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Il mare dove non si tocca, di Fabio Genovesi. Mondadori, € 19,
pp. 318 |
Da
tre romanzi a questa parte, ricorro alla compagnia di Fabio Genovesi
contro la tristezza. Forse saprete già come va: acquisto e metto da
parte, da brava formica, per i giorni più freddi. L'ho rispolverato
e tenuto con me, stretto stretto, in un gennaio buio che non vuol
finire mai. Anche se la copertina, il titolo, mi parlavano in
anticipo o in ritardo d'estate. Anche se, forse, questa volta la
tristezza aveva messo radici profonde e a Genovesi – l'ultimo, non
il migliore – sentivo di chiedere l'impossibile. Fabio, pensaci tu.
Tu che, come Jeeg Robot, qualcosa puoi. In risposta, in aiuto, le
parole fantasiose e pulite di un bambino che non cambia ancora voce,
che non cambia ancora sguardo sul mondo. Un altro Fabio, o magari lo
stesso. Un Fabio del passato che, a bordo della macchina del tempo,
ci porta nella Versilia dei primi anni Ottanta. Dove ha una schiera
di nonni con nomi che iniziano rigorosamente per “a”, tutti pazzi
monchi e scapoli, e a scuola gli insegnano sin dal primo giorno che
c'è vita, c'è normalità, al di fuori della loro cerchia ristretta:
il Villaggio Mancini.
Perché
mi sa che al Villaggio Mancini, e in tutto questo mondo che gira e
traballa nell'universo, la normalità è la stranezza più grande che
ci sia.
Mascotte
assoluta della famiglia, il piccolo e contesissimo narratore si
barcamena fra battute di caccia, porcini e pesca, gare per il miglior
presepe in chiesa e chiacchiere da comunisti infervorati a cena.
Cresciuto in un mondo popolato da soli adulti, un Fabio che sogna la beatificazione scoprirà a scoppio ritardato che i coetanei
poco ne sanno di maledizioni secolari (pare che i Mancini senza amore
siano infatti destinati a impazzire al compimento dei quaranta), papà
dalle mani miracolose tali e quali a Little Tony (il suo, Giorgio, è
partito sfortunatamente per una lunga tournée dal ritorno assai
incerto: il coma), impieghi sottopagati come raccattapalle in country
club che fanno l'affronto di rubarci certi begli anni (quell'estate in particolare il nostro protagonista perderà più di qualche tappa, e dei
misteri della masturbazione sentirà parlare per la prima volta alle scuole medie: il sesso, "copiato" come le risposte del compito di
matematica). Insomma, cos'ha da spartire con gli altri? In difetto
lui, di un candore straordinario, o loro?
Viaggia
così, quel treno assurdo, si ferma e riparte quando gli pare, niene
avvisi né orari stabiliti. Magari sta piantato nello stesso posto
così a lungo che credi di restare lì per sempre, poi dal nulla
fischia e riparte a razzo, e in un attimo ti trovi in una stazione
nuova e misteriosa dove ogni cosa è diversa, soprattutto te: sei
andato a letto che eri tu, ti svegli che sei qualcun altro.
La
pecora nera del romanzo non sa se uniformarsi o uscire dal gregge. Se provare
vergogna o gratitudine per i pomeriggi sul pattìno, per il braccio e
per la TV rotti: una giovinezza strampalata che fa venire un po' il
mal di mare, e privazioni, mancanze d'altri tempi, che formano –
chissà – gli scrittori di domani. Il tubo catodico guasto: Fabio
racconta allora storie nell'entusiasmo generale. Un genitore che dorme ma
ascolta: Fabio gli legge ad alta voce opuscoli, manuali, per la gioia
di una libraia che minaccia sempre di mollare le bancarelle per le
Hawaii e delle arzille signore della casa di riposo all'ultimo piano
(peccato premano, però, per romanzi rosa che fanno diventare la faccia
del mal capitato cinquanta sfumature di bordeaux). Fabio ci dà fra
le pagine lezioni di nuoto; lezioni di vita. Ma non sa nuotare fino
agli otto anni e della vita, che scorre veloce quanto un treno, lui è
un passeggero clandestino senza biglietto.
La
mia famiglia è così, dietro ogni scemenza c'è una storia che non
finisce mai, milioni di racconti che schizzano fuori da ogni
millimetro del nostro cammino tutto storto, con particolari
precisissimi a tonnellate. Delle cose veramente importanti, invece,
non si sapeva mai nulla. Nessuno ne parlava, e a forza di non
parlarne si smetteva di saperle, così da segreti diventavano
misteri.
