martedì 15 novembre 2016

Recensione a basso costo: Zoo, di Isabella Santacroce

La paura è il corpo in cui abito, non ci sono finestre. [...] L'ho addosso, è la mia nuova gabbia.

Titolo: Zoo
Autrice: Isabella Santacroce
Editore: Fazi
Numero di pagine: 124
Prezzo: € 9,00
Sinossi: Chiusi in un mondo a parte, in un recinto domestico che oscilla tra lo Zoo di Tennessee Williams e un set di Ingmar Bergman, tre personaggi senza nome - il padre romantico e fragile, la madre onnipotente e manipolatrice, e la dolce "innocua figlia" non poi così candida - si amano lungo gli anni di un amore malato e claustrofobico, sfidandosi a colpi di seduzioni, ricatti, tentazioni morbose, ambizioni frustrate, fino ad annientarsi l'un l'altro in un rituale di umiliazione, mutilazione, eliminazione prima emotiva e poi carnale. Il romanzo è un monologo ossessivo, un dramma della memoria raccontato dalla figlia che ricorda in un lungo flashback.

                         La recensione
Sono capitato nelle carceri di una famiglia senza nome, al centro della gabbia, per caso. Passeggiavo e, tra le bancarelle, per pochi euro, ho incrociato il nome di Isabella Santacroce. Autrice dall'indole originale, appariscente e bizzarra nelle mise, qualche anno fa mi era saltata all'occhio per il suo vestiario da bambolina burtoniana e un linguaggio barocco. Carismatica e inquietante, mi aveva fatto curiosare istintivamente tra i suoi lavori: favole gotiche, romanzi di formazione al limite, storie provocatorie. C'era chi li amava e chi li odiava; e poi c'ero io, che nell'indecisione grande avevo lasciato stare. Temevo di non sopportare uno stile così, a confine con la poesia, a lungo tratto. Zoo si prestava: breve, apprezzato, interessante. Soprattutto, con più di quache punto di contatto con la bibliografia consultata per la mia tesi. Mi laureerò a dicembre in Letteratura teatrale, e in questi giorni do gli ultimi tocchi alle analisi delle commedie caustiche e nerissime della drammaturgia post-eduardiana. Dove le immagini confortanti del tinello domestico e del presepe a Natale, delle famiglie riunite per il sacro rito del pranzo, sono rimpiazzate da appartamenti decrepiti e parenti serpenti. 
Dove i finali sono tragici, ma sospesi, e non c'è una scappatoia né per terra, né per cielo da rapporti di sangue vincolanti quanto l'ergastolo. I panni sporchi si lavano in scena, la famiglia patriarcale è in crisi d'identità, i figli non sono amati abbastanza oppure sono amati troppo. La Santacroce che ho conosciuto qui, evocativa e sferzante, abbandona i pizzi e i corsetti per un minuscola saga familiare; una mina inesplosa pronta a far danni irreparabili. Vicino ai miei studi per i temi e per la struttura – la forma, infatti, è quella di un lungo e ininterrotto monologo –, il romanzo parla delle catene invisibili di una mamma assente, un padre fragile, una figlia vendicativa. I personaggi, per tutto il tempo, resteranno sprovvisti del nome. L'identità individuale, cancellata in nome del “noi”; la libertà negata che, in unione alla stizza, li rende bestiali. In una città qualsiasi, in un appartamento qualsiasi, la narratrice diciottenne descrive con ferocia quella famiglia in cattività. La madre, donna bella e appariscente, ama gli sguardi degli sconosciuti e l'umiliazione dei più deboli; porta il pane a casa, proprietaria di una boutique di lusso, mentre il marito è alle prese con ingaggi precari e fantasticherie infantili. Il padre, artista e sognatore, dipinge ma non convince i galleristi; persona gentile e delicata di cuore, compensa al disamore della consorte sommergendo la figlia di attenzioni, negandole la spensieratezza della gioventù. La protagonista, tra l'incudine e il martello, non è abbastanza per mamma ma è tutto il mondo per papà. Disintegrato il triangolo e sovvertiti gli equilibri, ferita nel corpo e nello spirito, cercherà un castigo esemplare e una libertà impossibile. 
Farà male. Si liberà di un sangue uguale identico al suo. Le chiavi della cella passano da un personaggio all'altro; si è carcerieri e carcerati a parafragi alterni. La casa, da tempio, diventa un campo minato in cui si ha paura di mettere il piede in fallo: a rischio di risvegliare il cane, e il rancore, che dorme. Morde e non abbaia, la Santacroce: una voce flautata, che ti stritola nella morsa della sua musica. Parole ballerine, frasi spezzate, aggettivi arditi. In un romanzo più lungo non mi infastidirebbe? In un centinaio di pagine così, tra affetto e sopraffazione, il lirismo ha creato reazioni chimiche e strascichi emotivi incontrando la cronaca nera. Zoo mi ha ricordato L'imperfetta e La figlia sbagliata: come nel primo, una sanguinaria Elettra dal suono melodico; come nell'altro, la tragedia senza fondo di una stirpe maledetta. Più forte della Scotti, più esagerata della Romagnolo, Isabella Santacroce fa sentire spossati e complici. Infangati fino alle ossa. Qualche post fa, addolcito dall'autrice giusta nel momento sbagliato, parlavo di romanzi belli, romanzi brutti e romanzi adorabili. Mi sfuggiva, lì per lì, il pensiero di letture come questa. Troppo disturbanti per essere belle, troppo ben scritte per considerarsi brutte. Adorabili, non di certo: sgradevolissime. Non per tutti e non da tutti. 
Zoo è virulento, bestiale, pesantissimo. La famiglia resta anonima, ma il romanzo non rischia la stessa sorte. Soggiorno scomodo, controindicato ai più, che finisci presto e presto ti sfinisce. Mi è piaciuto, a modo suo. Però non basta il Maalox.
Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Afterhours – Ballata per la mia piccola iena

