Non faccio testo, penserete. Avevo amato il romanzo precedente e per un breve periodo avevo pensato finanche di tatuarmelo, un colibrì. Perfino i detrattori, però, concorderanno con me su un dettaglio: al di là degli sfoggi di bravura, oltre le improbabili tragedie, a brillare di luce propria era un capitolo dedicato alla collezione di Urania della famiglia Carrera. Settembre nero è infuso della stessa luce, è scritto dallo stesso Veronesi — quello meno manieristico e più malinconico. A dispetto del titolo, il suo è romanzo pieno di colori. Piccolo e lineare, ma non per questo meno complesso, è ambientato negli anni Settanta. La TV si è lasciata alle spalle il bianco e nero. I mangianastri cantano Bowie e Stevens. Le Olimpiadi incantano grandi e piccoli. Gigio, dodici anni, non sa ancora che tutto sta per cambiare: l'hard rock dei Led Zeppelin, col senno di poi, gli sembrerà profetizzare il terremoto in arrivo.
Se mi chiedessero di dire quale sia stato il singolo momento della mia prima vita in cui sono stato più felice, direi quello. Sul cedro. A guardare Astel da vicino. A non baciarla.
Candido e curioso come un novello Charlie Brown, il protagonista è ossessionato dallo sport, dai fumetti e dai segreti degli adulti: al Bagno Stella, in Versilia, si intrufola sotto le cabine in cerca delle loro dimenticanze e origlia come una spia le conversazioni dietro le porte chiuse. Il suo corpo cambia, cresce e stravolge i connotati senza prima avvisare. Allo stesso modo appaiono inarrestabili le dinamiche che minacciano di far scoppiare la bolla che il papà, avvocato, ha creato per proteggere il protagonista e la sorellina. Cosa lo trattiene in città? Perché sua moglie, un'irlandese dai capelli rossi come l'alba, è costretta a curare da sola le ustioni di quei figli troppo pallidi per sopportare tre mesi di villeggiatura? A distrarre Gigio c'è Astel: mulatta e con la testa fitta di treccine, è la ragazzina perfetta con cui spartire l'attesa di un bacio e l'amore per i cantanti americani. Cosa dicono quei testi? Gigio, bilingue, diventerà traduttore per amore. Accompagnato da una colonna sonora di divorante nostalgia, Veronesi rievoca un'epoca e una stagione precise, nonché l'insostenibile leggerezza dell'avere dodici anni. Si credeva a Babbo Natale fino alle scuole medie, il riposino pomeridiano era un imperativo categorico, il razzismo e la malizia apparivano come idee indefinite. La cronaca parlava di scandali e attentati; il conflitto israelo-palestinese teneva Monaco in scacco.
Non ho mai incontrato nessuno al quale sia successo così presto, e inaspettatamente, e precipitosamente, e brutalmente, e irreversibilmente, quello che è successo a me. Da non riuscire più a ricordare com'era fatta, quella vita che fu spazzata via; non non poter mai più dimenticare d'averla vissuta.
La storia del mondo è destinata a intrecciarsi a quella di Gigio, in questo struggente romanzo di formazione con echi di Il buio oltre la siepe e un'attenzione tutta nuova verso le emozioni dei giovanissimi, spesso minimizzate. Veronesi prende le vicissitudini del suo protagonista profondamente sul serio e traduce in immagini l'intraducibile. Perché ci saranno anche scioglilingua dotati di un significato criptico in versione originale, traduzioni italiane fatte di assonanze e libere perifrasi, ma Veronesi non ha bisogno di simili espedienti. Riesce a descrivere alla perfezione lo stupore per le isole che affiorano all'orizzonte, l'odore del sole — quel misto, insomma, di crema solare e materassini di gomma —, l'angoscia che le lezioni riprendano troppo presto. L'arrivo di settembre rappresenta la perdita dell'innocenza. Questo romanzo, per fortuna, è un'eterna estate. Sono stato al mare, così, anche a Torino, a novembre. Sono stato bambino anche a trent'anni.
