martedì 7 ottobre 2025

Recensione: Le notti di Salem, di Stephen King

| Le notti di Salem, di Stephen King. Sperling & Kupfer, € 14, pp. 656 |

Per un lungo periodo della mia vita — tra la fine delle elementari e il liceo —non ho letto altro che Stephen King. Nella mia vecchia camera, sul letto, ho una mensola con schierati tutti i suoi romanzi più famosi. Anzi: avevo. Quest'estate ho riposto tutte le mie cose, smantellando scaffali e ricordi, per l'imminente trasloco di papà. La mia adolescenza è in un garage — materiale fragile, maneggiare con cura. Ma ho voluto sottrarne una piccola parte, tenendo fuori dagli scatoloni uno dei pochi classici finora mai affrontati: Le notti di Salem. Tra incanto e terrore, proprio come accadeva da ragazzino, ho realizzato che il me adolescente non sbagliava: Stephen King resta il più grande narratore sulla faccia della terra.

Ogni notte bisogna combattere la stessa battaglia e l'unica cura è l'inevitabile atrofizzazione delle facoltà immaginative, quell'evoluzione che si chiama età adulta.

Scritto sul finire degli anni Settanta, il romanzo è cinema allo stato puro. Benché lontano dall'introspezione di It, contiene già traccia del capolavoro che arriverà qualche anno dopo. Anche qui abbiamo una cittadina immaginaria dove i fantasmi del Vietnam, gli scandali e i segreti affollano le confessioni più nere dei parrocchiani. Anche qui abbiamo un ritorno a casa, alle origini del male, e un gruppo di eroi coraggiosi — accanto a Ben, scrittore in cerca di ispirazione, ci sono un professore a un passo dalla pensione e un piccolo boyscot ossessionato da Houdini. Le assi scricchiolano. Le porte cigolano. Le risate argentine dei bambini ghiacciano il sangue nel cuore della notte. Su tutto e tutti, ritta su un poggio come un dio crudele, domina Casa Marsten: teatro di un misterioso omicidio-suicidio dopo la crisi di Wall Street, attira puntualmente uomini malvagi e, questa volta, diventerà testimone di una mattanza senza pari. Sopravvivranno in pochi.

L'oscurità è quando i mostri ti prendono.

Chi sono gli ultimi arrivati, Staker e Barlow, e cosa contengono quelle casse polverose portate dall'Inghilterra? Che fine hanno fatto i fratelli Glick e perché i cadaveri fuggono via dall'obitorio, tenendo in scacco il borgo? Con un montaggio alternato degno dei maestri del cinema, King segue la lotta alla sopravvivenza dei suoi protagonisti dal tramonto all'alba. Ogni scena è sezionata con attenzione autoptica. Ogni personaggio, perfino il più dimenticabile, ha un background indagato nel dettaglio. I ritmi sono implacabili. Ma è nelle lunghe sequenze corali — le migliori — che King sfoggia tutto il talento di cui è capace, spostandosi in volo da una casa all'altra di Lot. Viene fuori, così, il ritratto oscuro di una America provinciale e perbenista, dove gli eredi di Dracula troverebbero tutt'ora terreno fertile. Tra acqua santa, aglio e paletti, King si diverte come un bambino dispettoso. E cinquant'anni dopo non smette di divertirci, con l'omaggio a Bram Stoker che esisteva — e mordeva — prima di Netfix, prima del binge watching, prima dei remake.

Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio musicale: Dead Can Dance – The Host of Seraphim