18 commenti:

  1. Questo lo voglio, anche a fronte delle pagine. lo tengo per un momento creepy. Rapido e doloroso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Flowers in the Attic è Settimo cielo, in confronto...

      Elimina
    2. ahahaha, mai sopportato Settimo Cielo *bleah*

      Elimina
    3. Poi il protagonista accusato di recente di pedofilia. Prete per finzione. Le coincidenze AHAHAHAHAH

      Elimina
  2. Ma che bella la tua tesi, da non appassionata di teatro, il paio di corsi fatti all'università mi sono rimasti dentro per la loro bellezza, anche se poi ha prevalso il cinema.
    La Santacroce l'ho provata per curiosità con Destroy, ma ho capito che non fa per me e quindi salto anche questo suo romanzo breve.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio, Lisa!
      Penso che non faccia neanche per me, stile troppo infiocchettato, ma qui faceva da contraltare a una trama tanto scabrosa. Se mi ricapita, magari sulla stessa bancarella... :)

      Elimina
  3. Della Santacroce avevo letto qualcosina negli ormai lontani anni '90, quando io ero ancora un ggiovane, e lei faceva parte degli scrittori cosiddetti "Cannibali". :)
    Quasi quasi è ora di riscoprirla...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lei spopolava, vero. Tra Cannibali vi intenderete, ma io non l'ho messa a fuoco. Certo che una storia così forte è stata pane per i miei denti. :)

      Elimina
  4. "Non per tutti e non da tutti", non per me, aggiungo io :D già la tua recensione mi ha trasmesso inquietudine q.b. La tesi la leggerei invece! :) Baci

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, l'inquietudine è la protagonista principale, in pratica.
      Della tesi, magari, vi parlo in un post senza farvela sorbire interamente. Faccio le prove generali, così. :)

      Elimina
  5. La Santacroce è un'autrice spietata, disturbante e poetica: ho adorato la sua prosa in Luminal , il mio preferito, mentre gli altri romanzi son sempre stati leggermente al di sopra della sufficienza e più per lo stile che per la trama. Zoo non l'ho ancora letto, ma dopo la tua recensione lo farò sicuramente. Magari con gli Afterhours in sottofondo (o Marilyn Manson, ce lo vedrei bene!)
    Un abbraccio e in bocca al lupo per la tesi!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Alenixedda!
      Mi segno Luminal, allora. Tra l'altro, in libreria, ho anche Lulù Delacroix. L'ho preso mesi e mesi fa, ispirato dalla bella copertina. Letto?
      Un abbraccio a te, e viva il lupo. :)

      Elimina
    2. Lulù Delacroix non l'ho letto ma ora che me l'hai fatto tornare alla mente son sicura di averlo messo in wishlist! =)
      Della produzione di Isabella Santacroce ho letto Luminal, Destroy, Fluo, Revolver qui in ordine di gradimento, e mi sono fermata con V.M.18, a mio avviso uno scimmiottamento de Le 120 giornate di Sodoma di De Sade.

      Elimina
    3. V.M. 18 m'ispirava, ma il contenuto forte unito a quello stile così particolare potrebbero portarmi alla resa. Oltretutto, è un mattone! :) Ti dico, poi, per Lulù. Magari riesco ad incastrarlo tra un libro e l'altro, ne leggo bene.

      Elimina
  6. Mi piace la prosa poetica, soprattutto se legata alla brutalità di contenuti. Una bella dissonanza. Penso che mi segnerò questo titolo per un momento noir.
    Spero che per il resto vada tutto bene, Mik. E in bocca al lupo per la tesi. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Gisella! Grazie mille, va tutto bene. Spero lo stesso per te. Penso che la Santacroce potrebbe piacerti.
      Come dicevo ad Alenixedda, però, c'è quel Lulù Delacroix che pare piaccia più facilmente. Tra l'altro, ha in copertina un'inquietante ma bellissima illustrazione della Ceccoli se non sbaglio. Ti sarà comunque un po' familiare. :)

      Elimina
  7. No, no, no. Ho un ricordo sgradevole della Santacroce, unita alla Stancanelli forse...e considerato che gli anni devono essere passati anche per lei...temo che la bambolina burtoniana potrebbe essere quasi sul punto di disgregarsi. Il tuo voto è interessante, ma temo dovrei prendere anche il Plasil.
    Ciao da Lea

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'ho vista di recente a Matrix e il vestiario no, non è cambiato. Lo stile? Questo è del 2006, ha già dieci anni, quindi non ti so dire. Conoscendoti, comunque, non vi vedo in "coppia" :)

      Elimina