martedì 28 gennaio 2025

Recensione in anteprima: Splendeva l'innocenza, di Roberto Camurri

| Splendeva l'innocenza, di Roberto Camurri. NN Editore, € 17, pp. 192 |

Ci sono romanzi in grado di immortalare un momento, un'estate, come foto Polaroid. Lo scrivevo dell'ultimo Veronesi: un amarcord semplice e difficilissimo sul confine che separa l'infanzia dall'adolescenza. Quando accade, invece, di scoprirsi adulti? Crescere significa sopravvivere nel quarto romanzo di Roberto Camurri: scoperto otto anni, torna in libreria con il suo lavoro più memorabile, dopo i racconti dell'esordio e le sfumature horror dell'esperimento precedente. Alle prese con i sogni e le paure della meglio gioventù, firma un inno generazionale che sembra uscito da un ritornello degli 883. Questa volta non siamo a Fabbrico, ma a Monterosso, dove ho speso qualche giorno proprio al principio dell'anno nuovo. In questo borgo delle Cinque Terre stretto tra il mare e la montagna, il tempo sembra fermo. Soprattutto per Luca. Proprietario di un bar appartenuto ai genitori, si rifugia tra le braccia di una ragazza che ogni notte gli si intrufola in casa come una vampira. Presto compirà quarant'anni. Quando diventerà un adulto responsabile?

Le altre persone sparite, solo loro due, quella panchina e il profumo di lei, uno strano aroma di mele e vaniglia. Luca avrebbe voluto rimanere in silenzio, toccarla, baciarla. Restare su quella panchina per sempre.

Mente l'amico Pietro si è già sposato, c'è qualcun altro che gli dà da pensare: Alessio, mingherlino ma titanico, ha un animo vagabondo e sempre scarsa voglia di rincasare. Quale affinità lo inchioda al devoto Luca; quale colpa? Ormai magistrale nel ritrarre questi microcosmi sospesi e sonnolenti, sensibilissimo nella trattazione di una mascolinità spoglia di qualsiasi machismo, Camurri ci sussurra di genitori che invecchiano, ideali che scolorano, amicizie che durano. E mentre la natura minaccia alluvioni, preannunciando in anticipo il climax dell'epilogo, l'autore si barrica nell'eterno presente della giovinezza tramontata. Scritto a cavallo tra due linee temporali, Splendeva l'innocenza splende — letteralmente — nei suoi lunghi flashback. Il 2001 non è in bianco e nero. Coloratissimo, pieno di bandiere rosse e arcobaleno, ci mostra protagonisti socialmente impegnati, politicamente schierati, che all'indomani del diploma sognavano un altro mondo possibile. In una Genova a ferro e fuoco, in quei giorni, si teneva il G8.

Perché la nostalgia ha rotto il cazzo.

Nel caos delle manifestazioni, Camurri isola abilmente immagini di bellezza e devastazione. E con poche precise pennellate cristallizza la fiducia, la rabbia, il volto di un primo amore di nome Valentina. Che fine ha fatto quella novella partigiana che sognava soltanto di dire: «Io c'ero»? Tra attese in stazione, abbracci goffi e sigarette di troppo, Luca e gli altri si librano in una bollaoltre i confini del mondo. Quando scoppierà, le conseguenze faranno un male cane. Pervaso di una nostalgia balorda, questo Camurri sa di fumo e lacrimogeni. Il vento lo spettina, gli schizzi del mare lo raggiungono finanche in strada. È allerta meteo: l'alta marea ha trascinato a riva resti sparsi, ricordi. Speriamo che, quando le acque si ritireranno, avranno clemenza per le fantasticherie dei ventenni che furono. Dove finiscono le speranze? E le onde?

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: 833 - Rotta per casa di Dio
 

mercoledì 22 gennaio 2025

Recensione in anteprima: Mentre tutto brucia, di Paulina Spiechowicz

| Mentre tutto brucia, di Paulina Spiechowicz. Nutrimenti, € 19, pp. 240 |

È il 1994. Carlo e Diana d'Inghilterra annunciano alla stampa il loro chiacchierato divorzio. L'Italia è incantata e indignata dalle ragazze ammiccanti di Non è la Rai. Le prodezze di Roberto Baggio ai mondiali fanno ululare i tifosi di gioia. In quello stesso anno nasco anch'io. L'esordiente Paulina Spiechowicz – in libreria dal 24 gennaio, nella collana italiana Greenwich Extra – va indietro nel tempo, all'estate di trent'anni fa. I suoi protagonisti, come lei alla loro età, non si sentono né abbastanza polacchi né abbastanza italiani. Tornati a Roma da Varsavia, compongono una famiglia in prova assieme alla madre: un'ereditiera fragile e incostante, ai ferri corti con un ex marito educato secondo una rigida educazione sovietica.

Avrebbe vagato alla ricerca di origini impossibili da trovare. La perdita, ecco le sue nuove radici.