martedì 30 settembre 2025

Recensione: Mysterious Skin, di Scott Heim

| Mysterious Skin, di Scott Heim. Playground, € 18, pp. 272 |

È possibile raccontare l'indicibile? Scott Heim — autore di culto, nonostante due soli romanzi all'attivo — non conosce tabù. Impavido, chirurgico, cinematografico, affronta a testa alta i trigger warning più destabilizzanti e reinventa il lessico del dolore in una storia che mostra due risposte diverse al medesimo trauma. Il cammino dell'elaborazione non è lineare. Ma lungo, dissestato, tortuoso. Qualcosa di terribile ha segnato per sempre l'infanzia di Brian e Neil. A Hutchinson, Kansas, giocavano nella stessa squadra di baseball. Come si è evoluta la loro sessualità? Quali risposte si sono dati per giustificare le famiglie disfunzionali, i ricordi inaffidabili, le esistente condannate a un eterno limbo? Brian soffre di epistassi e di vuoti di memoria. Fragile e ingenuo, consuma storie di fantascienza da quando ha visto qualcosa di misterioso fluttuare su un campo di cocomeri. Gli alieni esistono e, forse, lo hanno rapito quando aveva otto anni. Neil, da sempre più spregiudicato, ha presto imparato che il sesso è un'arma a doppio taglio — e lui la impugna dalla parte del manico.

A dodici anni avevo visto più tornado che gocce di sangue. Il suo rosso sembrava magnifico e sacro, come un rubino fatto a pezzi.

Sconsigliato ai lettori facilmente impressionabili, Mysterious Skin — diventato anche un film diretto da Gregg Araki — mette subito alla prova con tematiche scabrose e descrizioni di una violenza grafica. Provoca, scoraggia: è un fiume nero, torbido e pericoloso, che non sarà semplice guadare. Ma, dopo un impatto inizialmente scioccante, si apre a una polifonia di voci in cerca di speranza. E si trasforma in un trattato di psicologia, in un giallo, sul più grande dei misteri: la rimozione. I protagonisti hanno dimenticato il passato, ma i loro corpi ricordano — la luce blu di un portico, i lividi, la piovosa estate del 1981. Non tutti i punti di vista appaiono sempre funzionali alla narrazione e, a tratti, l'intensità rischia di disperdersi: sin dall'inizio, infatti, noi lettori sappiamo quanto accaduto. Aspettiamo così che i protagonisti scavino tra le macerie dell'infanzia, che maturino finalmente nuove consapevolezze, in un romanzo che oggi nessuno avrebbe osato né scrivere né pubblicare. Un oggetto non identificato. Una carogna da cui, nonostante le avvertenze di mamma e papà, non riesci a distogliere lo sguardo. 

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Radiohead - How to Disappear Completely

martedì 23 settembre 2025

Recensione: Raccontami tutto, di Elizabeth Strout

| Raccontami tutto, di Elizabeth Strout. Einaudi, € 19, pp. 288 |

È destino. Torniamo spesso dove siamo stati bene. E così, dopo qualche anno di lontananza, sono tornato a perdermi nelle storie della bravissima Elizabeth Strout. A Crosby, Maine: una cittadina vista mare, dove tutti conoscono tutti e i personaggi dell'autrice sono soliti incontrarsi. Come parte di un grande universo espanso, i protagonisti dei suoi più grandi successi — Olive Kitteridge, Mi chiamo Lucy Barton, I ragazzi Burgess — si incrociano in un romanzo che farà la gioia di tutti i lettori della prima ora, senza però scoraggiare gli ultimi arrivati. Nonostante sia consigliabile già conoscerli, niente paura: Raccontami tutto non è un romanzo di trame intricate ed eventi spiazzanti, ma un gioiello che brilla della quieta semplicità della provincia.

Olive tacque un bel po'. Poi disse, in tono pensoso: “Strambo, no, il mondo in cui viviamo? Per anni mi sono detta: Mi mancherà questo quando muoio. Ma per come va il mondo di questi tempi, certe volte penso che sarò ben contenta di essere morta”. E rimase seduta in silenzio a guardare fuori al parabrezza. “Invece mi mancherà lo stesso”, disse.

Qual è il senso della vita di noi persone normali? Sembrano chiederselo tutti, mentre Crosby si veste dei colori autunnali e qualcuno si trasferisce lì per sfuggire al Covid. Lucy, la scrittrice arrivata da New York, cerca idee per il prossimo romanzo dopo avere raccontato di un'infanzia infelice e di un matrimonio burrascoso. La sua migliore interlocutrice? L'indimenticabile Olive, novantenne due volte vedova, che ora vive in una casa di riposo e ha imparato a smussare un po' il suo caratteraccio. Accanto a loro, Bob: il mio nuovo personaggio preferito. Penalista in pensione, qui fa i conti con il mistero della morte del padre, la vedovanza del fratello maggiore, la scomparsa di un'anziana il cui figlio è il principale indagato. Soprattutto, con la cotta per Lucy: entrambi sessantenni, sposati ma un po' in crisi, condividono lunghe passeggiate sul fiume in una storia d'amore tenera come poche, ma destinata a rimanere platonica.

