Doveva
essere prima Sacha Baron Cohen, poi Ben Whishaw, ma la scelta è
ricaduta all'ultimo su Rami Malek: fra uno slittamento e l'altro, la
travagliata scelta dell'attore protagonista aveva accontentato tutti.
Alla regia, invece, Brian Singer era stato sostituto nel mentre da
Dexter Fletcher: gli scandali sessuali, si sa, non avvisano in
anticipo le major hollywoodiane. Con tutti gli accorgimenti delle
pellicole sofferte, rattoppate, che soltanto nel mentre decidono cosa
essere e cosa non essere, Bohemian Rhapsody ha
finalmente visto la luce lo scorso novembre. Nonostante le disastrose
premesse, al botteghino si è rivelato un successo straordinario. Gli
è andata senz'altro meglio che ad altri biopic al centro di simili
rimaneggiamenti, ma il risultato, modestissimo, non cambia. In quale
momento la voce solista dei Queen è diventata leggendaria? Da dov'è
partita l'ascesa inarrestabile di Freddie Mercury, a cui nemmeno la
morte precoce ha tarpato le ali? Nato a Zanzibar, facchino in un
aeroporto britannico, aveva quattro incisivi superiori, un'estensione
da pelle d'oca e avventure sentimentali che, con l'avvento dell'Aids,
facevano tremare la comunità gay. Figlio maggiore in una famiglia di
immigrati, sentiva il bisogno di sentirsi parte di qualcosa: tutto
partì da una semplice band universitaria. Sognava di vedersi idolo delle folle. Non gli mancheranno attorno cattivi consiglieri, e la solitudine, a giorni
alterni, si farà sentire. Quando tutti andranno avanti, si
stancheranno di festeggiare e di seguirlo a ruota
nelle sue bizze da primadonna. Mai, tuttavia, di starlo ad ascoltare.
Biografia parziale e canonica, godibile ma mai all'altezza del suo
ispiratore, in Bohemian Rhapsody funzionano
quelle canzoni sempiterne; lo scatenato Malek, che compensa con gli
sguardi e i movimenti all'impaccio delle parrucche e agli
inguardabili denti posticci; le ville piene di gatti adorabili e la
freschezza dell'attrice Lucy Boynton, descritta come l'amore di una
vita a dispetto del compagno storico. Scarseggiano il sesso, le droghe, gli amanti sbagliati.
Scarseggiano gli eccessi, la voglia di provocare e gli autentici
colpi di genio. Sovversivo qual era, Mercury si merita ben più di una agiografica vittima dei divieti e dei cambi di rotta. I Queen
hanno riempito gli stadi, e continuano a farlo con Adam Lambert come
erede spirituale. Riempiono le sale, ora, rubando premi immeritati e
infrangendo record. Il loro film piacerà ai fan di vecchia data,
alle famiglie riunite, meno agli appassionati. Povero di trovate
stilistiche, di guizzi, al punto da stonare un po': un autentico
paradosso, dipingendo a spizzichi, bocconi e ritornelli da cantare a
memoria un leader dall'intonazione perfetta. (6)
Ci
sono quelle storie talmente assurde da essere vere. Ci sono sceneggiature – da premio
Oscar, i bookmaker hanno parlato – che
brillano senza grandi sforzi, perché la cronaca ha già mostrato
umorismo e inventiva in dosi abbondanti. Questa è la storia, assurda
per l'appunto, di un poliziotto che ha l'ardine
di infiltrarsi in un covo pericolosissimo: il
Ku Klux Klan. Un poliziotto afroamericano. Come passare inosservati
nella setta intollerante per antonomasia, se la pelle nera e la voce
grossa non mentono? Unico sbirro di colore a Colorado Springs,
spiccherebbe nella massa di per sé: alle sue origini, aggiungete
anche idee reazionarie. Rifiutare il modesto lavoro in archivio e far
crollare nel decennio delle rivolte per la guerra in Vietnam, delle
manifestazioni per il famoso Black Power, la casa degli orrori. Basta
un annuncio sul giornale per comporre un numero di telefono e
dichiarare di volerne fare parte dall'oggi al domani. Basta un
aiutante – bianco, però – da guidare all'interno passo dopo
passo. Non abbastanza militante per la comunità afroamericana, la
mente John David Washington si appoggia al braccio Adam Driver, al
contrario non abbastanza ebreo. Loro, che non hanno mai pensato alla
razza, alla religione, né al dramma delle proprie origini,
prenderanno coscienza di sé all'improvviso. I poliziotti, sul chi va
là, guardano intanto dalla parte sbagliata. I membri del Ku Klux,
affatto invisibili, cercano un nuovo leader carismatico: magari per
puntare, un giorno, alla presidenza degli Stati Uniti? L'America, ci
si consola invano, non eleggerebbe mai uomini così. O forse sì? Ci
ha smentiti l'avvento Trump e, ancora una volta, il terrore
è venuto dall'interno, non dallo straniero. Uno Spike Lee in forma
smagliante punta il dito, fa nomi su nomi, non le manda a dire.