Se ho fatto il classico, la colpa è del Gladiatore. Epico, intriso di retorica e romanitas, è un bignami del mondo antico. In un'epoca senza idee, non stupisce l'idea di un sequel: l'ottantaseinne Scott è in forma e il cast è perfino quello delle grandi occasioni. Godibilissimo, il film è uno spettacolo dalla CGI discutibile in cui il protagonista è chiamato a lottare contro scimmie, rinoceronti, squali. Riuscirà a perdonare la madre e a realizzare il sogno di Marco Aurelio? Dappertutto aleggia il ricordo di Massimo, ma Lucio non ha né il carisma né l'emotività del suo predecessore: colpa di Mescal, totalmente fuori parte nel primo ruolo hollywoodiano. La riflessione politica resta l'elemento più stimolante. In una Roma logorata dall’imperialismo, tutti, schiavi compresi, sognano il potere. Tra il prode Pascal e il gigioneggiante Quinn, a spuntarla è il grande Washington: luciferino, eleva un copione frutto dell'AI a un'allegoria dell'America contemporanea. Ma tutto è talmente senz'anima che bisogna aspettare le note della vecchia colonna sonora per avvertire un brivido in poltrona. Il Gladiatore II non contribuirà al crollo delle iscrizioni al classico, ma non troverà nuove generazioni da ispirare con il mito della Città Eterna. (5,5)
L'apocalisse è ormai qui. I mostri sono tra noi. Grazie alla famiglia Abbott, conosciamo ampiamente le regole del gioco: è severamente vietato fare rumore. John Krasinski cede lo scettro a Michael Sarnoski, già regista del delicatissimo Pig, ma poco cambia. Questo prequel, che dovrebbe raccontare l'origine dell'invasione, in realtà nulla aggiunge e nulla toglie alla mitologia di A Quiet Place. A fare la differenza è l'intensità straordinaria dei protagonista: Lupita Nyong'o, una malata terminale aggrappata alla poca vita che le resta, e Joseph Quinn, expat tormentato dagli attacchi di panico che apre finalmente l'horror alla vulnerabilità maschile. Al bando il rumore, si diceva. Ma gli sguardi espressivi del cast urlano paura, confusione e tenerezza in ogni frame. Narrativamente Giorno 1 è un'operazione senza nessuna sorpresa, ma sa commuovere fino alle lacrime grazie al collage di brutture e gentilezze di cui il genere umano si dimostra capace. L'inno alla vita che non ti aspetti? Arriva da un blockbuster pieno di morti. Un incrocio tra La guerra dei mondi e Soul, dove sfogliare poesie sulle rovine fumanti di una libreria, sognare una pizza da asporto e carezzare un gatto rosso ci aiuterà a sconfiggere la solitudine e altri mostri. (7,5)
È da Sweeney Todd, arrivato in sala nel lontano 2007, che Tim Burton fatica a trovare l'ispirazione. Dopo oltre un decennio di progetti dimenticabili, attraverso i quali il regista ha rischiato pericolosamente di diventare la caricatura di sé stesso, se ne torna nella comfort zone con il seguito di uno dei suoi cult. Non ho dovuto aspettare trentasei anni, io, per conoscere il destino dei protagonisti di Beetlejuice: ho recuperato il primo soltanto di recente e senza euforia. Questo ritorno, agli occhi di uno spettatore dell'ultima ora, è parso un amabile e divertente casino. Tre generazioni di donne a confronto, una moglie vendicativa, vecchi amori (Keaton, Rider, O'Hara) e nuovi (Ortega e Bellucci: magnetica presenza, quest'ultima, poco sfruttata) vengono riuniti nella stessa casa, qui curiosamente vestita a lutto. Macabro ma tenero, spaventoso ma innocuo, l'ultimo Burton strizza l'occhio a generazioni vicine e lontane: non osa sorprese, in una sceneggiatura semplice e un po' frettolosa, ma ci regala un paio di sequenze memorabili (una, in bianco e nero, è un omaggio al cinema di genere del nostro Mario Bava) e idee fresche fresche per Halloween. Dopo svariati flop, ci si accontenta. Anche se, Tim, ti piace vincere facile? (6)