Quando arrivarono alle macchine, Bob spalancò le braccia e disse: “Ti abbraccio, Lucy”. E lei spalancando le braccia disse: “Anch'io, Bob.” Ma non si abbracciarono.

L'autrice Premio Pulitzer, questa volta alle prese anche con un giallo, intreccia con eleganza e levità vicende su vicende. Reduci dalla pandemia, i suoi protagonisti rifuggono l'isolamento e amano essere ascoltati. Condividono così «storie di solitudine e amore, e dei piccolissimi legami che stringiamo nel mondo», in una lettura in cui il superpotere dell'empatia ti invoglia a conoscerli come le tue stesse tasche. E a rimandare il più a lungo possibile il momento del congedo. Perché Raccontami tutto – con le sue “vite ignorate” alle prese con la malattia, il tradimento, l'abuso, la povertà – rende felicissimi. L'esistenza va avanti. La natura segue il solito ciclo. I cuori, perfino quelli infranti, continuano a battere. È la forza delle vita. Ed è in questa umanità ordinaria, ma assolutamente incantevole e ostinata, che risiede la magia di Elizabeth Strout.

Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio musicale: Birdy – People Help the People

martedì 16 settembre 2025

Halloween in anticipo: Weapons | Bring Her Back | 28 anni dopo | So cosa hai fatto | Heretic

Era stato etichettato come l'horror dell'anno ancora prima di arrivare al cinema. Al battage pubblicitario, poi, si sono aggiunti gli incassi: sorprendenti, soprattutto in estate. Che fine hanno fatto diciassette bambini scomparsi nel cuore della notte? Per venire a capo del mistero, Cregger confeziona un film a capitoli, lungo e ambizioso, in cui punti di vista diversi si intrecciano in preparazione del finale: intrattenente, ma al di sotto delle aspettative. Servivano due ore che oscillano dal mystery al grottesco fino allo splatter più puro? Serviva una struttura-puzzle che poco spiega dei personaggi e troppo a lungo maschera, rimanda, dissimula una verità soprannaturale? Più derivativo del previsto — una versione blockbuster di Longlegs, con cenni a Stephen King —, Weapons punta all'iconicità con le sue corse a braccia larghe e le apparizioni terrificanti di zia Gladys. Ma si limita a riproporre in chiave contemporanea le fiabe più oscure dei Grimm, trasformando in una folle corsa a zig-zag un cammino altrimenti linearissimo. Qualcuno si sentirà preso in giro. Qualcuno, invece, si divertirà. Io, nel mezzo, aspetto Together — e mi tengo stretti gli altri film del post. (6,5)

L'horror è il genere che meglio si presta a cambiare pelle. A tormentare. A sviscerare ciò che fa più male. È il caso di Bring Her Back, ritorno alla regia del duo di Talk to Me, che attraverso una trama archetipica — due fratellastri ospiti di una strega cattiva — fruga nelle viscere degli abusi familiari, della disabilità, del trauma, del lutto. Scritto come una fiaba nera, lascia i protagonisti in balia di Sally Hawkins. Sottovalutissima, regala un'interpretazione destinata a trasformarla in una delle villain più memorabili del cinema recente. Coi suoi rituali, con le sue videocassette sgranate, fa una paura matta. E spezza il cuore, in un film dove il sangue — copioso, forse inutilmente — è un inganno per inchiodarci a una parabola alla Hereditary sull'insostenibilità di certe perdite. Non esiste un termine per definire una madre che ha seppellito la propria figlia. Ed è proprio in questo vuoto lessicale che l’horror affonda le mani. Allora non resta che affidarsi al cinema di genere, alla magia nera, per dare una forma — per quanto mostruosa — a tutto ciò che il dolore rende contro natura. (8)