Chi
insegna le canzoni agli uccelli, ci si domanda in un capitolo? E
questa leggerezza, queste immagini, a un Genovesi che stavolta
convince a metà – troppo aneddotico, troppo naïf:
proprio non amo i narratori bambini, poco da fare – restando
comunque irresistibile? Il
mare dove non si tocca, purtroppo, non
mi ha toccato. Non ho toccato io, soprattutto, in giorni in cui mi limito ad
annaspare: qualche sorriso strappato con le tenaglie, figurarsi
salpare. La colpa: più mia che sua, probabilmente, ma pace. Ai
maschi della famiglia Mancini manca qualche rotella in zucca e il
gene dei colori. Daltonico anche lui, senza eccezioni, Fabio –
autore e narratore, vuoi l'omonimia, per me ormai sono tutt'uno –
dipinge però ora con sfumature delicate, ora con colori sgargianti,
le avventure tragicomiche di un'infanzia sopra le righe eppure
profonda come il mare.
Dove non tocchi capisci di essere vivo. Dove
ti scacciano ti accorgi della meraviglia di essere maledetti. E delle
famiglie così, più a modo loro di altre. Quelle che crescendo ti
danno le gioie. I dolori. Le storie.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Jovanotti – L'estate addosso
Recensione molto bella anche se il romanzo non ti ha toccato. Come sai a me è piaciuto molto questo primo incontro con Genovesi. Probabilmente, nel tuo caso, non era il momento giusto...
RispondiEliminaProbabilmente sì, Anna, e un po' mi dispiace.
EliminaNoooooooooo. Come punizione ti mando a leggere un romanzo hot in casa di riposo!
RispondiEliminaVedo che stai leggendo la Segal. Attendo la tua recensione.
Incredibile il tuo tocco delicato anche quando un romanzo non ti ha convinto.
Lea
Ti ringrazio, Lea.
EliminaQuesta volta, un po' per il mio stato d'animo e un po' per la sensazione costante di già visto (penso alle infanzie dei protagonisti di Captain Fantastic o The Glass Castle), me lo sono goduto pochino.
Un paio di mesi fa ho assistito alla presentazione del libro a Pescara (non so se magari sei andato anche tu...) e devo dire che l'autore mi ha fatto un'ottima impressione. Di travolgente simpatia e grande umanità... ma anche ricchissimo di aneddoti e storielle improbabili sui personaggi colorati e un po' svalvolati della sua famiglia, per l'appunto! XD Il libro mi faceva un po' di curiosità, ma, dopo averti letto, sono sempre più convinta di aver fatto bene a lasciarlo dov'era....
RispondiEliminaPurtroppo me lo sono perso, Sophie, ma che peccato: Genovesi dev'essere proprio una bella persona, sì. E te lo consiglio, sai?, dubbi relativi a quest'ultimo romanzo - troppo frammentario, troppo aneddotico - a parte.
EliminaNon conosco l'autore, e anche se il libro non ti ha entusiasmato mi hai fatto venir voglia di comprare qualcosa di suo :D
RispondiEliminaNon c'è cosa che mi renda più contento, Kate.
EliminaGenovesi lo consiglio sempre. Anche questa volta, eh. Se non mi ha convinto troppo, era forse mia la colpa: momento inopportuno. :)
Peccato che questa volta Genovesi non sia stato il balsamo giusto. Io l'ho apprezzato molto per la freschezza con la quale tocca argomenti a volte anche tosti. Sarà che a me la narrazione dal punto di vista dei bambini piace, e l'episodio della casa di riposo rimarrà stampato nella mia mente nei secoli, ogni volta che ci penso rido da sola.
RispondiEliminaSei riuscito comunque a sottolinearne i punti di forza, complimenti.
Alla prossima,
Stefi
Grazie, Stefi!
EliminaUn rimedio contro la tristezza ogni tanto ci va, però questo forse non era meglio tenerselo per l'estate?
RispondiEliminaSarà il Jovanotti messo a fine post, ma chissà perché mi dà quell'impressione lì... :)
Era meglio, sì, ma me l'ero messo in testa e non c'è stato niente da fare. :)
EliminaMi spiace non sia stato quel balsamo che cercavi. A me è piaciuto abbastanza, in certe scene ha toccato ricordi d'infanzia mai dimenticati. Certo, la trama è fragilina, quasi inesistente, si fa perdonare con la delicatezza.
RispondiEliminaConcordo con te. L'ho già perdonato, per fortuna. :)
EliminaE ora mi sento un po' meno sola. Fermo restando la grande bellezza di tutto il resto che ho letto, da Versilia rock city a Chi manda le onde, passando ovviamente per Esche vive che rimane, come forse ricordi, il mio preferito, Il mare dove non si tocca non ha funzionato. Mi sono detta che era colpa del carattere eccessivamente farsesco (e mi sono risposta che pure gli altri non scherzavano); allora ho ipotizzato che sentissi la mancanza del punto di vista femminile (ma dove sta scritto che un autore debba usare sempre le stesse soluzioni?). Quindi faccio mio uno dei tuoi motivi e do la colpa - che colpa non è - al narratore bambino. Comunque aspetto con fiducia il prossimo libro. Ho la certezza che io e Genovesi faremo la pace XD
RispondiEliminaOh, diamoci la mano!
EliminaEro conventissimo che a te fosse piaciuto, sai? :)