Divertentissimo e arrabbiatissimo, prende in prestito l'aria
scanzonata delle commedie poliziesche e un tema che scotta. Un po'
classico buddy movie, un po'
satira, un po' biografia d'inchiesta, BlacKkKlansman sa
ridere della tragedia del razzismo e di se stesso. Ignora qualsiasi
retorica, si fa beffe del politicamente corretto, ma conferma nel
male la mia scarsa affinità con il cinema di Lee: regista che poco
mi piace, e di cui avrò visto i film sbagliati. Appiattito dal
doppiaggio e banalizzato strada facendo da uno sviluppo meno
originale dello spunto di partenza – due protagonisti prima rivali
e poi amici, un piano criminale da sabotare, l'immancabile trucco del
microfono nascosto che, in ultima battuta, fa storcere il naso –,
intrattiene con il suo carico di indignazione e attualità, grandi
attese e grandi nomi. Graffia, ma poco aggiungono gli attori, la
regia dai toni retrò, la settima arte. Il messaggio arriva,
forte e chiaro, ma ci si aspettava una marcia in più. (6,5)
Passato
alla storia per aver soffiato lo scettro a La
La Land,
Barry Jenkins aveva infastidito più di qualcuno – occhi puntati a
quella vittoria politica, a quel dramma tetro preferito al musical di
Chazelle –, ma non il sottoscritto. Moonlight mi
aveva commosso, imperfetto e strabordante com'era. A colpirmi,
l'universalità e la discrezione di un autore che raccontava una
storia d'amore senza farne mai un film LGBTQ. Atteso al varco,
quest'anno è tornato: l'intento, quello di parlare di persecuzione
razziale senza mai scomodare il razzismo. Possibile? Lo splendido
romanzo di James Baldwin gli aveva già spianato la strada: si
parlava d'amore, mica di odio, e i toni erano quelli inconsueti di
una fiaba romantica. In cui lui ama lei, c'è un bambino in arrivo,
ma il poliziotto sbagliato accusa l'uomo sbagliato: può Stephan
James aver stuprato una donna indifesa? L'incantevole Kiki Layne non
ci crede e, con il pancione che cresce, mobilita gli avvocati
difensori e le famiglie in frantumi – se quella di Fonny, a
proposito di fiabe, sarà composta da matrone bigotte appena uscite
dalle pagine di Cenerentola,
la ragazza potrà contare sull'ostinazione di Regina King: una mamma
che s'impunta, s'improvvisa segugio in viaggio a Puerto Rico, ma non
rischia di restare nel cuore con un'eroina femminile che sa di già
visto. Bellissima dal punto di vista stilistico, la trasposizione
colpisce lo sguardo per l'approccio di un Jenkins esteta come non
mai: l'intimità mozzafiato dei piani sequenza, la scelta dei colori
pastello, l'avvolgente colonna sonora jazz. Il filtro insolito della
favola urbana, tuttavia, fa correre al regista un rischio serissimo:
quello di risultare fuori tempo, con un melodramma alla Frank Capra.
