. Alla prima esplosione, alla prima vittima, ne
seguiranno altre. A lezione, su un campo di football dagli spalti
affollati, in gruppo o in solitaria. Fra i superstiti, tutti
diciassettenni, ci si domanda come sentirsi e come no. Si mettono al
vaglio tutte le ipotesi: sarà la Terra che ci si ritorce contro per
l'uguaglianza razziale, le coppie gay, la legalizzazione del fumo;
sarà una maledizione pronunciata dalla compagna di scuola
eternamente bullizzata; saranno le acque inquinate, le cospirazioni
governative, i prodromi di una futuristica invasione aliena. I media
e i ciarlatani ci vanno a nozze, l'FBI manda in avanscoperta i suoi
agenti migliori. Tutti sono sospetti, tutti fanno a gara di sensi di
colpa e supposizioni. Ci si interroga notte e giorno su chi morirà,
perché sì: ne moriranno in molti. Forse toccherà anche a Mara,
narratrice freschissima,
piena di vita e nitroglicerina. Se non fosse per lei, se non fosse
per lo stile spigliato di Aaron Starmer – a rischio di antipatia però, con il linguaggio gergale tutto
tormentoni e abbreviazioni dell'ultimo John Green –,
Spontaneous sembrerebbe
materia per un thriller sci-fi. In effetti non fa sconti di sorta. In
effetti non pone un limite all'inquietante numero delle vittime.
Stavamo
morendo tutti assieme. Un pianto ci stava. Ma ci stava anche una
grassa risata.
Mara,
che in un film di prossima uscita diretto dallo sceneggiatore di La Babysitter avrà il volto
di Katherine Langford, vorrebbe ridere con la migliore
amica Tess, fare l'amore con quel Dylan dalla fama losca,
proteggersi dal fuoco incrociato di un'armageddon a misura di
liceale. In teoria: temi in assonanza con quelli del prezioso e
sottovalutato Fino alla fine del mondo.
In pratica: toni e strade tutte diverse, all'insegna di una metafora
– quella del raggiungimento della maturità – che qui sposa le
stranezze del surreale. Young Adult a metà fra il romanzo umoristico
e lo splatter, a lungo non sai se prenderlo sul serio. Ha infatti una
galleria di personaggi troppo sopra le righe, troppo caduchi, per
affezionarcisi davvero; schizzi di materia cerebrale e riflessioni
sparsi a piene mani. Una bomba non è, nonostante per il Time
sia stato il miglior YA del 2016. Così spontaneo, a onor del vero, neppure. Ma riesce a farsi
apprezzare, al giro di boa, per gli enigmi e la sfacciataggine –
perfino per lo slang e la colloquialità, sì, che all'inizio
facevano storcere un po' il naso.
Lottare
contro la morte potrà essere nobile, ma non è vita. Abbracciando
Dylan mi resi conto di voler morire senza pensare alla morte. Volevo
essere così distratta dalla vita da non sapere manco cosa fosse, la
morte.
Le
relazioni sono a tempo determinato, i corpi vanno a male, le menti
sono un'arma di distruzione di massa pronta a far scintille. Se la fine
verrà, e verrà, poco male. Meglio aspettarla su una spiaggia
improvvisata, con un narghilè in mano e il tramonto – rosso,
rossissimo, più del sangue versato – negli occhi. Gli studenti del
quarto anno, con l'arrivo di settembre, rischieranno la stessa sorte?
O le esplosioni a catena finiranno il giorno del diploma, come per
magia? Il diffuso allarmismo porta alla chiusura delle scuole, alla
quarantena. Qualcuno teme un contagio. Qualcuno vorrebbe mandare ogni
cosa in malora, tanto esagerando con la sorveglianza quanto dandosi a
un edonismo bacchico. Ma gli adolescenti non rinunciano alle cose di sempre, scoppiettanti per definizione. Studiare. Assumere droghe leggere o pesanti. Ingelosirsi. Tornare a
innamorarsi. Far festa, con l'apocalisse dentro e fuori di noi.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Charli XCX – Boom Clap
Mi hai affascinato con questa recensione. Sembra un libro particolare!
RispondiEliminaTi ringrazio, Pier. Particolarissimo!
EliminaLo leggerò anch'io fra non molto. E tra l'altro l'ha tradotto una delle persone più importanti della mia vita, Simone Buttazzi. Uno di quelli che combatte ogni giorno per i diritti dei traduttori.
RispondiEliminaComplimenti a Simone, allora.
EliminaStare dietro ai capricci della scrittura di Starmer - la stessa che, in fondo, non mi ha convinto troppo - non dev'essere stato semplice.
Ma che figata!
RispondiEliminaSembra proprio una cannibalata per me. XD
Sul libro ci faccio un pensiero, il film con Katherine Langford invece me lo guardo di sicuro!
Cannibala doc, lo pensavo a ogni pagina! ;)
EliminaCiao Michele lo sto leggendo proprio in questi giorni ^^ A dire il vero sono ancora all'inizio e già mi sta sulle scatole Mara e il suo umorismo cinico... e nonostante questo non posso fare a meno di apprezzare questo ribaltamento di piani, questo essere politically incorrect, il linguaggio al limite e la surrealtà... vedremo come si evolve ;-)
RispondiEliminaCiao Jerry! Fammi sapere, poi. ;)
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