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La casa delle voci, di Donato Carrisi. Longanesi, € 22, pp.
400 |
Al
pari di quelli di Stephen King, anno dopo anno, i romanzi di Donato
Carrisi sono diventati un appuntamento ricorrente. Apprezzato qualche
mese fa anche in sala, nonostante una trasposizione all’apparenza
impossibile da realizzare, lo scrittore e regista pugliese dalla
carriera inarrestabile deve aver fatto un tour de force per regalarci
un altro mistero sotto Natale. Ma sempre al pari del prolifico
collega del Maine, quest’anno giunto in libreria con il
dimenticabile L’istituto, anche il genio dietro i mille
intrighi del Suggeritore purtroppo mi ha parzialmente deluso.
Che mi abbia abituato, infatti, troppo bene?
In
pausa dalle saghe lasciate in sospeso, Donato si trasferisce a
Firenze. E senza fare il passo più lungo della gamba si concede un
thriller psicologico dei più classici – penso ai mondi di Dorn,
Fitzek, Kepler –, genere finora da lui mai approcciato. Meno
cruento e meno macchinoso del solito, benché su carta non meno
complesso, La casa delle voci è un enigma senza morti
ammazzati. Ne ho apprezzato a primo impatto l’eleganza, e nella
folla fiorentina ho subito scorto il cappotto Burberry del
protagonista; l’ho seguito fino al suo studio in un palazzo del
centro. Pietro Gerber – trent’anni, da poco papà, un vago
passato da dongiovanni – è uno psicologo infantile esperto in
ipnosi. È un lavoro delicatissimo, il suo, e lo studio ne riflette
le particolarità. Sprovvisto di sedia e scrivania, ha una comoda
poltroncina, giocattoli di ogni tipo, una vista irrinunciabile: ha
voluto che somigliasse a un grembo materno, a un nido. Pietro è un
ottimo ascoltatore. Dei bambini conosce i meccanismi di difesa, le
fantasticherie più maliziose. Chi ha detto che dicono sempre la
verità, che sono anime innocenti? A volte hanno una natura
vendicativa. A volte mentono.
Per
un bambino la famiglia è il posto più sicuro della terra, oppure il
più pericoloso: ogni psicologo infantile lo sa bene. Solo che un
bambino non sa distinguere la differenza.
Una
chiamata dall’Australia, però, è la spinta decisiva per accettare
un incarico atipico; un’eccezione alla regola. Hanna Hall,
fumatrice di nero vestita senza nessun senso dell’ironia, ha un
nome in assonanza con un personaggio indimenticabile di Woody Allen e
i sabati mattina tutti per sé: adulta, racconta al protagonista di
un’infanzia da survival americano – cito qualche titolo: Captain
Fantastic, Il castello di vetro, Light of My Life –
al seguito di una coppia di genitori vagabondi. Quella vita allo
sbando, piena di regole, sembrava soltanto un gioco. Ma chi erano gli
estranei da cui stare alla larga? Perché quella bara minuscola da
seppellire dal nuovo a ogni trasferimento? Cosa successe la notte
dell’incendio?
Che
si tratti di schizofrenia o di doti paranormali, le intuizioni
inspiegabili della paziente inquietano lo psicologo. Che porta, così,
la stessa suggestione anche dentro casa. Al decimo romanzo, Donato
Carrisi riconferma la sua grammatica riconoscibilissima: non mancano
gli albi illustrati e le cantilene, gli archivi polverosi e i
manicomi, i mostri sotto il letto e altri elementi di un lessico che
attinge puntualmente alle fiabe dei Grimm; riecco all’appello le
allegorie infantili, gli interessanti approfondimenti psicologici –
plagio, rimozione, suggestione –, le riflessioni sulla fallibilità
della custodia degli adulti. Ma questa volta, però, sembra
rinunciare alla struttura concatenata dei serial americani e
svecchiare uno spunto piuttosto sdoganato: come in un noir d’altri
tempi, il transfert tra i personaggi ribalta infatti le carte in
tavola; l’interrogatorio si fa dialogo. Chi studia chi?