È possibile consigliare un romanzo che non hai apprezzato? È quello che mi ritrovo a fare con Oliva Denaro: un grande successo di pubblico, forte di una struttura cinematografica e di tematiche così forti da non lasciare indifferenti. Anche quando ho storto il naso per le troppe frasi a effetto, per i comprimari troppo anacronistici, per le ambientazioni troppo stereotipate, infatti, mi sono scoperto commosso dal dramma della protagonista: sedici anni, impossibilitata a proseguire gli studi, oggetto delle attenzioni del ragazzo sbagliato. Ispirandosi liberamente alla vicenda di Franca Viola, Viola Ardone ci parla di disparità e consenso, violenza e aborto. Erano gli anni di Mina e delle Kessler alla TV. Ma, in Italia, essere donna era una condanna.
Non voglio sembrare più bella, non voglio seguire consigli, non voglio obbedire a nessuno più. A che è valso? Al posto delle tabelline e dei verbi irregolari avrebbero dovuto insegnarci a dire di no, tanto il sì le femmine lo imparano dalla nascita
Con il sopraggiungere del ciclo, nella routine della giovane Oliva cambia tutto: vietato correre forte, vietato indovinare la forma delle nuvole accanto all'amico di sempre. La sua bellezza in boccio attira gli sguardi di Pino, i capelli neri di brillantina e un fiore di gelsomino dietro l'orecchio: il giorno del loro incontro è colorato di inquietanti segnali. Scorrerà il sangue. Con capitoli brevi ed efficaci, l'autrice ci racconta di un'epoca non molto lontana in cui la verginità appariva il solo valore femminile e della rieducazione di un'adolescente inconsapevole, all'inizio, di essere la parte lesa. L'onore macchiato? Si era soliti correre ai ripari o con le nozze, o con la lupara. Tra dettagli folkloristici e scene dal forte impatto visivo, con tanto di piccole concessioni all'horror (gli animali ammazzati, il rapimento), Ardone affianca Oliva a personaggi macchiettistici: dall'amica comunista alla sorella vittima di percosse, fino ad arrivare a quel papà dolcissimo ma troppo sensibile per i suoi tempi. E cosa dire dei Paternò, gli antagonisti, che gestiscono una pasticceria proprio come i fratelli Solara?
La politica la facciamo tutti, in un modo o nell’ altro, ribatte, ogni cosa è politica: le nostre scelte, quello che siamo o non siamo disposti a fare per noi e per gli altri.
Ho avuto, a tratti, l'impressione di leggere un romanzo scritto con Elena Ferrante tenuta sul comodino. Una storia intensa, ma con il pilota automatico inserito, che osa qualche guizzo soprattutto nelle scelte lessicali volutamente colorite (a lungo andare, però, ho trovato ridondanti i vari: “Piccinna”, “Non lo preferisco”, “Sono favorevole”). Mi sono emozionato e indignato. Ho pensato di consigliarlo a mia madre e ai miei studenti. Ma lì dove l'esordio alla regia di Cortellesi osa una magnifica variazione sul tema, Ardone si adagia nella stesura di un compitino senza errori, più importante che bello. Il femminile singolare non esiste, pensa Oliva. Se le smentite devono passare attraverso questo romanzo, allora, ben venga. Non mi è piaciuto, ma all'interno ci ho trovato una ragazzina con un tacco rotto che trova il coraggio di camminare in direzione contraria. Io sono favorevole a Oliva; meno a come è stata raccontata.