Kamil, quasi diciotto anni, vuole essere disperatamente accettato dal branco: si esprime in romanesco, in segno di appartenenza forzata. Beatrice, sedicenne, fa invece i conti con una femminilità esplosa all'improvviso, legge Sylvia Plath, confonde il piacere con il dolore: a differenza del fratello maggiore, prova profonda nostalgia per la lingua paterna. Tra loro c'è Nico: acerrimo rivale dell'uno, amante segreto dell'altra, è appena uscito da Rebibbia per buona condotta e cerca la redenzione tra gli scaffali di una libreria, sperando che l'accesso alla cultura lo nobiliti agli occhi di Beatrice. Sensuali, selvaggi e incapaci di stare al mondo, i personaggi popolano una Ostia da Far West, fatta di rave trasgressivi e fantomatici dischi volanti. Il mare all'orizzonte non lenirà il senso di claustrofobia. In questa storia di estasi e colpa, in questo intrecciarsi di solitudini senza posa, incombe per tutto il tempo la nuvola nera di un brutto presentimento.

Quando vedo una famiglia felice mi prende una fitta allo stomaco, so già che mentono.

Con una lingua ritmica ed energica, Paulina Spiechowicz rispolvera un immaginario di citazioni pop e fabbricati industriali, in cui il vuoto generazionale somiglia a quello dei romanzi giovanili di Valentina D'Urbano, Silvia Avallone, Mattia Insolia. Qualche dinamica appare talora troppo frettolosa. Qui e lì vengono aperte parentesi su personaggi secondari (l'amica Ludovica, l'ex Tiziano, il pigmalione Pawel), a ben vedere, lasciate irrisolte. I fratelli "cannibali" Kamil e Beatrice vivono a velocità raddoppiata l'ultima estate della loro innocenza. Dove li porterà l'arrivo di settembre, mese di cambiamenti e rivoluzioni personali? L'autrice, classe 1983, si adegua al loro passo nervoso e firma un romanzo disperatissimo a proposito di due anfibi senza identità, senza casa, senza speranza, che domandano forse soltanto un po' d'amore. Al pari loro, Mentre tutto brucia è nostalgico, vitale, precipitoso. Brucia, sì, e in fretta: a volte in un'unica fiammata. Il luccichio violento del fuoco, però, si farà notare.

Il mio voto: ★★
Il mio consiglio musicale: Afterhours - Non è per sempre

giovedì 16 gennaio 2025

Recensione: Tu sei qui, di David Nicholls


| Tu sei qui, di David Nicholls. Neri Pozza, € 20, pp. 384 |

Lei, Marnie, è un'editor di città. Sposata e divorziata ancora prima dell'arrivo dei trent'anni, patisce il fatto che i protagonisti dei libri che corregge facciano più sesso di lei. Lui, Michael, è un professore di geografia. Ferito nel fisico e nei sentimenti, nasconde sotto i maglioni infeltriti i dolori per il matrimonio naufragato a causa dei problemi di infertilità. Uguali ma diversi, faticano entrambi a riprendersi e, come animali feriti, preferiscono rifugiarsi nella solitudine. Hanno realmente chiuso con l'amore, o l'hanno soltanto offerto alla persona sbagliata? David Nicholls, da sempre un fuoriclasse in materia di commedie romantiche, torna in libreria con un'altra storia perfetta per diventare un film. I dialoghi sono brillantissimi, i toni nostalgici, lo spunto cinematografico: spinti da amici comuni, infatti, i protagonisti si metteranno alla prova con un trekking costa a costa. Trecento chilometri, puntando dritti al mare.

C’è una sorta di tirannia anche in questo, nell’idea che la vita debba essere piena, come se fosse un buco che devi continuare a riempire, un secchio che perde, e non basta riempirla, devi anche farti vedere che la riempi. Devo per forza avere hobby, progetti, amanti? Devo per forza eccellere?

Tra piogge torrenziali e schiarite, laghi gelati e paesini sommersi, stanze da incubo e playlist condivise, passeggeranno nei luoghi di Wordsworth e delle sorelle Brontë parlando di amore, sesso, vita, morte. Benché il lieto fine appaia questa volta dietro l'angolo, vietato dubitare del tocco inconfondibile dell'autore di Un giorno. Anche se non destinati alla tragedia, Marnie e Michael appaiono struggenti coi loro ordinati dispiaceri: la genitorialità mai arrivata, l'ansia sociale peggiorata con il lockdown, la difficoltà di stringere rapporti sinceri dopo i quaranta. Ma a furia di camminare i calcagni si induriscono, il passo si fa più svelto, la lingua si scioglie. Anche la socialità è un muscolo che va allenato, per scongiurare l'atrofia? Ambientato in una natura aspra ma mozzafiato, Tu sei qui ha per colonna sonora i No Doubt e il picchiettare della pioggia sul cappuccio cerato. Soprattutto, la medesima gentilezza degli escursionisti che, quando ti incrociano, ti salutano sempre. Sul finire dell'anno appena passato, così, ho sognato anch'io la crisi di mezza età e un viaggio coast to coast.