Se
vuoi vivere, devi imparare a morire.
Per
la prima volta ammetto di aver intuito il finale in anticipo: da metà
in poi, mi sono limitato a veder succedere quello che avevo supposto.
Basta un colpo di scena in più, uno in meno, a compromettere la
piacevolezza di una lettura? Vi risponderei di no, ma questo è
il maggiore difetto della Casa delle voci. Un romanzo che non
vive né di stile né di personaggi, ma della sorpresa
dell’intreccio. Tolta quella, mi sono chiesto, cosa resta? Ad
alimentare i dubbi sono state le considerazioni su una scrittura
essenziale, incalzante ma frettolosa: benché ne guadagni in
sveltezza, con un ritmo più veloce che mai, i moventi risultano poco
definiti e i personaggi abbozzati con pennellate rapide. Lo
sceneggiatore ha avuto la meglio sul narratore; l’architetto di
trame sull’autore. Con un protagonista meglio indagato, più
tormentato – magari con l’adozione della prima persona,
variazione sul tema che personalmente avrei apprezzato –, il
mancato stupore dell’epilogo non mi avrebbe infastidito affatto.
Ma Pietro Gerber mi è parso qui una semplice pedina da
condurre alla fine del tabellone e la sua ricerca della verità,
letteralmente, non mi ha ipnotizzato; la delusione ha cancellato la
paura di non svegliarsi più, annullando il conto alla rovescia.
L’isolato passo falso, comunque, non mi spingerà a mettere questa
piccola casa stregata in subaffitto.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Linkin Park - Castle of Glass
Caspita! Non credevo gli assegnassi solo 3 stelle. Non amo particolarmente Carrisi, ma Il suggeritore mi era piaciuto davvero molto... Per questo romanzo, ci penserò ☺️☺️
RispondiEliminaNon credevo neanche io. Soprattutto dato il prezzo esorbitante.
EliminaSOno incuriosito da morire da questo nuovo romanzo di Carrisi, autore che sto imparando ad amare soprattutto nel corso degli ultimi due anni. Adesso sto portando a termine la trilogia del Tribunale delle anime - per me pazzesca, anche solo per l'ambientazione - poi deciderò se buttarmi sul Suggeritore o su questo standalone (sempre che si tratti di uno standalone). Anche perchè già ho veramente paura che L'uomo del labirinto mi abbia spoilerato clamorosamente la trilogia del Suggeritore...
RispondiEliminaVai tranquillo, nessuno spoiler sul Suggeritore! C'è solo Mila protagonista. Ti consiglio di passare all'altra serie, questo non mi ha entusiasmato purtroppo.
EliminaE dire che mi ispirava più degli altri suoi libri! Ciao da Lea
RispondiEliminaMagari ti piacerà di più! Lo spero!
EliminaSul lavoro di Carrisi sono indietro forse più che con quello di King. Anche perché questi due lavorano davvero un sacco!
RispondiEliminaNon credo ce la farò a mettermi mai in pari.
Di questo libro mi pare sia più interessante quella Hanna Hall che il protagonista...
Anche solo per il nome cinefilo, in effetti...
Eliminala tua recensione l'aspettavo!!!
RispondiEliminaecco, un po' mi fa tentennare, però è pur vero che siccome di base carrisi me gusta e m'attira, anche questo lo leggerò..., sperando mi entusiasmi un po' più di come è successo a te :-D
Lui va letto, sempre! :)
EliminaNe abbiamo già discusso a fine lettura e ammetto di essere una lettrice più "ingenua": alcuni particolari li avevo colti, ma l'epilogo per me rimane un dubbio irrisolto.
RispondiEliminaAspettiamo il prossimo per capire che piega prenderà il Donato nazionale :)
Stefi
Te l'ho detto. Secondo me, invece, nessuna ambiguità nell'epilogo. Ma qualche dalla di troppo. Vedremo... :)
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