Può un film pieno di morti essere un inno alla vita? Me lo chiedevo l'anno scorso, davanti al prequel di A Quiet Place. L'interrogativo, insieme alla commozione, mi ha seguito anche in 28 anni dopo. Il Regno Unito continua a essere il focolaio di un contagio. I protagonisti utilizzano la terraferma come terreno di ricognizione. Ci sono un padre col complesso dell'eroe (Taylor-Johnson, di nuovo con arco e frecce), una mamma malata (Comer: da nomination) e, soprattutto, un dodicenne contro le regole (l'esordiente Williams, straordinario). Garland stupisce con un romanzo di formazione sanguinoso ma delicatissimo, dove abbondano i cenni alla contemporaneità — il Covid e la Brexit, la mascolinità tossica e l'eutanasia — e Boyle può ricordarci di essere tra i più grandi registi viventi. Tornato alla regia della serie, alterna una prima parte iperviolenta a un prosieguo dal lirismo struggente, dove la vita si annida dappertutto e le ossa impilate ci ricordano che la morte e l'amore, forse, non sono che due teschi della stessa medaglia. (7,5)

Da adolescente, a torto, l'ho sempre trovato la copia sbiadita della saga di Scream. Il tempo mi ha dato torto. A sorpresa, So cosa hai fatto è invecchiato meglio del previsto, e quello arrivato al cinema a metà luglio — a cavallo tra sequel e remake — è un ritorno alle origini che ho trovato delizioso. Il merito spetta a una scrittura fresca e genuinamente divertita, che dialoga con le commedie splatter e omaggia le atmosfere anni Novanta senza però scordare i colpi di scena. Il nuovo cast, in cui brilla l'esilarante Madelyn Cline, si muove sulla vecchia scena del crimine. Tornano i superstiti dell'originale — iconico il cameo di Sarah Michelle Gellar —, ma in un film dove il passato torna a mietere vittime non c'è troppo spazio per la nostalgia. I ricordi ci ammazzeranno tutti. Per fortuna, quelli del film di Jennifer Kaytin Robinson ci hanno salvato dalla noia delle uscite in sala. Da vedere possibilmente al cinema, tra i risolini delle ragazzine e gli avanzi di popcorn. (7)

L'incipit: tra i più classici. Due ragazze giovani e belle bussano alla porta di un uomo misterioso in un giorno di pioggia. Potrebbe essere il prologo di uno dei tanti torture porn. Heretic, invece, è un horror psicologico arguto, cerebrale, originalissimo. Sophie Tatcher e Chloe East sono una coppia di missionarie e Hugh Grant, qui nel ruolo di uno dei villain più memorabili degli ultimi anni, è un padrone di casa che le costringe a un sadico gioco di ruolo. Ai fiumi di sangue, i registi Scott Beck e Bryan Woods preferiscono quelli di parole. Pur non disdegnando scantinati oscuri e stilettate, curano un gioiello dalle atmosfere teatrali e dalle riflessioni caustiche. Il loro film – frutto di dieci anni di lavoro – sintetizza le contraddizioni delle tre grandi religioni monoteiste come un piccolo manuale di teologia, e ci dice che il cristianesimo è solo la copia di mille riassunti. Quale sarà il prossimo aggiornamento? Chi saluteremo come nuovo Messia? Io ho fede in A24. E nell'horror come metafora massima della vita, della morte e di ciò che, sfuggente, c'è nel mezzo. (7,5)

martedì 9 settembre 2025

Recensione: L'imperatore della gioia, di Ocean Vuong

| L'imperatore della gioia, di Ocean Vuong. Guanda, € 20, pp. 432 |

È considerato una delle voci più significative della sua generazione. Classe 1988, origini vietnamite, si muove con successo tra prosa e poesia. Tutti scrivono di lui — da Oprah a Bjork. Il suo secondo romanzo, però, è molto diverso da come ce lo raccontano oltreoceano. Presentato come un'avventura alla Mark Twain, potrebbe deludere chi confidava in un'epopea densa e rocambolesca. La trama, essenziale, racconta le gioie e i dolori del giovane Hai: alter-ego dell'autore, ha sviluppato una dipendenza dai farmaci e dalle bugie. Mentre pensa di togliersi la vita, lo salva Grazina: ottant'anni, ha bisogno di un infermiere per fronteggiare la demenza e i flashback di una Lituania sotto assedio, divisa tra Hiltler e Lenin.

