venerdì 8 maggio 2020

Recensione: Molto mossi gli altri mari, di Francesco Longo

| Molto mossi gli altri mari, di Francesco Longo. Bollati Boringhieri, € 16, pp. 176 |

Avevo questo romanzo in libreria dal periodo dell’uscita. Ma, a testimonianza di come le letture non abbiano una data di scadenza, ho scelto di conoscere l’esordio di Francesco Longo ora. Il mood, infatti, era di quelli perfetti. Mentre in streaming sono immerso negli amori inconfessati della serie Normal People, il quattro maggio – per inaugurare la fase due – sono finalmente tornato a passeggiare al mare: uno dei miei veri affetti stabili. Tutto preso dagli struggimenti post-adolescenziali e dagli andirivieni in spiaggia, insomma, non potevo non tuffarmi a bomba nelle estati di Santa Virginia. Una località fittizia, a un’ora di treno da Roma, che fa da sfondo alle amicizie rievocate dal narratore. Sarà che il protagonista ha il mio stesso nome, sarà che ho sempre vissuto sulla costa, ma l’immedesimazione è stata istantanea.
Smilzo, occhialuto e cagionevole, Michele è un tipo malinconico e sedentario. Di quelli che si commuovono per la bellezza dei tramonti, scrutano le stelle in cerca di UFO, fantasticano di mostri alati in fondo al lago. Di quelli che hanno fatto dell’attesa il senso stesso della loro esistenza, e non a caso hanno l’abitudine di tuffarsi sempre per ultimi. Nato e cresciuto in una località presa d’assalto dai turisti, non l’abbandona a vacanze finite. Abita in un paese popolato soltanto per tre mesi all’anno e nei restanti nove viene lasciato in balia del mare d’inverno.

Sono stati tutti convocati dal mare, dalla promessa di una mareggiata epica che ha richiamato anche chi non si vedeva più da anni. La spiaggia è a sud del promontorio, è la Baia di Santa Virginia. Lì abbiamo trascorso tutte le nostre estati. Lì l’infanzia era una cosa sola con la sabbia.
L’autore descrive con esattezza la solitudine di cui il suo protagonista soffre, ma è con l’arrivo di giugno che lo fa rianimare: quando, come da tradizione, si ricompone il cosiddetto gruppo della Baia. Anno dopo anno, infatti, Michele ha stretto con un manipolo di coetanei che si riunisce soltanto d’estate. Ci sono Guido, spavaldo ma fedele, che ha portato la moda del surf da un viaggio in California; la bella Silvia, che raccoglie le confessioni di tutti ma raramente si sbottona; il Cicogna, accanito lettore destinato a fare il naturale salto alla scrittura; Gabriele con la sua inseparabile chitarra; e c’è soprattutto Micol, con un cespuglio di capelli ricci e gli occhi più brillanti della luna. Senza dirglielo, il protagonista la amerà fino all’età adulta. Loro come vivono invece l’attesa del mare? Con la stessa pena, con le stesse speranze, con lo stesso languore? Strutturato tra passato e presente, Molto mossi gli altri mari li racconta com’erano e come sono: radunati eccezionalmente per una bufera tropicale che allarma i meteorologi ma promette, d’altra parte, onde altissime. Michele saprà affrontarle di petto, soprattutto davanti alla notizia delle nozze di Micol?

Di una cosa solo tu puoi essere geloso: del mare.

Questo è un piccolo romanzo generazione che vive non tanto di personaggi quanto di atmosfere. Se gli amici di Michele sembrano spesso schiacciati dall’apatia, poco messi a fuoco nella foga della nuotata e condannati a un finale per me sin troppo precipitoso, a fare la differenza è una natura kantiana in cui scorgere l’ennesima sfida. Piace allora per i cieli coperti, per i braccialetti dell’amicizia al polso, per le pedalate a perdifiato e per le grigliate, per la metafora alla base: l’età adulta come una mareggiata da fronteggiare. Non importa il cosa né il perché. Questa volta importa il come: ossia attraverso una prosa splendida sin dalle allitterazioni del titolo. Questa volta importa il quando: nella stagione che inevitabilmente precede l’autunno degli ideali. Le sensazioni conclusive sono familiari ma altalenanti. Se da una parte la componente sentimentale mi ha ricordato una frustrante partita di ping pong, dall’altra la lettura ha il profumo di brace e risate dei falò di fine estate. Al centro di una storia di attese e devozione, Michele e Micol evitano il presente per paura. Baciano altre persone, si distraggono con altre relazioni. Si crogiolano in un’eterna sospensione. Come se l’estate – della vita, della gioventù – potesse durare per sempre. In attesa che l’onda del secolo o li schiacci, o li faccia volare.
Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Hola (I Say) – Marco Mengoni feat. Tom Walker


7 commenti:

  1. Potrebbe fare anche per me.
    Se, e quando, pure io riuscirò a rivedere il mare...

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  2. Davvero una bella recensione, però non credo che il libro faccia per me.

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    1. Storia post-adolescenziale di quelle che fanno breccia, nel mio caso, anche se non tutto funziona.

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  3. non conoscevo quest'autore. libro breve, è più facile inserirlo tra i quelli più corposi :-D
    buon fine settimana ;)

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  4. Ho incrociato la tua recensione, così l'ho letto. Ho ritrovato le mie estati da adolescente vissute, però, da un altro punto di vista: io sono sempre stata quella che partiva e tornava (ero la milanese). Ho cullato un po' di quella nostalgia che spesso mi assale - la non più giovanissima età gioca brutti scherzi! Mi è piaciuto e mi ha fatto stare bene. Nonostante qualche ricercatezza di linguaggio che parecchie volte mi ha fatto inciampare: a volte dobbiamo ricordarci che "il mare è il mare" e niente più lo può raccontare. Un abbraccio, Michele!

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