Mancano la vena sarcastica di Lee, la potenza dialettica
di Washington, la
concordia di Farrelly,
e questo messaggio d'amore, purtroppo, al cinema trova un mondo
troppo scettico, troppo cinico. Lì, nella sua semplicità, il suo
grande coraggio ma anche la sua insanabile pecca. Il romanzo, scritto
cinquant'anni fa, sembra stato pensato ieri; il film, fedelissimo,
risulta antiquato. La tristezza, quella vera, nasce davanti al
monologo di un vecchio amico appena uscito di galera e terrorizzato
all'idea di farvi ritorno. L'empatia, quella vera, è per un Dave
Franco che apre casa sua alle coppie felici, mentre i protagonisti –
che penetranti sguardi in camera, che volti telegenici –
fantasticano su come arredare un open space. Fonny e Tish credono in
Dio, nella giustizia, in loro stessi. Se la strada potesse parlare,
allora, ti racconterebbe di un epilogo sospeso nella speranza, di un
passo indietro per Jenkins, di un tentativo a metà. Al chiaro di
luna, Beale Street aveva tutta un'altra forza. (6)
Devo dire che questi film non rientrano nella categoria di quei film che mi piacerebbe vedere, ma il secondo sembra davvero interessante :)
RispondiEliminaUna storia da conoscere!
EliminaChissà se riuscirò mai a recuperare Bohemian Rhapsody? Diciamo che non mi sono mai messa d'impegno per farlo... Il film di Spike Lee non mi era dispiaciuto, dopo i suoi ultimi lavori sembra stia tornando in sè... mentre il film di Jenkins non mi è davvero piaciuto. Peccato, perchè dopo Moonlight ero fiduciosa.
RispondiEliminaPoco di perdi, anche se quest'anno, va detto, la concorrenza scarseggia proprio. Daje Roma!
EliminaQuesti Oscar non sono male, ma nemmeno quelli da tifo sfegatato. Tutti film che emozionano, che fanno riflettere ma gli manca qualcosa, (in ordine: più aderenza alla realtà, più ritmo, meno miele) per fare davvero centro. Mai come quest'anno mi ritrovo a non sapere chi preferire.
RispondiEliminaRoma, e passa la paura.
EliminaAnche se le vittorie annunciate non mi sono mai piaciute, preferisco la sorpresa: a patto che non sia sgradita.
Bohemian Rhapsody è una favola perfetta per cantarci su. Visto al cinema è trascinante, certo, ma non è sicuramente il film dell'anno. Troppo edulcorato, troppo "volemosebbene".
RispondiEliminaBlackkklansman mi è piaciuto, io a Spike Lee non voglio bene per nulla ma questo film rientra nelle mie corde e i protagonisti sono simpatici. Una commedia in grado di far riflettere e angosciare sul finale, piena di citazioni, molto gradevole.
Se la strada potesse parlare è affascinante, ha dalla sua una regia e una colonna sonora splendidi, però non è scattata la scintilla. troppo zucchero, anche lì.
Tre mezze delusioni, per me. Come dice Lisa, ci si aspettava qualcosa di più e qualcosa di meno. Il risultato, molto piacevole, poco resta impresso.
EliminaA questo giro sono del tutto in disaccordo.
RispondiEliminaOrmai mi ritrovo più in Ford che in te, e la cosa è preoccupante. Per tutti e 3. :D
Ultimamente ti piacciono solo i film noiosi, o sbaglio? ;)
Ben venga anche il cinema d'intrattenimento, e un film come Bohemian Rhapsody da questo punto di vista funziona. Lo dice uno che i Queen non li ha mai sopportati.
BlacKkKlansman pure come prodotto d'intrattenimento funziona alla grande, ma in più possiede un'ironia feroce. E Se la strada potesse parlare non ha una sceneggiatura particolarmente sorprendente, ma si sente come il regista abbia a cuore i suoi personaggi.
Sono due pellicole appassionate e vicine alla materia trattata, cosa che non si può certo di film algidi e che si tengono a distanza di sicurezza dai loro personaggi come Roma o La favorita...
Nah, se tu che hai sviluppato un avversione verso le cose belle, mi sa! 😉
EliminaConcordo abbastanza con Bohemian Rhapsody. Un santino sul personaggio, che coinvolge e in cui forse troppo il becco ci ha messo Bryan May.
RispondiEliminaNon concordo invece su BlacKkKlansman, secondo me uno dei migliori tra gli otto candidati. Spike Lee ai massimi livelli, dialoghi taglienti e cattivissimi, il razzismo messo alla berlina, piaciutissimo.