mercoledì 4 dicembre 2019

Recensione: Gli altri, di Aisha Cerami

Gli altri, di Aisha Cerami. Rizzoli, € 18, pp. 288 |

Alle porte di una città imprecisata, protetto da una cortina di siepi che ne fanno una fortezza inespugnabile, sorge il condominio in cui ognuno di noi spenderebbe volentieri i propri giorni. Quattro piani, tredici abitanti di diversa estrazione sociale, porte sempre aperte, tutti che possiedono la chiave di scorta di tutti. Il Roseto è un microcosmo gaudente e lieto, destinato a un’eterna fioritura indipendentemente dalle stagioni meteorologiche. C’è un ricco fondo cassa, e ogni scusa è buona per attingervi e organizzare serate per pochi eletti – dal primo ciclo mestruale di una ragazzina al compleanno di un’ottuagenaria, da un funerale a una festa di benvenuto. La morte di un’abitante del Roseto, allo stesso modo, è una tragedia condivisa all’unanimità. Ci si fa forza insieme, soprattutto se l’infarto fulminante dell’anziana Dora significa far fronte a un altro dispiacere: rapportarsi da zero con nuovi inquilini. Qual è l’identità degli ultimi arrivati, che escono all’alba e rientrano al tramonto? Perché rifuggono i momenti di aggregazione e non si adeguano ai ritmi del resto del palazzo? Lo teorizzava già J. G. Ballard, nel classico della distopia da tempo immemore nella mia lista dei libri da recuperare: i condomini sono delle macchine perfette, i cui abitanti – sottoposti alla dittatura del quieto vivere – costituiscono un coro armonico e intonato ai limiti della spersonalizzazione. Lo ha ribadito il regista Roman Polanski, nella trilogia da brivido inaugurata con Repulsione. Gli ha fatto infine eco Alex de la Iglesia, con l’hitchockiano La Comunidad. Ultima ma non ultima, si concede un soggiorno malsicuro anche l’esordiente Aisha Cerami: il suo romanzo di debutto è una sorpresa inaspettata. Non lasciatevi ingannare dalla deliziosa copertina color pastello. Benché frizzante e leggerissimo, scritto in maniera svelta e puntuale, Gli altri non è assolutamente una storia consolatoria in cui l’ultimo rigo regala al lettore un messaggio di concordia. Ogni personaggio, infatti, ha una vita pubblica, una privata e un’altra segreta.

Anni e anni prima, in quel condominio, c’era stato un uomo che aveva stilato una legge uguale per tutti. Una legge indiscutibile e fondamentale perché quel posto restasse per sempre un luogo felice. Il regolamento veniva firmato alla prima riunione di condominio. Una firma senza valore legale, ma sacra. Un patto di sangue, senza tagli o giuramenti sotto la luna piena. E il regolamento diceva più o meno così: rispetta il prossimo tuo come te stesso; non usare violenza; non minacciare; non fare la spia; non avere segreti.
Ci sono Romana e Stevi, protagonisti di un matrimonio sadomasochistico da cui fuggire soltanto attraverso la fantasticheria di un tradimento coniugale; Rachele, sull’orlo di una crisi di nervi e madre di due gemelli pestiferi, con un volto devastato dalla psoriasi; le outsider Libia e Marilyn, la prima ex tossicodipendente e l’altra travestito di buon cuore; il Conte, prigioniero di una genitrice dispotica e dei disturbi ossessivo-compulsivi; il Vedovo e Maria, insegnanti in pensione, che talora mettono pace con parole assennate. E soprattutto c’è la quattordicenne Arina, figlia dell’umile Olga, che contro ogni pronostico si affeziona al figlio della famiglia appena giunta lì e l’ama di un amore quasi shakespeariano: Antonio è gentile, vorrebbe diventare un autore di horror, e regala all’adolescente sogni alternativi e uno sguardo più lucido sugli intrighi dei vicini. Il Roseto è lo specchio fedele delle contraddizioni della nostra società, nonché della cronaca. È fonte di protezione, è un vincolo; discrezione e omertà sono in rima baciata. Al centro di un isolamento perfetto, i personaggi della Cerami hanno buone maniere e animi oscuri: vedono pericoli dappertutto, specialmente nelle novità. Fanno spallucce davanti all’evidenza della violenza domestica, fiutano il marcio nella bellezza delle relazioni nascenti, vietano il sesso occasionale, seminano l’odio. Radunati in cortile, farneticano di suicidi e malocchio, somigliando ai membri di una setta grottesca. Il condominio li protegge, o forse li costringe in gabbia? Meglio porgere l’altra guancia, oppure battagliare?

Era lì, incastrato tra le fauci della morte, a tendere i muscoli verso l’alto, sperando di farsi nascere le ali. «Prima o poi capirà che non ha scampo» disse Rachele, pregustando il momento della resa. «Prima o poi morirà e noi ci illuderemo, per un momento, di aver ucciso tutti i topi del mondo» bisbigliò il Conte col fiato sospeso.
 La puzza persistente d’immondizia, un topo che scorrazza in giardino, l’avanzata di una macchia d’umidità sulla facciata, l’arrivo di un randagio che oltrepassa il cancello e squarcia le buste della spazzatura: la colpa, sancisce l’ennesima riunione, è proprio degli altri. Ricchissimo di dialoghi e caratterizzato da ambientazioni circoscritte, il romanzo ha pregi e difetti che derivano da un impianto sin troppo teatrale: le entrate e le uscite di scena sono scandite con l’orchestrazione un po’ meccanica del palcoscenico; i capitoli, alla stregua di atti, a volte danno l’impressione di essere appena giustapposti; non tutti i personaggi, per via di una divisione diseguale dei copioni, sono caratterizzati per forza di cose con la stessa perizia. Croce e delizia, comunque, di una commedia all’italiana nello stile di Perfetti sconosciuti e L’ultimo Capodanno, sorretta da un’ironia pungente e da un caos francamente irresistibile. Di una cattiveria che non dà tregua, Gli altri apre le gabbie ai matti e ai sentimenti più bestiali. Ti prende per sfinimento, e alla fine smaschera la vera indole di ciascuno di noi: sotto la maschera, in borghese, chi più e chi meno, siamo tutti mostri. Quanti patti abbiamo sottoscritto a cuor leggero, ignari di stringere accordi con Mefistofele? Quante volte abbiamo indicato la pagliuzza nell’occhio di qualcun altro?
La colpa è della trave che intanto sbuca dal nostro. Ci acceca. E se abbastanza acuminata, puntata verso il prossimo, qualche volta ferisce a morte.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Francesco Gabbani – Amen 

8 commenti:

  1. Sbam! La mia tbr va a farsi benedire e leggo questo, punto! XD

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    1. Ma leggi me, screanzata! Sono natalizio, ahahahah :)

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  2. Mi ero proprio fatta ingannare dalla copertina! E invece...sembra proprio cattivello.
    Un saluto da Lea

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  3. Per certi versi sembrerebbe interessante, ma il fatto che abbia un'impronta teatrale mi spaventa un po'...

    Aspetto la trasposizione teatrale.
    O anche no. :D

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    1. Quel teatrale alla Genovese che non guasta, però!

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