Il superpotere dell'essere giovani consiste nel fatto che sei più vicino al non essere nulla – e quando sei molto vecchio è la stessa cosa.

Vuong descrive la loro improbabile convivenza, ma anche la routine tragicomica del ristorante in cui Hai lavora part-time. L'HomeMarket potrebbe essere il set di una sit-com. Popolato da personaggi ai margini — prostitute, reduci, eroinomani —, offre cornbread di una bontà leggendaria e un cast di comprimari adorabili. BJ (la manager wrestler), Maureen (rettiliana convinta) e Sony (cugino Asperger con il pallino per la guerra civile) sono gli ingranaggi di un microcosmo umile e dignitoso che diventa emblema del sogno americano. Troppo lirico e frammentario per i miei gusti, ma ispiratissimo, Vuong ha lo sguardo empatico del cinema di Sean Baker.

Le parole sono incantesimi. In quanto scrittore, dovresti saperlo. È per questo, Labas, che si dice “fare lo spelling”, da spell, incantesimo.

Scrive così una fiaba su un battaglione di diseredati — i personaggi sono tutti immigrati, fragili, abbandonati —, che nell'America di Obama porta avanti le speranze delle generazione precedente. Era il 2009, e tutto sembrava possibile: soprattutto reclamare appartenenza. Benché politico e saldamente ancorato al reale, L'imperatore della gioia ha la grazie necessaria per conferire una dimensione favolistica al dramma dell'emarginazione. East Gladness, Connecticut, è un luogo ai confini della realtà in cui l'inverno è lungo sette mesi, la brina ricopre ogni superficie e il fiume gorgoglia inquinamento. Lì, in una baracca sull'argine, è possibile imparare dal nuovo la gentilezza, la collaborazione, la fiducia nel progresso umano. Il segreto, direbbe Grazina, è abbuffarsi di carote: ci vogliono vitamine — e piccoli eroi di questi — per prevenire la tristezza.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Stonemilker - Bjork

lunedì 1 settembre 2025

Recensione: Il Nix, di Nathan Hill

| Il Nix, di Nathan Hill. Bur, € 17, pp. 768 |

Secondo David Foster Wallace, tutte le storie d'amore sono storie di fantasmi. E quelle di famiglia, invece? Per la seconda estate consecutiva, mi sono regalato la lettura di un romanzo-mondo di Nathan Hill. Anche questa volta, un'epopea varia e giocosa, tentecolare e ambiziosissima, sulla vita vera e immaginaria di due generazioni a confronto. Senza sorprese, l'autore di Wellness fa ancora centro — anzi, lo aveva già fatto un decennio fa: Il nix è il suo esordio. Subito opzionato per una serie TV con Meryl Streep, purtroppo mai andata in porto, parte dall'aggressione all'aspirante presidente degli Stari Uniti. Cosa ha spinto una pensionata con un passato da sessantottina a lanciare sassi contro l'alter-ego di Trump?

Se non hai paura, non è un vero cambiamento.

A tentare di scrivere la biografia della terrorista di cui tutti parlano è Samuel, professore sull'orlo del licenziamento: Faye è la madre che l'ha abbandonato. È possibile perdonare ciò che scoprirà? O è proprio in quella conoscenza che si nasconde un’occasione di trasformazione? È così che il romanzo si apre, si espande, si moltiplica. Con invidiabile intelligenza, Hill ci guida tra linee temporali che si rincorrono, cambi di prospettiva, rimpianti a confronto. C’è l’infanzia di Samuel, segnata dall’incontro ambiguo con l'amico Bishop e dalla presenza di Bethany, la gemella violinista. C’è poi l’adolescenza di Faye, tra l’assassinio di Martin Luther King e un poligono sentimentale bruciato tra poesie di Ginsberg e lacrimogeni. Ma prima ancora c’è lui, nonno Frank: un immigrato norvegese che produce napalm, ma rimpiange una casa color salmone affacciata sui fiordi. È da lui che arriva la leggenda del titolo: il nix è uno spirito mutevole, che si manifesta sotto forma di ciò che desideri di più — ma solo per colpirti dove sei più vulnerabile.