Il mio voto: ★★½
Il mio consiglio musicale: Joni Mitchell – Blue

giovedì 9 gennaio 2025

Recensione: Cent'anni di solitudine, di Gabriel García Márquez

| Cent’anni di solitudine, di Gabriel García Márquez. Mondadori, € 15, pp. 384 |

Alla prima pagina della mia copia di Cent'anni di solitudine tengo un foglietto fittamente annotato. Ci ho segnato man mano i membri della famiglia Buendía e le loro parentele, talmente intricate che, a torto, temevo avrei perso il filo. Sul retro ho scritto altri dettagli. Una psichedelia illeggibile di fiori gialli e farfalle, effluvi stordenti e valzer di orologi, contagi d’insonnia e galeoni senza mare. Davanti a un romanzo così denso e meraviglioso, l'unica frustrazione nasce qui: dall'impossibilità fisiologica di tenere a mente i prodigi e gli anatemi della città di Macondo. La nostra memoria è limitata; Márquez, al contrario, sconfinato. Ambientato nel folto della sierra, il suo capolavoro si apre in un paradiso perduto in cui gli abitanti sono tutti al di sotto dei trent'anni, non c'è ancora nessun morto da seppellire e le case son bianche come colombe. I protagonisti, in fuga dai fantasmi del passato, sono tra i fondatori. José Arcadio e Ùrsula, cugini con il timore di mettere al mondo una nidiata di bambini dalla coda di maiale, saranno i primi di una stirpe di cui l'autore ci racconta i primordi e l'epilogo: delle sette generazioni di Buendía, impossibile non menzionare Amaranta e Rebeca, separate dall'amore per lo stesso italiano; il primogenito superdotato, assoldato in un freak show; il colonnello Aureliano, sorpreso davanti al plotone di esecuzione in uno degli incipit più famosi di sempre.

Confuso da due nostalgie, una di fronte all’altra come due specchi, perse il suo meraviglioso senso dell’irrealtà, e finì per raccomandare a tutti di andarsene da Macondo, di dimenticare i suoi insegnamenti sul mondo e sul cuore umano, di sbattersene di Orazio, e in qualunque posto fossero di ricordarsi sempre che il passato era una bugia, che la memoria non aveva via di ritorno, che ogni primavera antica era irrecuperabile, e che l’amore più sfrenato e tenace era comunque una verità effimera.

Gli uomini, instabili e nostalgici, si rifugeranno nelle passioni incestuose, nell'occulto, nei lavori di fino: quando perderanno la lucidità, vedranno scorrere la vita in timelapse legati a un castagno. Le donne non saranno angeli del focolare, bensí guide: non perderanno il controllo nemmeno nel buio della cecitá e rimanderanno l'ora della morte fino al completamento di un sudario ricamato. A sciabolate, l’autore Premio Nobel apre la sua Colombia prima al mare, poi al progresso, trasformando un'utopia senza chiese né gendarmi in un fiero avamposto di ribellione. Inevitabili gli scontri tra liberali e conservatori, gli illeciti di una compagnia bananiera, gli attimi di folle munificenza e i lunghi periodi di declino. In questa inesauribile girandola di accidenti e ritorni, per fortuna, la violenza non scalza mai lo stupore. Riusciranno i discendenti a opporsi alla profezia dello zingaro Melquíades, stimato conoscitore del cuore e del mondo? Il passato, il presente e il futuro si intrecciano in un labirinto di fiori esotici e sangue, fino a inglobare la casa dei protagonisti in un abbraccio. L'eternitá: soltanto un punto di interpunzione fissato da Marquez. Il suo romanzo, giá nel novero dei classici e subito tra i miei preferiti, è un girotondo in cui ogni fine è un inizio e dove nessuno va mai via per davvero.

In realtá non gli importava della morte ma della vita, per questo la sensazione che provò quando pronunciarono la sentenza non fu di paura ma di nostalgia.

Dall’immaginaria Macondo passa un treno destinato ai viaggi solo andata. I Buendía, seduti sotto il portico in una siesta senza fine, lo guardano passare; ci salutano. Non è un addio, ma un arrivederci. C'è sempre speranza di ritrovarsi. Laggiù, infatti, si ritorna controcorrente, nelle intestazioni delle strade e negli scricchiolii dei fantasmi, fino a quando qualcuno non avrà l'audacia di battezzerà il proprio figlio con un nome che sia diverso da Arcadio o Aureliano, Remedios o Ùrsula. E, almeno illusoriamente, porrá fine cosí a un secolo d'abbandono. Non contraddiciamolo. Non sveliamogli, mai, che era giá tutto previsto. A differenza dei membri della famiglia Buendía, noi che leggiamo della loro maledizione, d'ora in avanti, non conosceremo più la piaga della solitudine.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Riccardo Cocciante – Era già tutto previsto