| Gli altri, di Aisha Cerami. Rizzoli, € 18, pp. 288 |
Alle
porte di una città imprecisata, protetto da una cortina di siepi che
ne fanno una fortezza inespugnabile, sorge il condominio in cui
ognuno di noi spenderebbe volentieri i propri giorni. Quattro piani,
tredici abitanti di diversa estrazione sociale, porte sempre aperte,
tutti che possiedono la chiave di scorta di tutti. Il Roseto è un
microcosmo gaudente e lieto, destinato a un’eterna fioritura
indipendentemente dalle stagioni meteorologiche. C’è un ricco
fondo cassa, e ogni scusa è buona per attingervi e organizzare
serate per pochi eletti – dal primo ciclo mestruale di una
ragazzina al compleanno di un’ottuagenaria, da un funerale a una
festa di benvenuto. La morte di un’abitante del Roseto, allo stesso
modo, è una tragedia condivisa all’unanimità. Ci si fa forza
insieme, soprattutto se l’infarto fulminante dell’anziana Dora
significa far fronte a un altro dispiacere: rapportarsi da zero con
nuovi inquilini. Qual è l’identità degli ultimi arrivati, che
escono all’alba e rientrano al tramonto? Perché rifuggono i
momenti di aggregazione e non si adeguano ai ritmi del resto del
palazzo? Lo teorizzava già J. G. Ballard, nel classico della
distopia da tempo immemore nella mia lista dei libri da recuperare: i
condomini sono delle macchine perfette, i cui abitanti – sottoposti
alla dittatura del quieto vivere – costituiscono un coro armonico e
intonato ai limiti della spersonalizzazione. Lo ha ribadito il
regista Roman Polanski, nella trilogia da brivido inaugurata con
Repulsione. Gli ha fatto infine eco Alex de la Iglesia, con
l’hitchockiano La Comunidad. Ultima ma non ultima, si
concede un soggiorno malsicuro anche l’esordiente Aisha Cerami: il
suo romanzo di debutto è una sorpresa inaspettata. Non lasciatevi
ingannare dalla deliziosa copertina color pastello. Benché frizzante
e leggerissimo, scritto in maniera svelta e puntuale, Gli altri
non è assolutamente una storia consolatoria in cui l’ultimo
rigo regala al lettore un messaggio di concordia. Ogni personaggio,
infatti, ha una vita pubblica, una privata e un’altra segreta.
Anni e
anni prima, in quel condominio, c’era stato un uomo che aveva
stilato una legge uguale per tutti. Una legge indiscutibile e
fondamentale perché quel posto restasse per sempre un luogo felice.
Il regolamento veniva firmato alla prima riunione di condominio. Una
firma senza valore legale, ma sacra. Un patto di sangue, senza tagli
o giuramenti sotto la luna piena. E il regolamento diceva più o meno
così: rispetta il prossimo tuo come te stesso; non usare violenza;
non minacciare; non fare la spia; non avere segreti.
Ci
sono Romana e Stevi, protagonisti di un matrimonio sadomasochistico
da cui fuggire soltanto attraverso la fantasticheria di un tradimento
coniugale; Rachele, sull’orlo di una crisi di nervi e madre di due
gemelli pestiferi, con un volto devastato dalla psoriasi; le outsider
Libia e Marilyn, la prima ex tossicodipendente e l’altra travestito
di buon cuore; il Conte, prigioniero di una genitrice dispotica e dei
disturbi ossessivo-compulsivi; il Vedovo e Maria, insegnanti in
pensione, che talora mettono pace con parole assennate. E soprattutto
c’è la quattordicenne Arina, figlia dell’umile Olga, che contro
ogni pronostico si affeziona al figlio della famiglia appena giunta
lì e l’ama di un amore quasi shakespeariano: Antonio è gentile,
vorrebbe diventare un autore di horror, e regala all’adolescente
sogni alternativi e uno sguardo più lucido sugli intrighi dei
vicini. Il Roseto è lo specchio fedele delle contraddizioni della
nostra società, nonché della cronaca. È fonte di protezione, è un
vincolo; discrezione e omertà sono in rima baciata. Al centro di un
isolamento perfetto, i personaggi della Cerami hanno buone maniere e
animi oscuri: vedono pericoli dappertutto, specialmente nelle novità.
Fanno spallucce davanti all’evidenza della violenza domestica,
fiutano il marcio nella bellezza delle relazioni nascenti, vietano il
sesso occasionale, seminano l’odio. Radunati in cortile,
farneticano di suicidi e malocchio, somigliando ai membri di una
setta grottesca. Il condominio li protegge, o forse li costringe in
gabbia? Meglio porgere l’altra guancia, oppure battagliare?
Era lì,
incastrato tra le fauci della morte, a tendere i muscoli verso
l’alto, sperando di farsi nascere le ali. «Prima o poi capirà che
non ha scampo» disse Rachele, pregustando il momento della resa.
«Prima o poi morirà e noi ci illuderemo, per un momento, di aver
ucciso tutti i topi del mondo» bisbigliò il Conte col fiato
sospeso.
La
puzza persistente d’immondizia, un topo che scorrazza in giardino,
l’avanzata di una macchia d’umidità sulla facciata, l’arrivo
di un randagio che oltrepassa il cancello e squarcia le buste della
spazzatura: la colpa, sancisce l’ennesima riunione, è proprio
degli altri. Ricchissimo di dialoghi e caratterizzato da
ambientazioni circoscritte, il romanzo ha pregi e difetti che
derivano da un impianto sin troppo teatrale: le entrate e le uscite
di scena sono scandite con l’orchestrazione un po’ meccanica del
palcoscenico; i capitoli, alla stregua di atti, a volte danno
l’impressione di essere appena giustapposti; non tutti i
personaggi, per via di una divisione diseguale dei copioni, sono
caratterizzati per forza di cose con la stessa perizia. Croce e
delizia, comunque, di una commedia all’italiana nello stile di
Perfetti sconosciuti e L’ultimo Capodanno, sorretta
da un’ironia pungente e da un caos francamente irresistibile. Di
una cattiveria che non dà tregua, Gli altri apre le gabbie ai
matti e ai sentimenti più bestiali. Ti prende per sfinimento, e alla
fine smaschera la vera indole di ciascuno di noi: sotto la maschera,
in borghese, chi più e chi meno, siamo tutti mostri. Quanti
patti abbiamo sottoscritto a cuor leggero, ignari di stringere
accordi con Mefistofele? Quante volte abbiamo indicato la
pagliuzza nell’occhio di qualcun altro?
La colpa è della trave che intanto sbuca dal nostro. Ci acceca. E se abbastanza acuminata, puntata verso il prossimo, qualche volta ferisce a morte.
La colpa è della trave che intanto sbuca dal nostro. Ci acceca. E se abbastanza acuminata, puntata verso il prossimo, qualche volta ferisce a morte.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Francesco Gabbani – Amen
Sbam! La mia tbr va a farsi benedire e leggo questo, punto! XD
RispondiEliminaMa leggi me, screanzata! Sono natalizio, ahahahah :)
EliminaWow!! Sembra davvero una bella lettura ☺️☺️
RispondiEliminaSorprendente di sicuro. :)
EliminaMi ero proprio fatta ingannare dalla copertina! E invece...sembra proprio cattivello.
RispondiEliminaUn saluto da Lea
Ma parecchio!
EliminaPer certi versi sembrerebbe interessante, ma il fatto che abbia un'impronta teatrale mi spaventa un po'...
RispondiEliminaAspetto la trasposizione teatrale.
O anche no. :D
Quel teatrale alla Genovese che non guasta, però!
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