Forse accanto al mondo reale c'era questa fantasia, quest'altra vita in cui aveva ereditato la fattoria color salmone. A volte queste fantasie possono essere più persuasive della vita vera, Faye lo sa. Una cosa non è necessario che accada perché sia vera.

Si viaggia dai videogiochi di ruolo ai libri-game, dai beatnik ai gamer, dal Vietnam all'Iraq. Ogni generazione ha il suo linguaggio, i suoi traumi, le sue rivoluzioni. Ma l'America di Hill, oggi, è un paese in cancrena, dove perfino la politica è un’operazione di marketing e il cinismo appare l’unica via di fuga. Eppure il suo è un debutto che vibra di rivoluzione, attraversato dalla consapevolezza che anche la rabbia, la disillusione, la paura siano scosse. Perché niente cambia senza crisi. E nessuna generazione si salva da sola.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: The Beatles - Come Together

mercoledì 30 luglio 2025

Recensione: La mia ultima storia per te, di Sofia Assante

| La mia ultima storia per te, di Sofia Assente. Mondadori, € 20, pp. 384 |

Com'eravate quindici anni fa? Io somigliavo proprio ad Andrea, il protagonista del romanzo d'esordio di Sofia Assante. Bassino e poco loquace, avido lettore di narrativa americana sin da allora, mi innamoravo dei personaggi femminili di John Green, ascoltavo in macchina Jason Mraz e Avicii, fantasticavo di opportunità di lavoro internazionali e feste esclusive da teen drama. Ambientato tra il presente e il primo decennio degli anni Duemila, questo romanzo è un tuffo negli anni della mia adolescenza a cui, soprattutto se nostalgici, è difficile non volere bene. Conosciamo davvero chi abbiamo accanto? Cosa si nasconde dietro la famiglia perfetta? Sono le domande che riportano Andrea a Roma, dopo il dottorato a New York. Non è bastato mettere un oceano di distanza tra sé e il passato per scordare Elettra, la migliore amica di cui è sempre stato innamorato, e il resto della famiglia Alfieri. Fasciati in abiti di lino pregiato, colti ma inclusivi, belli come stelle del cinema.

Certi eventi, come certi amori, semplicemente non si possono sradicare. Mi passa per la testa questo pensiero: la vera bellezza, il vero amore, hanno sempre qualcosa di terribile.

A metà tra un antropologo e un cavaliere servente, Andrea li ho osservati a lungo, come Nick Carraway contempla l'opulenza di Gatsby tra le pagine del capolavoro di Fitzgerald. Fino, almeno, alla loro caduta. Abbagliato dal loro fascino, non ha mai intuito la tragedia in agguato. Brillante, a tratti perfino divertentissima, quella di Assante è un'avventura post-adolescenziale dal retrogusto malinconico dove partire è solo una scusa per poter tornare. Nonostante qualche pagina di troppo e comprimari dal potenziale non sempre approfondito (i mitici zia Mimì e Arman meriterebbero uno spin-off tutto loro), ha i sospiri delle commedie romantiche e la struttura di un thriller dei sentimenti, con tanto di colpo di scena conclusivo. Imperfetto e strabordante, ma generosissimo, scoppia di storie e passa in maniera sorprendente da un tono all'altro. A volte sembra perdere di vista l'obiettivo. Ma l'autrice, per fortuna, interviene a sciogliere dubbi e nodi, in un finale ambientato nel futuro che verrà tra cinquant'anni. E ci mostra irriconoscibili, invecchiati. Allora avremo forse dimenticato i ritornelli dell'indimenticabile estate del 2008, trascorsa a bere latte e zenzero sul lago d'Orta. Ma il primo amore della Mia ultima storia per te no, mai.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Avicii - Without You